Non ho paura della
solitudine. Io solo con me stesso sto bene. Mi basto, almeno non soffro la
compagnia di qualcuno indesiderato, so quando tacere i miei pensieri
rispettando la necessità di silenzio. E’ così sottovalutata la possibilità che
si ha di starsene zitti, anche con se stessi, nell’intimità della propria
mente.
Soli son quelli che si
spaventano a rapportarsi con se stessi.
Corrono inquieti
ricercando una presenza fisica a cui proporsi in discorsi auto referenzianti
che riguardano solo una cosa: la paura d’affrontarsi. E nemmeno l’idea che la
solitudine possa evocare il silenzio ultimo della morte può spaventarmi: penso
a chi non c’è più grazie al suo ricordo, in fondo nessuno è mai ritornato alla
vita tanto da poterci fare un chiacchierata per comprendere momenti e
situazioni ai viventi sconosciute. E perciò dovrei spaventarmi? Per qualcosa di
ignoto, per la paura del distacco, o forse più banalmente per il timore di
soffrire anche fisicamente nel trapasso dal terreno a ciò che esiste dopo?
Solo, per me, significa
pieno.
Di me stesso, dei miei
pensieri, espressi senza filtro o censura.
Momento che vale per
quello che è; l’occasione migliore per comprendere i propri desideri senza
dover usare mille parole che non riuscirebbero nemmeno a delinearne il contorno.
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