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giovedì 27 novembre 2014

post 142: buon compleanno




Ogni giorno che nasce è l’inizio d’una lotta che solo spegnendo la luce sul comodino quando sarà finito si placherà. Anche oggi. Che dovrebbe essere diverso. Si, perché non tutto va sempre liscio, a volte il buio silenzioso della notte è squarciato da un sogno brutto che s’impone, altre volte qualcosa desta d’improvviso lasciandomi per un po’ attaccata la sensazione di paura forte che scuote addirittura le viscere, altre ancora è peggio tanto da non riuscire ad abbandonarmi al sonno nemmeno applicando la procedura consolidata della sua ricerca. Contare pecore. Lotto e combatto, parto e mi fermo, respiro a fatica poi in un attimo tutto sembra tornato in equilibrio. Anche se continuo a sentirmi sul filo a cento metri d’altezza. I vizi, le lacune, il mio essere così imperfetto o troppo perfetto mi si fa dinnanzi appena apro gli occhi. Non lo tollero ma è tutto sempre presente ed appena mi specchio entrando in bagno ne ho conferma. La mia faccia non mente, almeno a me, perché so leggere fra lo sguardo e le occhiaie che mi ritrovo. So veramente ciò che penso. Anche provando a fingere non mi frego. E intanto il tempo passa, l’orologio implacabile, bisogna muoversi e mi devo muovere. I minuti veloci passano quasi durassero trenta secondi, colazione, bagno, i figli da seguire ed aiutare. Allacciargli le scarpe ed infilargli la giacca mentre loro cantano e starnazzano felici: insopportabili ma tanto sopportabili, amabili ma pure il contrario, vorresti voltarti ignorandoli ma pure stringerli così fortemente al petto da renderli inseparabili per l’eterno. La tua donna, il tuo unico amore, anche con lei lo stesso meccanismo. Insopportabile quanto necessaria, decisiva quanto fastidiosa, ti manca come l’aria quando t’immergi sicuro che la boccata presa sia stata sufficiente. Ed invece un attimo dopo capisci il contrario. E annaspi affannando. Non puoi scordarti d’amare, mai, amare è una complessità tale da non poterla comprendere a fondo appena mezz’ora dopo l’essersi alzati dal letto. Un caffè ed una sigaretta non possono darti consistenza intellettuale tale d’affrontare una cima emotiva del genere.
In un attimo sono fuori, dentro al mondo degli altri, con ed insieme agli altri. Odori, colori, rumori. Velocità diverse. Compressione da smog del traffico. La testa mi duole anche se provando a pensarci non sento dolore. Eppure percepisco sofferenza. Cammino veloce, il corpo conduce senza bisogno d’una testa che pensi le traiettorie, fa tutto da solo e non mi fa paura. Guardo avanti anche se in realtà osservo quello che sta in parte. Degenerato, sconsiderato, inadeguato, banale, scontato, superficiale, offensivo. Penso ancora, distratto dal guardare culi di donne camminanti a lato, vengo deviato dalla visione che tra l’altro non m’interessa e parto per un attimo con pensieri poco puri: ma pure fissando le labbra di mia moglie mi capita ogni volta lo stesso, chissà se sono il solo a farlo oppure tutti ci cascano. Sono malato o semplicemente me stesso? E non è solo una questione di sesso sia per i culi -per lo più mostrati quando forse dovrebbero essere occultati- sia per le labbra –il bacio è la più pura espressione d’affetto ma ci si ride spesso sopra-. Fatto, voluto, immaginato o semplicemente desiderato. Ed intanto i bambini reclamano: che cazzo pretendono, ti chiedi mentre comunque gli dai risposta, un SUV taglia senza scrupolo la strada per fregare un parcheggio e quasi t’azzoppa. Un vaffanculo sarebbe liberatorio ma non sei solo, non devi mai scordare d’essere esempio che poi viene imitato, mandi giù un amaro che manco capisci di cosa sappia. Ma che cazzo, e ti fa schifo, vorresti sparire anzi sparare. In quel istante ti chiedi seriamente quanto costi una pistola e perché non hai mai pensato di comprarne una o almeno chiedere il porto d’armi. Non vuoi fare il modello di alcunché ma sembra che molti s’ispirino a te. Soprattutto quando hai dubbi, quando vacilli in preda ai tuoi istinti, quando te ne infischi del pensiero che potresti scaturire. Ma ogni volta ti fermi, sentendo di censurarti, farti violenza senza far apparire violenza. Ancora mandi giù qualcosa d’amaro. Ti riprometti d’ignorare chi ti vuole scroccare una sigaretta appena uscito dal bar, ma poi sorridi e offri anzi gliela accendi pure, appena ti riprendi dall’ennesimo ingoiare qualcuno ti chiama al telefono. Sono quelli che lo fanno solo per necessità. Vorresti dare spazio al tuo egoismo elevandolo a cosa sana ma ti blocchi, hai paura che forse prenda il sopravvento visto che immagini il suo gusto appassionante senza dubbio non amaro, eviti di pensare all’inevitabile viaggio di ritorno alla normalità che dopo un ipotetico momento dedicato a te stesso risulterebbe insopportabile. Manco ti fai sfiorare dal sospetto, e continui a farlo, ora dopo ora giorno dopo giorno anno dopo anno.
Sono già esausto, credo d’essere felice almeno lo spero anche se non so cosa significhi esserlo, di certo so che la serenità non m’appartiene. Perché al richiamo accorro sempre, non riesco ad ignorare anche se vorrei tanto essere sordo, vedo anche se provo a chiudermi gli occhi in ogni occasione.
Giornata come altre. Qualcuno che lagna direbbe di merda. Io dico come le altre. Ma almeno è passata rapida, così m’è sembrato, così l’ho percepita.
Per fortuna è notte, ho solo la luce sul comodino da spegnere, la possibilità concreta che tutto per qualche ora si fermi lasciandomi libero dal solito turbine massacrante.
Lo spero per il mio bene, spero che la mia ambivalenza mai si trasformi in ambiguità, spero che se dovesse accadermi d’essere talmente insensibile almeno il poter ignorare ogni eventuale senso di colpa mi sia concesso. Spero sempre, spero anche se non so cosa sia meglio sperare, comunque spero. Non si sa mai.
Guardo la luce accesa, sono alla fine di un’altra giornata che non doveva essere uguale, ho solo voglia di dormire. Niente di speciale. L’avrei voluta diversa, lo speravo, ma in fondo non me ne importava niente. Anche se in un angolo forse lo speravo. Tipo. Torta gigantesca con sorpresa annessa. Festa a seguire.
Va bé, sarà per la prossima volta.
Manca ormai meno di un anno alla prossima occasione.
Ma in fondo questa è la mia vita, che ho il privilegio di vivere, la fortuna di raccontare, il gusto perverso di criticare anche con ironia.
Una vita che ho scelto e voluto.
Nessun dubbio anche se dentro mi rendo insopportabile e lagnoso fino a me stesso, forse perché mi piace pure quello, spero che troppi non se ne accorgano e continuino pensando all’idea che si sono fatti di me e vivano felici con quella senza troppo indagare sul mio conto.
Simpatico scanzonato burlone.
Perciò.
Tanti auguri a me.


Click.

lunedì 24 novembre 2014

post 141: guerra-combattere




Sono dentro ad una guerra.

Semplicemente per il fatto che mi sono accontentato di credere che la buona fede unita al buon senso potesse guidare le persone a rappresentare il meglio di se per gli altri. Invece no. Quella drammatica scelta di posizionarsi nella mediana m’ha fatto ignorare il disonore che infliggevo a me stesso ed ai valori in cui credevo sperando inconsciamente d’evitare problemi, credendo bastasse appoggiarsi all’idea di un mondo basato su rapporti ideali, sperare che l’onestà bastasse. In cambio, invece d’una idea di pacifica libertà, ho ottenuto solo accanimento astioso. Presa coscienza, conscio della difficoltà di ribaltarne l’inerzia, voglio recuperare l’equilibrio tenendomi ben saldo a pochi valori, a ciò che ancora ho nelle tasche dopo essermele svuotate inseguendo la chimera dei buoni impulsi umani. Io non sono alla spasmodica ricerca di un colpevole per dare senso alle mie incertezze per cancellare i miei limiti o le mie paure. Perché so che il colpevole sono io. Nella misura in cui ho continuato a negare la verità impedendomi d’occuparmi di ciò che fa invece è parte delle mie responsabilità.
Serve una guerra, sanguinaria se necessario, sleale o scorretta al limite. Perché quando lo spazio ed il tempo stanno esaurendosi quello che conta è solo sopravvivere.

Sono pronto a combattere.

martedì 2 settembre 2014

post 140: Il senso del ridicolo




Sinceramente.
Questo lungo discorso che da giorni va avanti attorno al film di Sorrentino non fa altro che dimostrare, inequivocabilmente, quanto la società attuale sia oramai addestrata come rassegnata. Divisa da un solco sempre più profondo, intelletto contro ragione, con la seconda che ha preso da tempo il predominio e lotta senza pietà alcuna per mantenerlo. Per me, che ho da sempre un’istintiva necessità di confrontare ciò che sono passandolo al vaglio del “senso del ridicolo”, è tutto ovvio. Senza presunzione lo dico. Chi pone la ragione (quindi: l’interesse personale) al centro di tutto non trova nulla di ridicolo nelle cose che accadono e perciò s’arrabbia furiosamente se criticato addirittura reagendo violentemente, per un intellettuale la maggior parte delle cose sono ridicole (perché sono ovvie da capire nella sostanza) tanto da saperne sorridere.
“La grande bellezza” è solo una metafora di questo mondo, tanti altri numerosi drammatici esempi si potrebbero fare per comprendere quello che accade e quello che alcuni stanno facendo, e pure la necessità di spiegare ogni proprio passo quasi a giustificarsi di fronte alla massa sorda e cieca è diventato insopportabile quanto inutile.
Ma io non demordo. La strada da seguire? ricominciare a studiare, ogni giorno, senza limite. Aprire la propria mente, provare ad evitare i condizionamenti, avere idee e non opinioni, pensare il più possibile con la propria testa. Anche quando si viene emarginati, biasimati, combattuti.
Una cosa che mi aiuta a resistere agli indotti condizionamenti è rileggere qualcosa che dia una scossa e faccia prevalere “il senso del ridicolo” stimolandomi a restare in equilibrio anche di fronte alle scorciatoie più comode. E non per celebrarmi o assolvermi. Voglio semplicemente trovare un posto ed un ruolo consono nella vita che ho da vivere e non trovarmi invece ad essere parte d’una massa dotata d’intelletto incapace d’usarlo e soddisfatta solo dal fatto d’esserne una parte. Incurante, tra l’altro, di sapere e controllare chi ne sta alla guida.
Come scriveva Thomas More tanto tempo fa “…è più facile che uno spirito fiero scelga di fare il ladro anziché il mendicante…”, aveva proprio ragione.

venerdì 18 luglio 2014

post 139: qualcunohadettocheiohodetto27



Chi si riferisce al seppur banale principio del giusto e dello sbagliato viene additato come un reazionario sovversivo

giovedì 17 luglio 2014

post 138: qualcunohadettocheiohodetto26



M’imbarazza il silenzio e l’approssimazione che ci sono attorno a certe questioni dove l’italiano medio generalizza banalizzando

mercoledì 16 luglio 2014

post 137: qualcunohadettocheiohodetto25


Le persone poco solidali praticano lo sterile culto del sé per soddisfare la miseria del proprio io

martedì 15 luglio 2014

lunedì 14 luglio 2014

venerdì 11 luglio 2014

mercoledì 9 luglio 2014

post 133: qualcunohadettocheiohodetto21


Le donne non vanno classificate in belle o brutte ma in quelle che la danno, in quelle che la fanno annusare, e quelle che non la daranno mai

martedì 8 luglio 2014

lunedì 7 luglio 2014

post 131: qualcunohadettocheiohodetto19




E’ solo il pensiero di rivolgere lo sguardo verso la parte ripida del crinale ad ossessionarci

giovedì 3 luglio 2014

post 129: qualcunohadettocheiohodetto17




Il problema degli italiani è l’indole mafiosa unita all’essere banderuole camaleontiche

martedì 1 luglio 2014

post 127: qualcunohadettocheiohodetto15






I sistemi bancari vivono e prosperano stando al limite della legalità, in realtà, operando oltre il limite perché protetti da norme che loro stessi hanno imposto e quindi controllano apparendo come gli unici garanti della sicurezza economica

venerdì 27 giugno 2014

post 124: qualcunohadettocheiohodetto12


Tutto è convenienza, nulla per nulla, nemmeno quando si parla di sentimenti. Questo, per molti, è semplicemente un trascurabile dettaglio

giovedì 26 giugno 2014

giovedì 19 giugno 2014

post 120: qualcunohadettocheiohodetto8

Gli uomini sanno continuare fino al punto di credere in qualcosa d’impossibile percependolo come probabile o plausibile

mercoledì 18 giugno 2014

martedì 17 giugno 2014

post 118: qualcunohadettocheiohodetto6






Una domanda che mi mette in difficoltà, perché obbliga ad essere bugiardi, è “Ciao, come stai?”

venerdì 13 giugno 2014

post 116: qualcunohadettocheiohodetto4

Mostrarsi per quello che si è, orrori e vizi inclusi ignorando l’astuzia, affidandosi al solo istintivo ardire

giovedì 12 giugno 2014

mercoledì 11 giugno 2014

post 114: qualcunohadettocheiohodetto2




Uno stato dove i valori morali e civili essenziali alla serena convivenza sono sempre superati dalle convenienze di parte è solamente una banale rappresentazione geografica di un luogo

martedì 10 giugno 2014

post 113: qualcunohadettocheiohodetto1






Per abitudine si vive accanto a persone odiose, s’impara a portare le catene subendo ingiustizie, si soffre rassegnandosi al dolore, alla solitudine, a tutto

mercoledì 28 maggio 2014

Again: come l’ultima foglia rimasta sul ramo (3 marzo 2014)


 

 

Questa è la storia di Gerardo, un uomo di trentacinque anni, che sarebbe diventato mio vicino di casa. Dopo aver traslocato dall’appartamento che avevo diviso con Giovanni, il quale m’aveva invitato a trovarmi altra sistemazione visto che lui ed Ivana intendevano convivere, riparai in un minuscolo ma delizioso –si dice così in questi casi- monolocale arredato con una sola finestra, bagno cieco, posto all’ultimo piano di una palazzina della prima periferia della città. A me bastava, in fondo ci dovevo solo dormire e scrivere, niente di più. Quando arrivai con gli scatoloni contenenti le mie poche cose incontrai sulle scale un uomo barbuto –Gerardo- che sorridendo si offrì di aiutarmi. Fu gentile ed io come segno di gratitudine gli offrii un caffè, facemmo una chiacchierata. Lui era il proprietario dell’appartamento confinante al mio e lo stava completamente ristrutturando visto che di lì a poco si sarebbe trasferito con Edvige sua prossima moglie. Era raggiante, aspettava con ansia quel giorno, per lui cattolico osservante. Una brava persona che oltre al lavoro in officina –riparava auto-moto veicoli dallo zio- s’impegnava molto nel volontariato conducendo corsi di catechismo all’oratorio della chiesa che distava pochi passi da casa, seguendo i ragazzini più problematici del quartiere insieme alla sua fidanzata Edvige –anche lei catechista volontaria in parrocchia-, e proprio in quelle occasioni si erano conosciuti ed innamorati.

Mi fece sorride, nel senso buono, l’entusiasmo con cui mi raccontò la sua vita. Era il classico maschio sognatore, con l’aggravante romantica, ma quella volta non volli farmi idee sbagliate e continuai ad ascoltarlo. Dopo il suo monologo mi chiese che cosa facessi, se avessi una fidanzata, eccetera…per non deluderlo inventai qualcosa che lui potesse apprezzare –visto che non potevo di certo dirgli che scrivevo storie erotiche sul web per mantenermi e che di fidanzate non ne avevo mai avuta una ma solo molte amanti occasionali-. Perciò mi dichiarai studente universitario in teologia in quel momento impegnato alla stesura di un saggio incentrato sulle lettere di Paolo di Tarso –mi venne così, fu la cosa più cattolica che riuscii a pensare in un secondo-. Mi guardò sorridendo: avevo colpito nel segno tanto che non si azzardò più a tornare sull’argomento.

Mi mostrò la casa che stava ristrutturando: un appartamento che si era comprato con tutti i suoi risparmi uniti ad un mutuo devastante, ma lui era fiero ed incurante della difficoltà che si era assunto, mi raccontò della cucina che stava costruendo con l’aiuto degli ex-tossici di una comunità in cui prestava volontariato e poi tutta una lunga storia sull’impianto dall’allarme con tanto di microcamere di sicurezza. Parlò del futuro, dei figli, dell’importanza della fede. Infine arrivammo in camera da letto e si bloccò quasi imbarazzato. Io sorrisi, in fondo è normale che in una casa ci sia una camera da letto, ma per lui quello era un luogo importante quasi sacro dove avrebbe condiviso la sua intimità solo con la donna che avrebbe sposato. Capii al volo la situazione e glissai con un borbottio d’assenso. In praticata non aveva c’aveva mai scopato e la sua donna era chiaramente vergine. Tutto nella logica cristiana della coppia, ma chi ero io per poter giudicare? Non feci altro che fargli tanti auguri ringraziandolo nuovamente per l’aiuto che m’aveva dato. Lui m’invitò per quel sabato pomeriggio all’oratorio, avrebbe voluto presentarmi la sua futura moglie Edvige, il parroco Don Arturo e tutti i ragazzi che seguivano.

Accettai. Non so perché. Ma lo feci.

 

Fu un pomeriggio abbastanza noioso, devo essere sincero, tutti mi sorridevano ed erano gentili, fin troppo. Edvige era in linea con le aspettative: una ragazzetta sui venticinque anni, minuta, smunta in viso. Vestita con colori deprimenti, capelli arruffati, un accenno di baffo non celato dal trucco –perché non lo usava-. Mi parve dolce nel suo modo di porsi e molto simile a Gerardo nei modi. Incontrai pure il parroco, un omino sui sessanta, stempiato con grande pancia tonda, spiccato accento napoletano, alito improbabile, implacabile con i ragazzini che lo guardavano con timore.

 

Circa un mese dopo, verso sera, Gerardo suonò alla mia porta. Aveva l’entusiasmo dipinto sul volto: la casa era pronta. Mi invitò a dare un’occhiata e poi voleva darmi una cosa. Lo seguii, anche se ero di fretta perché dopo poco sarei dovuto uscire per raggiungere un’amica. Gli dissi che avevo pochi minuti.

“Faremo presto…” disse radioso.

Mi mostrò il suo capolavoro: tutto pronto, perfetto, la cucina fatta a regola d’arte. Mi complimentai sinceramente. Evitai la camera da letto chiedendo cosa fosse la cosa che mi doveva dare: era l’invito al matrimonio. Rimasi sorpreso ma lo abbraccia con gioia. Mentre dicevo qualche cosa –le solite banalità tipiche dei momenti in cui non si sa cosa dire- aprendo la busta e leggendo il cartoncino, Gerardo accese il televisore e con uno strano telecomando armeggiò per qualche istante, poi comparirono delle immagini.

Era l’impianto di sicurezza, con orgoglio mi mostrò le varie inquadrature –tre- possibili e pure quella sul pianerottolo che avrebbe dato sicurezza pure a me. Non riuscivo a far altro che sorridere annuendo ebete.

“…e tutto si registra qui, in questo registratore digitale. Vedi, l’ho provato stanotte, vedi come funziona anche a luci spente, veramente impressionante…”

Si voltò guardandomi fiero ma alle sue spalle, in video, la scena era cambiata all’improvviso. Purtroppo lui si girò.

L’immagine fissa del soggiorno di casa all’improvviso s’illuminò. Gerardo sgranò gli occhi, nell’immagine apparve Edvige che entrava in casa. Gerardo tirò un sospiro di sollievo ma quando vide che la donna non chiudeva la porta dietro le spalle cambiò espressione.

“S’è fatto tardi, mi sa che devo proprio andare…” e feci per uscire ma lui non mi sentì essendo oramai entrato in un’altra dimensione.

Dietro ad Edvige un uomo, Don Arturo, e Gerardo ri-sgranò gli occhi. Si fermarono in mezzo alla stanza, lei s’inginocchiò come a pregare, lui rimase in piedi fermo. La ragazza alzò le mani ed il prete all’improvviso alzò la sua tonaca. Ed era nudo. Edvige ingoiò in un sol boccone il membro del sacerdote –che, tra l’altro, era dotato di strumento asinino. La famosa non categoria dei cazzi enormi che sempre piacciono…- ed iniziò una lavoro orale da urlo. In un attimo i due furono nudi, Edvige si appecorò sul tavolino in cristallo davanti al divano e fu montata dal prelato, senza soluzione di continuità, nei suoi due orifizi così oscenamente proposti all’incolpevole microcamera.

Pensai solo che fosse stata una fortuna che quel sistema di sicurezza non avesse l’audio; non riuscii a dire nulla e come un codardo m’allontanai. Gerardo restò immobile con quello strano telecomando in mano senza dire niente. Quando fui per le scale sentii distintamente un fracasso –di cristallo che va in frantumi- seguito da un bestemmione urlato stridulamente.

Quello che accadde dopo lo seppi dai giornali.

Gerardo, ancora sotto choc andò a casa dei genitori, prese il fucile da caccia del padre, e si catapultò in chiesa dove trovò, nella sagrestia, parroco e la fidanzata intenti a ripetere le stesse pratiche del video. Tentarono di negare l’evidente evidenza facendo esplodere completamente la rabbia di Gerardo che puntò l’arma contro i due amanti e li obbligò ad andare sull’altare. Li fece inginocchiare davanti al crocifisso obbligandoli a pentirsi mentre caricava, alle loro spalle, l’arma. Passò la canna del fucile sulle loro teste facendoli rabbrividire e poi chiese perdono a Dio per ciò che avrebbe fatto di li a poco. Edvige iniziò a piagnucolare disperata, Don Arturo tentò di convincerlo con una super cazzola –che ogni uomo è debole e può sbagliare, anche un prete può cadere in tentazione, e lui doveva vedere quella situazione come una prova del Signore, tentò addirittura di far passare quella situazione come un privilegio a lui riservato-.

Gerardo grugnì infastidito.

Quando tutto sembrava perso, all’improvviso, rivolse il fucile contro di se, fece girare i due a guardare l’orrida scena, trattennero il fiato attendendo lo sparo. Poi lo girò ancora verso i due che ebbero un sussulto ulteriore. Ma non successe nulla. Gerardo sembrò placarsi all’improvviso, abbassò l’arma a terra, Edvige e il Don tornarono a respirare come dopo un’apnea. Sul viso dell’uomo si dipinse un sorrisetto satanico.

“Mica sono scemo, uccidere o uccidermi per una troia e per un depravato, mi basta il terrore che avete provato…” disse loro a voce bassa iniziando poi a ridacchiare.

Gerardo si andò a costituire in caserma confessando quanto aveva fatto ma Edvige e il parroco negarono ogni cosa. Non era successo niente e quel ragazzo, forse troppo stressato dalla vita, era per loro uscito di senno. Non fu denunciato ma i giornali ne parlarono. Eccome.

Il parroco chiese il trasferimento alla Curia che lo spedì in una missione in India. Edvige non si riprese mai più da quell’esperienza tanto da finire, anni dopo, in un istituto psichiatrico. Gerardo vendette il tanto amato e poi odiato appartamento per trasferirsi in una piccola casa in legno sulle montagne vivendo come un eremita.

Nessuno ne seppe più nulla.

 

giovedì 22 maggio 2014

Again: adottare (15 febbraio 2014)


 

 

Essere genitori adottivi è un’esperienza assoluta destinata a pochi.

Un bambino adottato è come un tossico senza colpe o volontà d’essersi trovato in quel tunnel e dal quale ha poche possibilità d’uscire. E’ come “in quelli che si sono fatti d’acido” dove all’improvviso, soprattutto in momenti apparentemente tranquilli e senza un perché che la mente possa comprendere, il diavolo che silente in loro alberga spinge violentemente per uscire al di fuori ed esprimersi.

E ci riesce.

Essere genitori adottivi significa rendersi conto di questo ed essere pronti ad affrontarlo nel miglior modo possibile. Con la più grande capacità d’improvvisazione possibile. Tutto qui.

Fondamentalmente serve trovare la forza per resistere a quel diavolo tentando di domarlo, imparando a conoscerlo, sopportarlo nell’inevitabile stretta convivenza. E nel frattempo godersi tutta la parte bella che ogni bambino adottato esprime ancor più d’ogni altro essere vivente, in una forma e con la sostanza che riempiono all’infinito il cuore, rigenerandoti ogni volta nella forza e nella determinazione in attesa della lotta successiva.

E’ questo, un lieve equilibrio, il filo sottile dal quale è facile precipitare: il baratro più profondo da un lato, le vette assolute dall’altro.

 

Solo chi sa vivere come un funambolo può essere in grado di sopportarlo.

mercoledì 21 maggio 2014

Again: tradire (15 febbraio 2014)



 

Non ho mai pensato di tradire qualcuno.

Mio marito, nemmeno a pensarlo.

Però, la vita, è una continua prova. Si è messi di fronte alle tentazioni.

So di avere sbagliato, ma in certi momenti non riesci a ragione, l’istinto prende il sopravvento. Carlo era sempre impegnato fino a tardi, per via del lavoro, i nostri unici momenti d’intimità erano al mattino, in bagno. Mentre lui si faceva la barba davanti allo specchio scambiavamo qualche parola.

Ma poi c’erano le bambine, i loro impegni, le loro necessità, i loro vizi.

Essere madre è una grande responsabilità.

E forse non ne sono mai stata all’altezza.

 

Lo so, un errore fatto in buona fede è pur sempre un errore, e questo peso mi tormenta ancora.

Ogni volta che ci penso cerco attenuanti al mio comportamento, però è stato così evidente, davanti al sacerdote…e a Dio…quel giorno mi ero presa un impegno solenne, e non l’ho saputo rispettare.

E’ successo. Solo una volta. E per di più nemmeno è stata un’esperienza piacevole.

Forse con la persona sbagliata, soprattutto per le conseguenze, ma di quelle ora non voglio parlare.

Carlo non meritava tutto questo, lui si è sacrificato sempre per me, le nostre figlie, s’è ammazzato con il lavoro.

         Essere moglie è una grande responsabilità.

E forse non ne sono mai stata all’altezza.

martedì 20 maggio 2014

Again: creazione e creatività (12 febbraio 2014)


 

 

Errore comune, che spesso conduce a conclusioni sbagliate, è quello d’intendere la creazione come creatività. Si parla di una nuova creazione con leggerezza quasi blasfema, usando parole e significati, senza cognizione. La confusione generata innesca un meccanismo così perverso da far riconoscere come vero ciò che invece nasce da uno sbaglio grossolano.

In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque…

Sono i primi versi della Genesi, l’inizio della Bibbia, li conosciamo tutti -o quasi- definiscono come meglio non si sarebbe potuto la creazione compiuta da Dio e bastano due righe a differenziarla da ciò che facciamo noi comuni mortali. Nessun confronto, noi al nostro massimo possiamo essere creativi, cioè, adoperarci in azioni di creatività. E la creatività che sta dietro la realizzazione di un oggetto rappresenta un aspetto geniale oppure è solo il frutto d’artifizi o altro…insomma, il design è il frutto della creatività?

Se concordiamo sul fatto che le cose non sono design, che gli oggetti sono design se prodotti da geni, possiamo definire la creatività come il processo geniale che sta alla base del meccanismo. Ma la maggior parte di noi non è un genio perciò inquadrare un meccanismo tanto complesso da comprenderlo a fondo è operazione difficile se non impossibile.

La fantasia e il potere dell’immaginazione sono i motori trascinanti di un processo creativo. Rappresentano l’illuminazione che accende il buio della banalità e rende visibile ciò che sarebbe rimasto nascosto. Ma come partono questi meccanismi, cosa li stimola, dove stanno nascosti prima di esprimersi, tutti ne possediamo?

Un modo per definire ciò in maniera pratica e riscontrabile da ognuno è quello di usare qualcosa di cui tutti siamo dotati e sappiamo quantificare nonché valutare: il piacere.

Inteso come senso di godimento provocato da una situazione che viviamo o pensiamo. Fisico e mentale. Tutti sappiamo definire il piacere fisico –sessuale- quasi tutti quello mentale –intellettuale-. Senza entrare in discorsi filosofici o altro, facendola facile, restiamo al primo: ognuno di noi ha provato, a suo modo, l’esperienza dell’orgasmo.

Forte, intensa, unica, sublime, incommensurabile…ed altri centinaia di sinonimi. Nella mia esperienza professionale spesso la creatività migliore che ho saputo esprimere si è concretizzata proprio quando mi sono liberato dai vincoli castranti e/o catene mentali lasciando libera la mia voglia di sublimare con un’esperienza orgasmica. Ed il susseguente coinvolgimento in essa dei miei clienti ha dato vita a ciò che posso ritenere creatività.

Tutto gira attorno al piacere, quindi.

L’unico modo per essere in equilibrio è provare piacere da ciò che si fa, da ciò che si è, evitando inutilmente d’impegnarsi in qualcosa che con se stessi non ha nulla a che vedere. E’ un dettaglio che fa la differenza. Il denaro ed il potere non producono direttamente piacere, il senso di giustizia e correttezza nemmeno così come la soddisfazione, le vendetta, la rivincita, l’affermazione. La ricerca del piacere, come elemento indicatore, è una lotta che necessariamente si deve combattere per cercare di arrivare, almeno avvicinarsi, a ciò che determina la creatività. Un processo indispensabile che spesso rimane invisibile ai più ma necessario in quanto fatto evolutivo. Ma nel nostro mondo, in società sorde e cieche o solamente poco sensibili, l’orgasmo viene surrogato da altro: i ricchi sublimano col denaro, i potenti con la prepotenza e l’arroganza, i giusti con l’equilibrio ritrovato…eccetera…detta volgarmente, ad una donna bastano due seni finti ma non cadenti a sublimarsi ignorando il piacere provocato da una mano che li tocca sapientemente…così come a molti uomini è sufficiente un SUV full optional a sublimare la propria mascolinità.

Il design è il frutto della creatività? Si, a patto che sia opera di una mente geniale e non di un meccanismo truffaldino o non istintivo.

In allegato un piccolo vademecum in sette punti utile per alcuni momenti della vita, quando siamo indecisi, quando siamo vulnerabili.

 

Bisogna diffidare da chi si pone:

- come un genio senza averlo mai dimostrato;

- come inventore dell’acqua calda o di speciali ghiacciaie per eschimesi (è una metafora, valgono esempi simili), cioè di cose e non oggetti;

- come necessario per la nostra vita;

- come conveniente per ciò che propone;

- come rispettoso osservante del mondo umano e della natura;

- come depositario della verità assolute;

- come alternativa plausibile, o, l’unica rimasta.

 

         Se siamo in grado di uscire intatti da tutto ciò siamo pronti ad affrontare il secondo e conclusivo step che ci può condurre verso scelte a noi corrispondenti, ovvero, riconoscere la bellezza attraverso la ricerca del gusto.

Per ora basta ricordarci che creazione è affar divino, creatività è argomento geniale, noi moltitudine di comuni dobbiamo solo cercare di provare piacere. Se ne siamo ancora capaci.

lunedì 19 maggio 2014

Again: anima gemella (9 febbraio 2014)


 
 

La ricerca dell’anima gemella è spesso vana tanto che ci s’accontenta di credere possibile trasformare un’empatia in un sentimento indissolubile come quello che solo due anime identiche possono stabilire.

Aspettando, e soffrendo, si tenta assecondandosi e modificandosi alle necessità altrui di rendere migliore ciò che migliore non potrò mai essere: inconsciamente non è accontentarsi ma tentare di rendere meno disperata la propria esistenza. E anche se la certezza definitiva non è scritta si resiste ignorando che la logorante rinuncia a se stessi porterà a cambiare tanto fino a che, se pur quel momento tanto ambito dovesse compiersi, non sarà mai in grado di soddisfare il desiderio così a lungo forzatamente sopito.

Ma gli umani sanno continuare fino al punto di riuscire a credere in qualcosa d’impossibile percependolo come probabile o plausibile, semplicemente imponendoselo, certi che sofferenze e indifferenze saranno state il necessario prezzo da pagare per giungere all’equilibrio agognato.

E questo sembra bastare.

Anche se nulla intanto cambia.

E quello che resta è solo un continuo attendere.