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martedì 28 luglio 2015

post 159: carne (incipit - paulolanz 2015)



A volte bisognerebbe avere l’istinto d’un giocatore di poker che sa fermarsi al momento giusto. Anche se non si sa giocare a carte, perché non si conoscono le regole o mai le si sono imparate, nonostante i bassi istinti continuino ad incitare solo perché si sta vincendo una partita.
Alzarsi dal tavolo, quando è il momento, come liberarsi dal corpo per dare libero spazio all’anima.
Semplice.
Eppure non ce la facciamo.
Fuggiamo anzi rifuggiamo.
Mistifichiamo per giustificarci.
Perché siamo schiavi.
Della carne.
La nostra.
Che ci fa sensibili e suscettibili, avidi ed irresponsabili, subdoli e senza scrupoli, aridi, goduriosi. Sappiamo di non dover stare ad alcun tavolo per giocare tutto o poco, non per la paura di perdere, per non inquinare la natura con ciò che non le appartiene. Ma non lo facciamo perché il richiamo è irresistibile. “I denti della concupiscenza trafiggono con morsi dolci e soavi” e l’equilibrio è tale solo in un preciso attimo. Quasi indecifrabile, eppure bramiamo per la sua ricerca, pensando a quel puro brivido sensibile credendo che solo immaginandolo possiamo essere vivi.
Siamo in bilico, ce ne rendiamo conto, ma non facciamo niente per evitarlo. Abbiamo presunzione e sfrontatezza, esaltiamo il nulla riconoscendogli addirittura l’equilibrio, viviamo solo in fretta ciò che accade come fossero tutte occasioni irripetibili.
Perché abbiamo il terrore del domani.
Del dopo.
Del poi.
Riuscendo a godere solo di sensibilità epidermica continuando a rimandare quel pensiero.
Ma il domani arriverà.
Quel domani nel quale, invece, continueremo ad essere.


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