Ogni
giorno che nasce è l’inizio d’una lotta che solo spegnendo la luce sul comodino
quando sarà finito si placherà. Anche oggi. Che dovrebbe essere diverso. Si,
perché non tutto va sempre liscio, a volte il buio silenzioso della notte è
squarciato da un sogno brutto che s’impone, altre volte qualcosa desta
d’improvviso lasciandomi per un po’ attaccata la sensazione di paura forte che scuote addirittura le
viscere, altre ancora è peggio tanto da non riuscire ad abbandonarmi al sonno nemmeno
applicando la procedura consolidata della sua ricerca. Contare pecore. Lotto e
combatto, parto e mi fermo, respiro a fatica poi in un attimo tutto sembra
tornato in equilibrio. Anche se continuo a sentirmi sul filo a cento metri
d’altezza. I vizi, le lacune, il mio essere così imperfetto o troppo perfetto mi
si fa dinnanzi appena apro gli occhi. Non lo tollero ma è tutto sempre presente
ed appena mi specchio entrando in bagno ne ho conferma. La mia faccia non
mente, almeno a me, perché so leggere fra lo sguardo e le occhiaie che mi
ritrovo. So veramente ciò che penso. Anche provando a fingere non mi frego. E intanto
il tempo passa, l’orologio implacabile, bisogna muoversi e mi devo muovere. I
minuti veloci passano quasi durassero trenta secondi, colazione, bagno, i figli
da seguire ed aiutare. Allacciargli le scarpe ed infilargli la giacca mentre
loro cantano e starnazzano felici: insopportabili ma tanto sopportabili, amabili
ma pure il contrario, vorresti voltarti ignorandoli ma pure stringerli così
fortemente al petto da renderli inseparabili per l’eterno. La tua donna, il tuo
unico amore, anche con lei lo stesso meccanismo. Insopportabile quanto
necessaria, decisiva quanto fastidiosa, ti manca come l’aria quando t’immergi
sicuro che la boccata presa sia stata sufficiente. Ed invece un attimo dopo capisci
il contrario. E annaspi affannando. Non puoi scordarti d’amare, mai, amare è
una complessità tale da non poterla comprendere a fondo appena mezz’ora dopo l’essersi
alzati dal letto. Un caffè ed una sigaretta non possono darti consistenza
intellettuale tale d’affrontare una cima emotiva del genere.
In
un attimo sono fuori, dentro al mondo degli altri, con ed insieme agli altri. Odori,
colori, rumori. Velocità diverse. Compressione da smog del traffico. La testa
mi duole anche se provando a pensarci non sento dolore. Eppure percepisco sofferenza.
Cammino veloce, il corpo conduce senza bisogno d’una testa che pensi le
traiettorie, fa tutto da solo e non mi fa paura. Guardo avanti anche se in
realtà osservo quello che sta in parte. Degenerato, sconsiderato, inadeguato,
banale, scontato, superficiale, offensivo. Penso ancora, distratto dal guardare
culi di donne camminanti a lato, vengo deviato dalla visione che tra l’altro
non m’interessa e parto per un attimo con pensieri poco puri: ma pure fissando
le labbra di mia moglie mi capita ogni volta lo stesso, chissà se sono il solo
a farlo oppure tutti ci cascano. Sono malato o semplicemente me stesso? E non è
solo una questione di sesso sia per i culi -per lo più mostrati quando forse dovrebbero
essere occultati- sia per le labbra –il bacio è la più pura espressione d’affetto
ma ci si ride spesso sopra-. Fatto, voluto, immaginato o semplicemente
desiderato. Ed intanto i bambini reclamano: che cazzo pretendono, ti chiedi
mentre comunque gli dai risposta, un SUV taglia senza scrupolo la strada per fregare
un parcheggio e quasi t’azzoppa. Un vaffanculo
sarebbe liberatorio ma non sei solo, non devi mai scordare d’essere esempio che
poi viene imitato, mandi giù un amaro che manco capisci di cosa sappia. Ma che
cazzo, e ti fa schifo, vorresti sparire anzi sparare. In quel istante ti
chiedi seriamente quanto costi una pistola e perché non hai mai pensato di
comprarne una o almeno chiedere il porto d’armi. Non vuoi fare il modello di
alcunché ma sembra che molti s’ispirino a te. Soprattutto quando hai dubbi,
quando vacilli in preda ai tuoi istinti, quando te ne infischi del pensiero che
potresti scaturire. Ma ogni volta ti fermi, sentendo di censurarti, farti
violenza senza far apparire violenza. Ancora mandi giù qualcosa d’amaro. Ti
riprometti d’ignorare chi ti vuole scroccare una sigaretta appena uscito dal bar,
ma poi sorridi e offri anzi gliela accendi pure, appena ti riprendi dall’ennesimo
ingoiare qualcuno ti chiama al telefono. Sono quelli che lo fanno solo per necessità.
Vorresti dare spazio al tuo egoismo elevandolo a cosa sana ma ti blocchi, hai
paura che forse prenda il sopravvento visto che immagini il suo gusto
appassionante senza dubbio non amaro, eviti di pensare all’inevitabile viaggio
di ritorno alla normalità che dopo un ipotetico momento dedicato a te stesso risulterebbe
insopportabile. Manco ti fai sfiorare dal sospetto, e continui a farlo, ora
dopo ora giorno dopo giorno anno dopo anno.
Sono
già esausto, credo d’essere felice almeno lo spero anche se non so cosa
significhi esserlo, di certo so che la serenità non m’appartiene. Perché al
richiamo accorro sempre, non riesco ad ignorare anche se vorrei tanto essere
sordo, vedo anche se provo a chiudermi gli occhi in ogni occasione.
Giornata
come altre. Qualcuno che lagna direbbe di merda. Io dico come le altre. Ma
almeno è passata rapida, così m’è sembrato, così l’ho percepita.
Per
fortuna è notte, ho solo la luce sul comodino da spegnere, la possibilità
concreta che tutto per qualche ora si fermi lasciandomi libero dal solito turbine
massacrante.
Lo
spero per il mio bene, spero che la mia ambivalenza mai si trasformi in
ambiguità, spero che se dovesse accadermi d’essere talmente insensibile almeno il
poter ignorare ogni eventuale senso di colpa mi sia concesso. Spero sempre,
spero anche se non so cosa sia meglio sperare, comunque spero. Non si sa mai.
Guardo
la luce accesa, sono alla fine di un’altra giornata che non doveva essere
uguale, ho solo voglia di dormire. Niente di speciale. L’avrei voluta diversa,
lo speravo, ma in fondo non me ne importava niente. Anche se in un angolo forse
lo speravo. Tipo. Torta gigantesca con sorpresa annessa. Festa a seguire.
Va
bé, sarà per la prossima volta.
Manca
ormai meno di un anno alla prossima occasione.
Ma
in fondo questa è la mia vita, che ho il privilegio di vivere, la fortuna di
raccontare, il gusto perverso di criticare anche con ironia.
Una
vita che ho scelto e voluto.
Nessun
dubbio anche se dentro mi rendo insopportabile e lagnoso fino a me stesso,
forse perché mi piace pure quello, spero che troppi non se ne accorgano e
continuino pensando all’idea che si sono fatti di me e vivano felici con quella
senza troppo indagare sul mio conto.
Simpatico
scanzonato burlone.
Perciò.
Tanti
auguri a me.
Click.
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