Una buona parte delle persone che ho
conosciuto appaiono sempre nella stessa forma, ferme in posizione comoda, a
prescindere da quello che accade attorno. Indifferenti a ciò che sentono ed
insensibili a quello che desiderano. Sono come gli arbusti che sopravvivono
immobili sperando che mai alcuna sventura li possa anche solo sfiorare. Tutto fondato
su di un’unica certezza: l’apparente solidità e sicurezza del terreno in cui
sono conficcati. E quello basta: sanno cosa è il meglio ma preferiscono un
peggio garantito di fronte all’incertezza del doversi sforzare provando a
vivere in un terreno migliore.
L’altra parte di persone che ho
conosciuto si muove apparentemente in totale autonomia, magari con la
presuntuosa necessità d’ostentarlo, in realtà hanno sempre bisogno di un sole a
cui rivolgersi per succhiare l’energia senza la quale muoiono. Come girasoli. Sono
quelli che ti possono anche ingannare ma che prima o poi trovi fermi al buio, perché
quello arriva per tutti, immobili senza più capacità d’essere. Rassegnati all’idea
che solo l’attesa d’un nuovo sole sia la soluzione. Falsi ipocriti che si
mascherano dietro ad un’apparenza rassicurante e conosciuta, nel profondo insoddisfatti
adattati a vivere di sola luce riflessa, capaci di gioire solo della mediocrità
perché incapaci d’essere liberi.
Poi ci sono quelli come me, edera, che
senza sole e senza appigli provano sempre e comunque a muoversi. Per rispettare
la loro natura, alla costante ricerca della vita, per niente impauriti dalle
difficoltà che dovranno affrontare.
Perché l’edera, più la tagli e più tenti
di ridurla, più si fortifica e cresce.
In una continua rinascita che inizia
sempre d’autunno, con il buio e il freddo, perché siamo certi che quello che
conta non lo abbiamo vissuto. Alla continua ricerca di se stessi, attraverso la
durezza della prova, come un necessario lascia passare per capire chi veramente
siamo. E fiduciosi accogliamo la vita. Sempre e comunque.
Edera.
Solo questo posso essere.
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