“Mi sono reso di
un cosa Professore …”
Aveva l’aria di
chi s’era appena levato di spalla uno zaino da 90 chili portato fino alla cima d’un
sentiero impervio.
“La donna di cui
le ho tanto parlato è diversa, avevo il terrore dopo tutto quello che è
successo, spaventato all’idea di poterla perdere. Ho compreso che posso
fidarmi e senza timore continuare a vivere la mia vita…”
Lo guardai come
invitandolo a proseguire; dopo alcuni istanti mi chiese se fossi sorpreso da
quella sua certezza. In effetti lo ero. Decisi
di gratificarlo e quindi gli feci la domanda che m’aveva suggerito, non tanto
per accontentarlo come si fa con un bambino, ma per dargli ulteriore sponda
alla quale poter appoggiare quei primi passi verso un nuovo equilibrio.
“Ha avuto il
coraggio di spogliarsi emotivamente davanti a me, non l’aveva mai fatto prima, era
riuscita fino a quel momento solo a farmelo intuire. E quel modo mi logorava
nel profondo trasformandosi a volte in dubbio. Ma qualche settimana fa c’è
riuscita, forse perché anch’io l’ho fatto, probabilmente perché ha sentito che
quello era il momento decisivo e necessario. Per non perdermi. Anzi. Per non
perderci. C’è riuscita, m’ha confessato d’aver urlato il mio nome, sere prima, d’aver
urlato quello che ci lega come mai era riuscita. Comprendendo definitivamente
la sua desolazione. Una definitiva liberazione. Ci siamo abbracciati, forte con
non mai, ogni dubbio è svanito. Quei dubbi scaturiti dalle esitazioni e dalle
omissioni. Soprattutto da quelle non volute e quelle difficili da affrontare. Le
ho sussurrato –ti amo- all’orecchio e subito lei ha fatto lo stesso. Mi è
sembrato un abbraccio infinito. Ho percepito il suo grande coraggio in modo
chiaro e questo m’ha fatto sentire in grado di fidarmi”.
Lo vidi sereno,
per la prima volta, gli chiesi se quella donna non rappresentasse un salvagente
al quale si stava attaccando. E pure viceversa. Sorrise comprendendo la mia
provocazione.
“Non sono alla
ricerca d’un salvagente, ne ho sempre inconsciamente cercati tanti da rendermi
insensibile a me stesso, e anche quando erano bucati mi convincevo che fossero
necessari per tenermi a galla. E non li mollavo. L’avrei potuta lasciare tante
volte, lei altrettanto, ma eravamo li stretti a sussurraci quasi timidamente il
nostro legame”.
“Cosa pensa di
fare ora?”
“Niente
professore. Assolutamente niente. Anzi mi allontanerò da lei perché abbiamo
entrambi bisogno di spazio tranquillo per recuperare forze e pensieri. Mi sono
accorto d’essere stato forte come un albero per resistere alle tempeste che m’hanno
colpito, ma quel tempo è finito, ora posso senza paura essere il fiore delicato
che in realtà sono. Tutte le parole che le ho riversato addosso sono superate,
non avrei mai dovuto pronunciarle, ma l’ho fatto per paura e questo non si può
cancellare. Ho capito di desiderare libertà perché questa implica
responsabilità, vivere e non scappare da se stessi, ed è questo ciò che ci unisce
perché anche lei aspira a quello”.
Lo guardai per
un attimo, presi appunti sul mio quaderno, ci furono poi alcuni istanti di
silenzio. Un momento denso.
“Io ora posso gioire
e continuare tranquillamente la mia strada. Non è una perdita ma una conferma
di ciò che sono realmente. Forse fra un po’ procederemo insieme, forse per
sempre, forse invece non accadrà nulla di tutto questo e non c’incontreremo mai
più. E queste non sono affermazioni dal sapore falsamente romantico. Sento una
profonda felicità nel cuore perché so d’essermi posto, seppur con grande
fatica, in maniera rispettosa ed onesta verso il sentimento che provo. E verso
di lei”.
Sinceramente mi
colpì quell’ultima frase, forse provai un po’ d’invidia, la certezza del tono era
così assoluta. Si erano finalmente trovate due anime che avevano vagato a lungo
alla reciproca ricerca, senza saperlo e senza volerlo ma sentendo di doverlo
fare, infine si erano trovate. E quel finale, seppur aperto a varie ed opposte
soluzioni, mi parve il più grande inizio che nemmeno potevo augurargli.
Fu una bella
seduta anche per me.