Il nostro mondo è pieno di cose.
Talmente tante che non stiamo più a
chiederci nulla rispetto al loro significato, o valore, o necessità. Passiamo
oltre e con il tempo diventano parte del nostro corredo - arredamento mentale - tanto da renderci incapaci di disfarcene il
giorno in cui, per una mera mancanza di spazio, le spostiamo e perciò le
degniamo, dopo tanto distacco, d’uno sguardo.
In verità
non siamo disposti a staccarci da niente, da nulla, forse è solo l’ancestrale
terrore dell’abbandono. Più probabilmente è la superficiale condizione di
banalità a cui il mondo oggi è arrivato che ci costringe, in qualche modo, a
farlo. Non si pensa, e se lo si prova a fare, il tentativo è sempre quello di
usare scorciatoie mentali per risolvere un problema nel modo più comodo e
rapido possibile.
L’appiattimento complessivo ha ridotto
tutto e tutti ad una sorta di conclamata dipendenza da cose che si ritrovano in
ogni casa…cose e casa…cose di casa…siamo tutti proprietari di cose identiche
dall’identico inutilizzo, la gerarchia sociale si è andata a stabilizzare su
livelli d’appartenenza rispetto a quanto possediamo in virtù del soggettivo
potere economico. Livelli: dal basso verso l’alto. Ovviamente. Dalle cose
realizzate secondo grandi produzioni industriali, a qualcosa di più evoluto,
infine a ciò che è esclusivo o appare tale. Così la società si è divisa e
quindi strutturata: la necessità è quella di chi sta in basso d’avere cose
appartenenti ai livelli superiori tanto per potersi affermare e farsi
riconoscere negli stessi. E così, per chi sta sopra, sempre più cose per
consolidarsi nel livello conquistato.
Fa molta paura chi si pone per quello
che è: il mondo si è abituato ed assuefatto alla modalità mascherata dell’anima. E’ più semplice e meno rischioso
apparire per ciò che gli altri riconoscono, mimetizzandosi e proteggendosi
dietro personalità altrui, piuttosto che concedersi nudi e reali senza più
reclinare la testa agli eventi.
Questo
fatto, semplicemente, si chiama moda o stile o tendenza, forse in realtà solo
una vergognosa menzogna atta a creare interesse e profitto.
Ma allora, moda, stile, tendenza, a
cosa si riferiscono? Ad un puro meccanismo commerciale ben pensato e realizzato
–produzione di massa e marketing appropriato- oppure, un’onda emotiva che
trascina le masse in una direzione comune –monopolio intellettuale discendente
dallo stile reality show- o forse l’opinione enunciata da privilegiati oratori
–critici ed esperti e/o presunti tali- che definisce una sottile invisibile
linea di confine stabilendo l’in e l’out?
Ma le cose sono design?
L’anima e la natura delle persone che
pensano e realizzano non muore mai, si sposta da loro a ciò che inventano,
definendo così gli oggetti. Chi è stato in grado di fare ciò è definibile
artista, meglio, genio. Inizialmente solo pochi lo erano, altri avevano
perspicacia, molti s’applicavano nello studio e copiavano con criterio ma ancor
di più erano quelli che non lo facevano, i poco preparati e gli incompetenti installati
ovunque, quelli che copiavano male, infine, la moltitudine di incolpevoli
inconsapevoli masse seguaci di traiettorie convenienti a qualcun altro. Era
così e continua ad essere così. E forse sempre lo sarà.
E’ molto semplice: genio è chi è nato
genio, non chi lo vuole essere. O lo sei o non lo sei, diverso è volerlo essere
o addirittura provare ad esserlo. Chi pensa e produce oggetti, che si sono
evoluti da semplici cose in quanto contengono l’anima e la natura di chi li ha
pensati, risponde solo a se stesso. A nessun altra logica che quella. Non
c’entra il denaro che può scaturire dalla commercializzazione degli stessi, o
dalla valenza che può elevare l’autore nella scala sociale, o dal potere che
può derivare a chi li detiene in modo esclusivo o monopolistico. Ogni epoca ha
avuto i sui geni, ed ogni epoca futura li avrà. Dovrà sempre essere tenuta in
considerazione la necessità che quegli illuminati hanno di cercare nuove forme
d’arte, d’espressione, di verità onesta rispetto alla loro natura. E rispettarla
seguendola con ossequiosa devozione.
Quindi, gli oggetti sono design?
Tornando a noi, alla banale
quotidianità, di chi e cosa dobbiamo fidarci?
Forse una basica riflessione può venirci in soccorso: pensare…ai nostri
escrementi…si, proprio quelli che facciamo in quel posto…normalmente al
mattino.
Invito, e
m’invito, a vederli come il frutto ancestrale, il primo ed unico originale
prodotto dell’anima e del corpo. Elemento da tenere in considerazione senza mai
declinarlo a mero scarto, bensì, il risultato dell’elaborazione della nostra
essenza. Perché il genio, uscendo dalla basica
riflessione, elabora con la stessa semplicità con cui noi, comuni mortali,
ci ritiriamo ad evacuare…in quel posto.
Ad ognuno
il proprio livello, nel senso d’attitudine e capacità.
Bisogna
imparare a riconoscere ciò che contiene onestà e verità tralasciando l’inutile
ed il superfluo; non trattare o farsi trattare come escrementi ma pensare ad
essi come l’opera d’arte che contiene la nostra vera essenza. Basta ricordare i
90 barattoli di Piero Manzoni –gli Artist's
shit- ed il geniale intuito che contengono...
Quindi.
Le cose sono design? No.
Gli oggetti sono design? Alcuni, solo
quelli prodotti da geni.
Quale sarà il design del futuro? Si
apriranno due strade: la prima rappresentata dalla tradizione del genio che
inventa e produce come sempre nella storia dell’umanità è accaduto. La seconda,
quella percorribile da tutti, troverà sviluppo grazie alla capacità di
trasformare ciò che già esiste applicandolo, per esempio, ad un uso diverso da
quello originale –riciclo, visto come nuova collocazione concettuale- l’unione
e commistione di cose diventano nuovi oggetti e forse design. A patto che,
senza falsità o strategici opportunismi, le valutiamo applicando onestamente la
basica riflessione per non cadere
nell’errore, che può divenire tragico, di confondere le cose trasformandosi in
orrore.
Errore ed
orrore che purtroppo continuano ad influire ogni giorno di più su ciò che
importa, o dovrebbe importare, ad ogni essere umano.
Un mondo
diverso, vero, sincero, corrispondente.
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