Alcune persone mi guardano con
simpatia, altre con sospetto, la maggior parte m’ignora.
Credo che questa sia condizione comune a
chi prova ad essere ciò che realmente è. Dicendo ciò che pensa. Vivendo
rispettando se stesso quindi gli altri. Ascoltando le proprie opinioni e
valutare serenamente quelle altrui. Sicuro che la ragione debba prevalere sugli istinti.
Sono stato definito – mai direttamente – come un fascista,
ed anche – mai direttamente – come comunista.
Sinceramente i giudizi non
m’interessano.
E non lo penso e poi dico per spocchia
o senso di superiorità bensì per il semplice motivo che chi lo fa – giudicare -
nella maggior parte dei casi si riferisce a modelli che nemmeno consoce, dei
quali ha solo sentito parlare, diventandone paladino solo per averli letti nei
titoli dei giornali o visti alla televisione o letti sul web.
Quella è gente che sente di poter giudicare, invece,
pre-giudica.
E’ come parlare dei comportamenti di Mario Balotelli e giudicarlo per ciò che viene raccontato sul suo
conto: ma nessuno dei giudicanti lo conosce personalmente, ha fatto quattro
chiacchiere con lui, gli ha mai chiesto cosa significa essere un nero adottato cresciuto nella provincia
bresciana? E, soprattutto, nessuno ha mai posto la giusta importanza a
stabilire se tutto quello che viene detto su di lui corrisponda o no alla
verità.
Prometto che questa sarà l’unica
divagazione di genere calcistico, anzi no, ce ne sarà un’altra.
Del pensiero comune, figlio di quel pre-giudizio, non me ne importa
niente.
E’ solo una questione d’ignoranza diffusa, per tentare di
mettere ordine alle cose, banalizzando persone e situazioni semplicemente
etichettandole.
La gente oggi, nella maggior parte dei
casi senza cultura specifica e nemmeno generica, ha la presunzione di sapere
tutto. Sente di potersi permettere qualsiasi uscita, d’aver voce in capitolo, suppone facendo parte
di un mondo che offre possibilità di rendersi facilmente visibili e ascoltabili
d’aver libero e autorevole accesso al giudizio. Ogni conversazione – quella politica
specialmente - è ridotta per ciò ad un chiacchiericcio da bar, il confronto
d’idee è solo il preludio d’uno scontro, il luogo comune diviene regola di
comportamento sociale.
Perché fondamentalmente mancano le basi...ed
anche le altezze.
Perciò la società d’oggi è quella che è.
Non esiste più il senso del rispetto,
tutto deve essere ottenuto velocemente, e con successo.
Se non lo raggiungi sei irrimediabilmente un perdente – o uno
stronzo… -.
Osservo a volte certe persone – specialmente miei coetanei -
chiedendomi retoricamente come riescano ad avere ciò che hanno: semplicemente
l’hanno ricevuto in dono o ereditato da genitori, nonni, amici, amanti,
protettori. Perché se si va più all’origine di qui patrimoni si scopre che uno dei
loro parenti lavorava per o con la chiesa, l’altro era amico di un politico
influente, l’altro amante di…
Genti posizionate che hanno prodotto genti che tutt’oggi
sfruttano i benefit presi nel passato. Molto spesso senza merito o addirittura illecitamente
se non illegalmente.
Un po’ come i contrabbandieri che salivano a piedi le Alpi
per portare in Italia cose dalla Svizzera
evitando di pagare il dazio. C’è sempre qualcuno che fa il lavoro sporco,
quello che nessuno vuol fare perché puzza, che lascia le mani sporche. Ovviamente
chi è disposto a farlo prende e pretende in cambio il beneficio.
E non c’è solo questo.
Molta gente non ha semplicemente mai pagato le tasse,
evasori cronici, che hanno costruito imperi economici. Infischiandosene del
senso civico, del bene della società, del rispetto dell’altro. Per ciò i loro discendenti
tutt’oggi abitano in lussuosi appartamenti del centro, hanno ingenti somme di
denaro nei conti correnti, ed in più amano pontificare e biasimare scandalizzati
chi dubita delle loro origini -economiche-.
Io ricordo mio padre sfasciarsi per il
lavoro: perché gli piaceva farlo, innanzitutto, e poi gli serviva. E mai è
riuscito a salire nelle gerarchie perché quello non era il suo scopo. E ne ha
sofferto infine. Quando, dopo un ictus dal quale si riprese completamente tanto
da riuscire a tornare al suo amato lavoro, fu da esso allontanato con una
motivazione assai crudele quanto banale legata alle sue condizioni sanitarie che non davano garanzie di certezza all’azienda
per cui aveva sempre lavorato. Fu così buttato fuori come il più noioso dei
fastidi.
Lo vidi piangere. Anzi, con gli occhi inumiditi, non vidi
mai le sue lacrime.
E mia madre a sostenerlo, sempre e comunque, con un grande
rispetto unito all’innato senso della famiglia. I sacrifici, il doversi
abbassare anche ad umiliazioni cocenti per tentare di avere un futuro, le
lacrime di mia madre – quelle si le ho viste e me le ricordo – mentre seguivamo
l’ambulanza che portava mio padre all’ospedale dopo il famigerato ictus.
E io, con una paradossale serenità che in
un momento del genere non può esistere, le dicevo di stare tranquilla perché tutto
si sarebbe sistemato. E ne ero certo.
Ma chi mi dava quella certezza?
Nessuno, solo sentivo che quello non
poteva essere il finale, ogni storia di onestà deve concludersi almeno degnamente.
Garantire rispetto al protagonista.
Sfruttatori
di patrimoni accumulati in maniera dubbia ed in più criticanti: il mio non
vuole essere un giudizio ma una costatazione. Perché tutto questo è
semplicemente inaccettabile quanto meno da un punto di vista etico.
Il Nazareno
invitò chi fosse senza peccato a scagliare la prima pietra contro l’adultera…il
fatto è che siamo tutti adulteri e nessuno può – moralmente – azzardarsi
nemmeno a pensare di cercare un sasso.
Ma tutto viene così banalizzato e
m’innervosisco.
Se esprimi un disagio morale come questo sei immediatamente
classificato: e vieni attaccato. Se poi non riescono a scalfirti ci provano con
le persone che stanno attorno a te.
In ogni famiglia ci sono cose che forse non si allineano al
principio comune reputato degno. Mio nonno aveva una passione per Mussolini; lo
ricordo nel suo fumare facendo solo fumo e nella sua grande delusione d’una
speranza persa che in gioventù gli aveva fatto sacrificare la parte più bella
della vita. E mia nonna a supportarlo, forse non totalmente d’accordo con
quelle sue convinzioni, ma solo per senso d’appartenenza accettarle. L’unica
presente quando morì un mattino raccogliendo con un sorriso rispettoso l’ultimo
suo respiro. E pure uno zio omosessuale prigioniero di guerra e poi prigioniero
nella vita. Ghettizzato e nascosto come un appestato, impresentabile, una
vergogna da celare al mondo.
Ma quelle erano le loro vite, belle o brutte, condivisibili
o no. Chi siamo noi per poter giudicare, abbiamo già il sasso nella mano, lo
teniamo nascosto pronti a scagliarlo. I denigratori sono sempre all’erta,
pronti, a dichiarare una scomoda verità.
La denigrazione è un’attività che rende
molto.
Personalmente, provata più volte sulla
mia pelle, m’ha solo dato maggior vigore. A tratti la trovo pure rasserenante.
Quando non hai bisogno di alibi perché
sicuro della verità ti serve solo il tempo d’un respiro a farti rilassare.
Ma l’italiano medio è quello che paga
il condono tombale a prescindere, quello che preferisce evitarsi problemi anche
se sa di non aver commesso qualcosa che gliene potrebbe produrre, è quello felice
di prendersi un antibiotico prima ancora d’essere infetto.
Il non
si sa mai… è diventato il motto che spinge le generazioni italiche, esprimendolo
meglio, pararsi il culo sempre e
comunque.
E’ questo, lo abbiamo nel DNA, siamo un
commistione di razze e popoli diversi. Obbligati con la forza ad essere unici,
abituati ad accettare un potere forte oppressivo ed a sottometterci, incapaci
di pensare liberamente ad eccezione del fatto di proteggere il nostro piccolo
orticello dalla grandine improvvisa.
E questo basta.
Ed è sempre bastato.
Nessun sentimento comune, nessun senso
di appartenenza, nessuna volontà di mettere la propria faccia.
Seconda ed ultima digressione
calcistica.
Perché in Italia la squadra di calcio
più tifata è la Juventus?
Perché è la più forte? E’ quella che ha
vinto di più? E’ quella dalla storia più prestigiosa e con la bacheca più ricca
di trofei?
No.
E’ semplicemente la scelta più comoda fatta da chi intende
il calcio come intende il resto del proprio esistere: salire sul carro di chi
sai sarà vincitore a prescindere dal proprio valore e/o merito, affiancarsi
anche solo per l’istante di una partita di calcio a chi rappresenta quello che
mai sarai, sentirsi vincenti ed invidiati perché certi di non poterlo mai
essere da soli. E dimenticare nello stesso attimo d’una partita di calcio
l’arroganza con cui viene ottenuto spesso il successo, ignorando l’etica, il
rispetto delle regole e degli avversari. Dove la lealtà, specialmente, non
conta niente…ma stiamo parlando di calcio, in fondo non è poi così grave. E
quindi: forza Juve!
Ma c’è una cosa più importante che forse
può salvare da questo raccapricciante orrore, credo l’unica rimasta, la
conoscenza.
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