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venerdì 23 ottobre 2015

post 177: libertà (inedito 2015)



“Mi sono reso di un cosa Professore …”

Aveva l’aria di chi s’era appena levato di spalla uno zaino da 90 chili portato fino alla cima d’un sentiero impervio.

“La donna di cui le ho tanto parlato è diversa, avevo il terrore dopo tutto quello che è successo, spaventato all’idea di poterla perdere. Ho compreso che posso fidarmi e senza timore continuare a vivere la mia vita…”

Lo guardai come invitandolo a proseguire; dopo alcuni istanti mi chiese se fossi sorpreso da quella sua certezza. In effetti lo ero. Decisi di gratificarlo e quindi gli feci la domanda che m’aveva suggerito, non tanto per accontentarlo come si fa con un bambino, ma per dargli ulteriore sponda alla quale poter appoggiare quei primi passi verso un nuovo equilibrio.

“Ha avuto il coraggio di spogliarsi emotivamente davanti a me, non l’aveva mai fatto prima, era riuscita fino a quel momento solo a farmelo intuire. E quel modo mi logorava nel profondo trasformandosi a volte in dubbio. Ma qualche settimana fa c’è riuscita, forse perché anch’io l’ho fatto, probabilmente perché ha sentito che quello era il momento decisivo e necessario. Per non perdermi. Anzi. Per non perderci. C’è riuscita, m’ha confessato d’aver urlato il mio nome, sere prima, d’aver urlato quello che ci lega come mai era riuscita. Comprendendo definitivamente la sua desolazione. Una definitiva liberazione. Ci siamo abbracciati, forte con non mai, ogni dubbio è svanito. Quei dubbi scaturiti dalle esitazioni e dalle omissioni. Soprattutto da quelle non volute e quelle difficili da affrontare. Le ho sussurrato –ti amo- all’orecchio e subito lei ha fatto lo stesso. Mi è sembrato un abbraccio infinito. Ho percepito il suo grande coraggio in modo chiaro e questo m’ha fatto sentire in grado di fidarmi”.

Lo vidi sereno, per la prima volta, gli chiesi se quella donna non rappresentasse un salvagente al quale si stava attaccando. E pure viceversa. Sorrise comprendendo la mia provocazione.

“Non sono alla ricerca d’un salvagente, ne ho sempre inconsciamente cercati tanti da rendermi insensibile a me stesso, e anche quando erano bucati mi convincevo che fossero necessari per tenermi a galla. E non li mollavo. L’avrei potuta lasciare tante volte, lei altrettanto, ma eravamo li stretti a sussurraci quasi timidamente il nostro legame”.

“Cosa pensa di fare ora?”

“Niente professore. Assolutamente niente. Anzi mi allontanerò da lei perché abbiamo entrambi bisogno di spazio tranquillo per recuperare forze e pensieri. Mi sono accorto d’essere stato forte come un albero per resistere alle tempeste che m’hanno colpito, ma quel tempo è finito, ora posso senza paura essere il fiore delicato che in realtà sono. Tutte le parole che le ho riversato addosso sono superate, non avrei mai dovuto pronunciarle, ma l’ho fatto per paura e questo non si può cancellare. Ho capito di desiderare libertà perché questa implica responsabilità, vivere e non scappare da se stessi, ed è questo ciò che ci unisce perché anche lei aspira a quello”.

Lo guardai per un attimo, presi appunti sul mio quaderno, ci furono poi alcuni istanti di silenzio. Un momento denso.

“Io ora posso gioire e continuare tranquillamente la mia strada. Non è una perdita ma una conferma di ciò che sono realmente. Forse fra un po’ procederemo insieme, forse per sempre, forse invece non accadrà nulla di tutto questo e non c’incontreremo mai più. E queste non sono affermazioni dal sapore falsamente romantico. Sento una profonda felicità nel cuore perché so d’essermi posto, seppur con grande fatica, in maniera rispettosa ed onesta verso il sentimento che provo. E verso di lei”.

Sinceramente mi colpì quell’ultima frase, forse provai un po’ d’invidia, la certezza del tono era così assoluta. Si erano finalmente trovate due anime che avevano vagato a lungo alla reciproca ricerca, senza saperlo e senza volerlo ma sentendo di doverlo fare, infine si erano trovate. E quel finale, seppur aperto a varie ed opposte soluzioni, mi parve il più grande inizio che nemmeno potevo augurargli.


Fu una bella seduta anche per me.

sabato 17 ottobre 2015

post 176: Il tempo è il tuo migliore amico (inedito 2015)


Il giovedì, dalle 17 alle 17,50, era da oltre un anno il tempo che dedicavo ad un mio paziente sul quale sinceramente nutrivo poche speranze perché ogni incontro si era rivelato semplicemente una serie di sfoghi rispetto alla relazione che viveva con una donna. E mi sembrava, con il proseguire degli incontri, sempre più destinato ad un declino senza vie d’uscita.
Era una grande passione, e su questo non c’erano dubbi, certamente un amore vero tra l’altro ricambiato allo stesso modo. Ma la cosa che lo tormentava era quella di non comprendere il motivo per il quale la donna continuasse a mettere in campo scuse posticipando una scelta definitiva e spesso dando l’impressione di giocare con i sentimenti. Quella cosa lo stava sfinendo seppur non avesse, ne volesse, da quella donna risposte definitive rispetto ad un loro futuro insieme. Lui desiderava semplicemente che quello che esisteva fra loro fosse una volta per tutte messo in chiaro. Con grande onestà e sincerità.
Quel giovedì mi sorprese fin dal suo ingresso in seduta.
Stranamente sorrideva.
Era un uomo profondo, tendenzialmente timido, anche se apparentemente spigliato e sicuro di se. Spesso di difficile lettura anzi decifrazione. Gli chiesi se fosse di buon umore e lui annuì. Sorrisi compiaciuto. Era impaziente d’iniziare tanto che cominciò a parlare ancor prima d’essersi seduto. Quel giorno fu molto chiaro in tutto ciò che disse.

“Ieri sera, dopo l’ennesima giornata buttata perché avevamo discusso al telefono senza arrivare a nulla, ho capito”.

Mi guardò dritto negli occhi, cosa che non faceva mai, prese completamente la mia attenzione. Dopo un attimo, quando ne fu certo, proseguì.

“Com’è difficile sopportare le paure degli altri.
Sembra impossibile comprendere qualcuno che di fronte all’evidenza tentenna o addirittura fugge.
Ovviamente parlo di persone che vogliono percorrere la strada della verità, quel percorso tortuoso e difficile che porta a conoscere se stessi, e non tanto di chi desidera farlo ma nemmeno prova a partire.
Il vero problema sta nella visuale: chi ha percorso un tratto di vita in più riesce a vedere nitidamente le cose semplicemente perché si viene a trovare in un punto migliore d’osservazione. Chi sta dietro, non per demerito o incapacità ma solo perché è partito dopo, non riesce a vedere nulla semplicemente perché non è ancora arrivato a quel punto.
La responsabilità di chi sta avanti è quella di lasciare il tempo, la libertà, lo spazio senza anticipare nulla. Anche se è difficile perché l’amore ti spinge a fare qualcosa anche solo per un senso di protezione. Ma bisogna tapparsi la bocca incoraggiando casomai a procedere, discretamente anche a costo di soffrirne, lasciando intatta la meraviglia della scoperta a chi sta per sopraggiungere. Non rovinare la scoperta, riducendosi ad osservatori, è il modo migliore di amare una persona.
Perché amare è donare.
Soprattutto quando è difficile farlo.
Perché il dolore che si prova in quei momenti non è banalmente un prezzo romantico da pagare ma la causa dell’indecisione che assale rispetto a chi desideriamo possa raggiungerci al più presto.
L’unica cosa da fare?
Proseguire nel percorso lasciando energia positiva da donare a chi passerà dopo nello stesso punto; aspettare è sbagliato, dimostrare a se stessi che ogni giorno si desidera proseguire nel proprio cammino è saggio, anche se tutto questo mi fa una grande paura”.

Gli chiesi se quella paura derivava dalla poca fiducia nella donna, da altri pensieri, oppure da consapevolezze che non aveva mai avuto il coraggio di ammettere prima.

“Non lo so esattamente, in generale per me è difficile tranquillizzarmi di fronte a qualcosa che non comprendo totalmente, forse è solo credere che un sentimento così importante non possa essere sprecato. Ad essere sincero…è paura di fidarsi totalmente di una persona e sentirsi di fronte a lei indifesi”.

Abbassò il capo, su quell’ultima frase, quasi vergognandosi di ciò che aveva appena detto. Poi tornò a guardarmi ed io gli sorrisi e subito quella sua espressione spaventata cambiò.

“Comprendo perfettamente l’ansia che a volte può prendere ma lei stia tranquillo. Quella donna sa tutto questo, anche se non è stata in grado di esprimerlo, anche se spesso sembra non volerlo affrontare. Se lei saprà comportarsi in questo modo le assicuro che il finale già lo conosce. Pensi che il tempo ora è il suo migliore amico. E non intendo dire che tutto andrà come lei lo desidera solo perché avrà avuto pazienza ma che la risposta avrà sarà quella che ha sempre cercato e questo, mi sento di dirlo in tutta coscienza non tanto da medico ma quasi da “consulente sentimentale”, è quello che lei veramente desidera”.

Mi guardò e sul viso gli si dipinse un sorriso; in quel momento capii che era cresciuto d’un gradino ulteriore.
Da medico mi sentii gratificato per aver assistito a quell’evoluzione.
Da uomo che spera di alleviare la sofferenza altrui pure.


Fu per me una bella giornata.