Translate

mercoledì 5 agosto 2015

post 163: ribrezzo (tratto da La sconosciuta – inedito 2014)

I ricordi di un’epoca passata, l’infanzia, la formazione culturale. Lo studio visto e percepito come uno sforzo perché quando si è giovani altri sono i pensieri che interessano. Studiare equivale a perdere tempo, come fosse una pena da espiare, e l’obbligo di dover ricordare è una cosa che non può certo appassionare.
Dalla scuola elementare fino al liceo.

Odio scrivere anche se lo devo fare non mi viene mai in mente nulla di giusto quando sono obbligata…odio leggere chi crede d’aver qualcosa d’importante da dire…eppure sono state cose che per lungo tempo mi sembravano assolute e necessarie…ma cosa avevo nella testa a quattordici anni?

I primi ricordi relativi al sesso, i primi sguardi maliziosi con i coetanei, i primi baci rubati. Le guance arrossate dall’imbarazzo. L’innocenza violata di fronte a stimoli istintivi che il corpo comincia ad imporre. Stare dentro le regole, il rapportarsi ai “no”, gestirsi di fronte alle cose sbagliate cercando un equilibrio fra quello che si può dire, fare, pensare.

Toccarmi mi piace lo sfiorarmi con le dita…sentirmi così sensibile…bagnata…e nemmeno devo pensare a qualcosa o qualcuno…il mio primo vibratore…meglio di molti maschi ai quali mi sono data

I primi pensieri poco puri, la scoperta delle parti sensibili del proprio corpo, un piacere fisico diverso ma così assoluto da sovvertire ogni ordine di priorità fino a quel momento conosciuto e rispettato.

A quattordici anni c’era una cosa che m’interessava veramente, e pure molto, il sesso. A scuola non se ne parlava in modo ufficiale, nemmeno da un punto di vista informativo, sembrava che l’argomento rappresentasse qualcosa d’irreale. Come una realtà che nei fatti non esisteva. Eppure c’era, fra noi ragazzi non si parlava d’altro, in modo diretto o indiretto, alludendo, i più audaci tentando di provare. A dir la verità pure a casa era argomento tabù; non ricordo d’avere mai sentito parlare i miei genitori di sesso. Sforzandomi non riesco a ricordare uno sguardo d’intesa tale che mi facesse pensare a loro due come esseri sessuati. Mi sono sempre apparsi come fra loro indifferenti. Forse ero pure distratta da altro termine di paragone, cioè, come zio Gustavo si comportava con sua moglie zia Clotilde.
Lei, sorella minore di mamma, era una donna smunta e sciatta nell’aspetto ma che lasciava trasparire di tanto in tanto occhiate di reciprocità verso il marito che facevano volare la mia immaginazione. Anche quando non sapevo bene cosa significasse il sesso e per me il massimo della trasgressione, che m’imbarazzava tantissimo, era un bacio scambiato in punta di labbra. Tutto fino ad un certo giorno in cui le cose cambiarono definitivamente.
[…]
Mi piaceva studiare, fin da molto piccola, imparai presto a scrivere ed a leggere anche se non mi andava di dimostrarlo a nessuno tanto che molti pensavano seriamente che avessi dei ritardi cognitivi. A scuola andavo male perché, semplicemente, non mi andava di rispondere. Ed in particolare al maestro che mi fu assegnato in prima elementare che assomigliava in modo impressionante a zio Gustavo. Per me era impossibile farlo.
Mi faceva ribrezzo il solo guardarlo, prevalentemente ascoltavo a testa chinata le lezioni, fu impossibile rapportarmi a lui anche quando ero obbligata.
Tutti dissero che ero una ribelle dopo aver scoperto che sapevo scrivere e leggere benissimo, addirittura meglio di tutti i miei compagni, e per sempre fui bollata con quel marchio indegno che mi trascinai fino al liceo.
Anche per questo ho sempre odiato la scuola, anzi, le persone che là dentro s’incontravano. Tranne uno: il professore di filosofia in quinta ginnasio del quale m’invaghii completamente. Niente di sessuale, non sapendo nemmeno cose potesse significare, un inconscio platonico trasporto che mi permise di sopportare anni così complicati e pieni di buio. O forse, semplicemente, il mio primo vero innamoramento.
[…]

Io ti voglio so che tu un giorno ci sarai perché ho bisogno di te è troppo lunga l’attesa parole inutili riempiono il vuoto senza dare nessun sollievo l’ombra della solitudine oscura ogni pensiero la disperata agonia di chi cerca amore voglio giocare col tuo profilo delineare evidenziandola la linea che ti separa dal resto il tutto dal nulla morbida traccia che mi fa sognare il cuore che aumenta il suo battere e tenerti fra le braccia il respiro affannato d’una sognata unione io ti voglio chiudo gli occhi per sentir meglio passo le mani sul tuo corpo freddo brivido ghiacciato e poi incandescente come lava la tua pelle odora ha il profumo del fascino tremo perché non ci sei ma basta l’illusione il solo piacere che mi da pace a quest'ora essere in te ma poi tutto forse finirebbe troppo presto tutto troppo veloce e repentino la fine di una nuova illusione e forse dell’ultimo sogno ti ho sempre amato oggi come allora ci penso e vorrei averti per riprendermi quegli attimi inutili trascorsi il sapore della tua essenza sta dentro al mio gusto ogni piccolo respiro è filtrato dal tuo sguardo forti sensazioni che mi fanno sentire viva ma una stupida paura m’ha bloccata ogni parola è rimasta chiusa dentro la mia dolente anima il tuo esistere insieme al mio è la perfetta unione di ciò che pensavo fosse la cosa esatta il corretto equilibrio ti ho sempre amato è facile dirlo ora più di quello che pensassi difficile è annunciarlo gridarlo al mondo l’ho capito tardi e forse tu sapevi hai sempre percepito il mio palpitante sfiorarti e anche tu te ne sei innamorato

[…]
Nella vita si conoscono tante persone.
Alcune colpiscono per un particolare, alcune lasciano poco, molte nulla. Spesso si è portati a considerare chi non lascia segno come inutile classificandolo come privo di spunti interessanti.
Ma questo può essere un errore.
La prima volta che non lo feci fu con il professore di filosofia, in seguito con altre due persone fidandomi ciecamente del mio istinto accantonando la ragione. Con il passare del tempo cominciai a comprendere il vero valore di ciò che frettolosamente tendevo a trascurare nei primi momenti. E quasi per magia imparai a comprendere il vero valore togliendomi dagli occhi quel velo di superficialità che non mi faceva riconoscere le cose o le persone importanti.
Ciò che vidi fu una realtà popolata da alcuni che vivevano schiavi del loro modo d'essere. Troppo sensibili e molto vincolati, legati indissolubilmente ai voli fantasiosi della propria mente, sempre attenti ai segnali lanciati della voglia di sognare. In perenne ricerca di forti sensazioni che l'istinto imponeva spingendoli a volte verso gli estremi, sbagliando per inseguire quello che gli altri mai avrebbero compreso. Le regole imposte. Estro e follia, passione ed intensità, genio e sregolatezza, quiete e tempesta.
Iniziai ad osservarli con maggiore attenzione, diventarono spunto e stimolo perché mai cedevano davanti ai ricatti morali e culturali, pur soffrendo per quella contraddittoria condizione, mirabile per me lo sforzo di cercare la propria vera dimensione.
Nella mia vita di persone così ne ho incontrate solo tre.
[…]
Avevo otto anni.
Un pomeriggio a casa di zia Clotilde. La zia, che non aveva figli, era una delle poche persone che mi degnava d’attenzione. Era lei a prendermi all’uscita da scuola e quasi ogni giorno stavo in sua compagnia; mi aiutava a fare i compiti, giocavamo insieme, mi raccontava storie. Episodi divertenti, della sua infanzia, delle vacanza nella casa al mare a Rapallo. S’illuminava quando raccontava delle colazioni in terrazzo dove nel centro troneggiava un vecchio ulivo. E pur non comprendendo come un albero d’ulivo potesse stare nel centro d’un terrazzo non dubitai mai di ogni sua parola.
Zia Clotilde era una donna apparentemente insignificante ma dalla classe innata. Nei modi soprattutto. Fu lei ad insegnarmi come ci si deve comportare anche se quando ero piccola mi sembrava spesso un dittatore per come m’imponeva le regole. Ma oggi la ringrazio. Ancora. Come si sta seduti, come ci si rivolge alle persone, come si deve stare zitti in certi momento oppure parlare in altri. L’importanza della gestione dei gomiti a tavola, non credo di ricordare mai una sua parola fuori posto, un’imprecazione o una frase sbagliata. Eppure in certi momenti ne avrebbe avuto ben donde, con il marito soprattutto, un uomo volgare e pedante. Belloccio ma dall’aria viscida. Con la mano lunga soprattutto riguardo a giovani natiche femminili. Un uomo con il simpatico vezzo dello stuzzicadenti perenne fra i denti, dalla bestemmia facile, con la convinzione che un rutto o una scoreggia condivisi in compagnia rappresentassero qualcosa vicino al massimo dello spasso. Mi guardava con quei suoi occhi doppi e mi sussurrava tu sei pura.
[…]

E’ la frase che ha usato ne sono spaventata un estraneo ha toccato il centro attorno a cui ruoto io lo so ho sempre recitato la parte esatta ad ogni momento mascherare ciò che sono evitare di mostrare la verità sto nascosta mimetizzata in un personaggio opposto cospargo nefandezza su ogni segno sulle tracce pure che lascio copro sotterro inverto la paura di essere scoperta m’ha portata oltre il limite disseminare discordanti elementi sulla strada per separare la natura dall’apparenza mi sento coinvolta invischiata fino a collo bloccata prigioniera obbligata è vera paura o sto solo fingendo mento a me stessa m’inganno sto recitando una parte ciò che resta è la mia fedele compagna di viaggio unica fonte d’ispirazione vera essenza di tutto quello che sono e voglio essere la verità sola strada sicura che conosco e che mai potrò abbandonare

Il professore di Filosofia si chiamava Balducci. Amedeo Balducci. Un uomo sulla sessantina corpulento dalla voce calma e profonda. Capace però di catturare l’attenzione di noi giovani studenti coinvolgendoci con garbo nelle questioni filosofiche che l’uomo s’è sempre posto attorno al se, al mondo in cui vive, alla natura, ai limiti della conoscenza. Anche se non tutti vedevano in lui un riferimento da seguire tanto da farsi lunghe dormite durante le lezioni, altri, ammaliati dalla sua capacità oratoria divennero quasi discepoli.

Ricordo quella voce profonda e ancora mi stimola chissà come l’avrà avuto piccolo o grosso un tenero amante o un depravato un incapace o un esperto forse eiaculava solo a sentire carne fresca e disponibile ahahah mi sto eccitando come allora al solo pensiero


La seconda persona a cui viene fatto riferimento è Fernando, un omosessuale con cui divenne molto amica, un rapporto molto speciale. Infine Cristiana, in un periodo successivo, con cui vivrà esperienze particolari e per lei rivelatrici della natura umana ed anche della sua.

Nessun commento:

Posta un commento