Ricordo
una parte della mia vita in cui ciò che più mi rendeva felice era meravigliarmi.
Delle cose che vivevo, di ciò che vedevo, quello che accadeva attorno a me, del
non sapere nulla.
Poi
accadde qualcosa.
Cominciai
a capire alcuni meccanismi e la meraviglia si trasformò in dubbio perché sentii
di non conoscere abbastanza. Quindi far mie tutte le spiegazioni possibili fu l’unica
strada da seguire. E la percorsi applicandomi e studiando per voler limitare le
lacune cercando di riempire tutti i vuoti che da solo non potevo colmare. Dallo
scarabocchio alla scrittura, sillabare le lettere per poi leggere parole, imparare
i numeri e contare, la matematica, la musica, l’arte, la scienza. Sempre più
informazioni, sempre più nozioni, sempre più certezza.
Poi
d’improvviso mi fermai.
La
sicurezza data dalla conoscenza aveva oramai definitivamente estromesso la
tanto amata meraviglia; quando lo percepii fu come togliersi un velo dagli
occhi e finalmente vedere nitidamente. Mi resi conto che quel mondo non mi
piaceva, fondato solamente sul sapere funzionale, utilizzato spesso o sempre senza le migliori intenzioni. Una
società che portava il sapere sull’altare più alto in nome della sconfitta
della paura e dell’ignoranza. Percepire che inconsciamente l’avevo trattato come
mito assoluto per paura di essere vulnerabile, attaccabile, forse ingenuo tanto
da sembrare stolto. Provai un grande fastidio. E pure il pensare seriamente che
non avrei potuto farne a meno mi fece rabbrividire.
Quella
visione improvvisa mi diede coscienza: la conoscenza acquisita, da conquistare
o da comprendere, non sarebbe più stato l’unico parametro a cui riferirmi. Per
la prima volta capii di essere un uomo che avrebbe dovuto lottare per essere
fine a se stesso e vivere il sapere come mero strumento per ottenerlo.
Niente
altro e niente di più.
Non
poter più accettare d’asservirsi in nome di un falso mito pur vivendo in un
servosistema globale, avendo certezza che altra fosse la fonte da cui
abbeverarsi, sentendo la costante necessità di meravigliarsi come esigenza
fondamentale.
E
ora.
Vivere
completamente quella sensazione, facendomi scuotere anche solo dal suo sfiorarmi,
istanti di pura estasi che vorrei non avessero fine.
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