Claudia tornò dal nuovo centro
commerciale con quindici buste piene.
La guardai senza dire nulla mentre lei,
felice come una bimba la notte di Natale, tirava fuori tutti i suoi acquisti
rimirandoseli orgogliosa.
Non
s’accorse nemmeno che la stavo osservando: me ne tornai a letto.
Non
ho mai sopportato quelli che trattano le cose come persone. Che sprecano i loro
sentimenti per qualcosa che non è vivo e trattano gli oggetti con un rispetto
che spesso non portano, invece, ad altri umani. E continuano a volerne: sempre
di più, come in una necessaria escalation compulsiva d’accumulo. Mia madre era
così, anche i miei fratelli lo erano, e pure Claudia aveva quell’attitudine.
Come se avere cose potesse servire a trarre soddisfazione, far rivivere le
proprie passioni, dimenticando che si sta avendo a che fare con oggetti spesso
superflui o marginali.
Mentre
stavo a letto e sentivo il frusciare della carta strappata delle confezioni pensavo
a dove sarebbero finite quelle nuove inutilità. E si, perché il problema
dell’accumulo sta anche nel dove porre le cose una volta comperate, che per lo
più restano immacolate perché inutilizzate. E solo per un brivido, quello di
possedere, che svanisce poi con il possesso stesso, si da vita ad un circolo
vizioso che si alimenta solo con un nuovo possesso, come fosse l’espressione di
un vero bisogno, tentando di evitare la caduta entro una condizione dolorosa che
fermandosi farebbe capire che si tratta solamente di un mero artificio per
evitare la convivenza con la noia.
Ecco,
altri annoiati come me, ma diversi nel modo d’esserlo.
Il mio box auto progettato per un’auto
come ogni box auto del mondo, visto che auto non ne possedevamo, fu trasformato
in ricettacolo di tutte le possibili inutilità accumulate negli anni da mia
moglie. Tentai di smettere di pensarci, era una cosa che volevo assolutamente
tener distante, ma fu inevitabile concludere a come mi sentivo ancor più
lontano da lei e dalle sue abitudini. Così profondamente diversi, non capivo
come non me ne fossi mai accorto, totalmente opposti. E il mio accettare
passivamente standomene zitto non aveva fatto altro che acuire quella distanza.
Non lo potevo più accettare, avrei trovato il modo di dirglielo, prima di
cadere nell’odio più totale verso di lei. Seppur fosse mia moglie un tempo
amata o forse no, seppur madre delle miei figlie –amate, ma a modo mio, che
so essere anche non condivisibile-, seppur compagna di lunga parte della mia
vita. Fui certo in quel momento che niente era più così o non lo era mai stato. Ma
faceva poca differenza. Le avrei parlato, schiettamente, assumendomi i rischi
della sua reazione. Che sapevo non sarebbe stata blanda. Ma giunto
a quel punto era sbagliato continuare in ciò che evidentemente era stato un errore con il rischio di trasformarlo in orrore distruggendo tutto il possibile
tempo futuro.
Le
avrei detto tutto.
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