Ci tocca
vivere in una società dove ormai è normale far soldi speculando sui soldi
-denaro prodotto col denaro-.
Non ci
rendiamo più conto del fatto che fare un’attività dalla quale ottenere un
prodotto, e forse un reddito, è cosa sana. Usare il denaro in modo
speculativamente matematico cercando solamente modalità finanziarie
convenienti, senza dubbi, è cosa malata.
Siamo
addestrati a pensare che il meglio è
la resa di un capitale economico piuttosto che aspirare a qualcosa di originale,
funzionale o, addirittura, bello.
E’ chiaro
a tutti quanto vale la bellezza oggi, intendo, nel senso del suo significato?
Non è più
un canone di riferimento assoluto perché non decide i flussi economici e quindi
quelli di potere e controllo. Al di fuori della pura estetica riferita al corpo
umano (più precisamente parti di esso: tette, culi, addomi piatti, pelli lisce,
cioè: bellezza = giovinezza esteriore = successo), siamo passati da una società
basata su sostanza e contenuti ad una fondata sull’effimero. Dov’è attendibile
portatore di verità chi solo declama dal proprio pulpito e non chi compie atti
concreti, dove il sepolcro imbiancato con
fresca calce rappresenta un oracolo a cui ispirarsi, dove l’ipocrisia e la
menzogna sono celate dall’ostentazione morale, dove frasi ad effetto + apparenza estetica sono l’unico lasciapassare
accettato.
La
trasformazione che il senso del bello ha subito è quella relativa al suo
significato: non è più importante capire la vera essenza della bellezza, intesa
a priori, come qualcosa che avviene
all'inizio di un processo conoscitivo, prima dell'esperienza stessa. E’ un
concetto difficile ed inafferrabile ai più. Bello è diventato ciò che produce
effetti tangibili. Quindi, un oggetto è bello se rende in termini di denaro o
potere e non più nel senso di esperienza aprioristica, tutto qui.
E’ la totale mancanza del senso del
ridicolo ad ostacolare la visione corretta: siamo così ammaestrati a pensare ed
agire in modo distorto da non domandarci più il significo di ciò che si compie.
Non riusciamo a capire se quello che accade attorno a noi e quindi le nostre
reazioni siano riconducibili a qualcosa di reale oppure appartengono al
ridicolo. Siamo semplicemente attori inconsapevoli d’una drammatica farsa.
Invito, non tanto per fare una
citazione alta, alla rilettura delle tredici lettere di Paolo di Tarso – si
trovano nell’antico Testamento – per trovare spunti interessanti, l’aspetto
religioso o dottrinale qui non c’entra. Personalmente mi sono rimasti incollati
alcuni passaggi che trovo significanti e necessari per intraprendere una
riflessione che possa portare a delle risposte.
Tutto è puro per i puri…chi pensa di essere
qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso
La purezza è un aspetto cruciale per
comprendere l’esperienza della bellezza. Da quella si parte per vivere
integralmente il sentimento del bello. Che deve essere puro, ma anche
disinteressato, universale, necessario. Un passaggio che dobbiamo sforzarci di vivere
rispetto a tutto trovando e provando la nostra sensibilità rispetto al tutto
stesso. Cioè il bello, o senso estetico, non deriva più semplicemente da quel
tutto con il quale ci rapportiamo ma da dal rapporto che noi creiamo con esso. Come
in una vera e propria relazione. Quasi d’amore. Perché la bellezza provoca i
sensi dando piacevolezza e stimola il gusto a riconoscerla come elemento appartenente
alla nostra natura. E solo lì, nella nostra natura, possiamo trovare
l’inesauribile spinta che ci serve per sopravvivere.
Educhiamoci
ed educhiamo, soprattutto i nostri figli, alla ricerca del bello cercando una normalità senza norma. Osserviamo,
contempliamo, cerchiamo di vivere il più possibile fra e con oggetti belli,
proviamo ad affinare il nostro gusto, accettiamo ed accogliamo il fatto di
dover ogni giorno assumere una quantità di bellezza. E’ una necessità senza
scelta, l’unica capace di distoglierci dalla decadenza che ci sta travolgendo
lasciandoci solo l’illusione d’una attesa, quella d’un oblio sanatorio.
La
bellezza è l’unica possibilità che abbiamo di far tornare luce sulla nostra
rabbuiata natura, l’unica concreta possibilità di ripartenza.
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