Questa è
la storia di Gerardo, un uomo di
trentacinque anni, che sarebbe diventato mio vicino di casa. Dopo aver
traslocato dall’appartamento che avevo diviso con Giovanni, il quale m’aveva invitato a trovarmi altra sistemazione
visto che lui ed Ivana intendevano
convivere, riparai in un minuscolo ma
delizioso –si dice così in questi casi- monolocale arredato con una sola
finestra, bagno cieco, posto all’ultimo piano di una palazzina della prima periferia
della città. A me bastava, in fondo ci dovevo solo dormire e scrivere, niente
di più. Quando arrivai con gli scatoloni contenenti le mie poche cose incontrai
sulle scale un uomo barbuto –Gerardo-
che sorridendo si offrì di aiutarmi. Fu gentile ed io come segno di gratitudine
gli offrii un caffè, facemmo una chiacchierata. Lui era il proprietario
dell’appartamento confinante al mio e lo stava completamente ristrutturando
visto che di lì a poco si sarebbe trasferito con Edvige sua prossima moglie. Era raggiante, aspettava con ansia quel
giorno, per lui cattolico osservante. Una brava persona che oltre al lavoro in
officina –riparava auto-moto veicoli dallo zio- s’impegnava molto nel
volontariato conducendo corsi di catechismo all’oratorio della chiesa che
distava pochi passi da casa, seguendo i ragazzini più problematici del
quartiere insieme alla sua fidanzata Edvige
–anche lei catechista volontaria in parrocchia-, e proprio in quelle occasioni
si erano conosciuti ed innamorati.
Mi fece
sorride, nel senso buono, l’entusiasmo con cui mi raccontò la sua vita. Era il
classico maschio sognatore, con l’aggravante romantica, ma quella volta non
volli farmi idee sbagliate e continuai ad ascoltarlo. Dopo il suo monologo mi
chiese che cosa facessi, se avessi una fidanzata, eccetera…per non deluderlo
inventai qualcosa che lui potesse apprezzare –visto che non potevo di certo
dirgli che scrivevo storie erotiche sul web per mantenermi e che di fidanzate
non ne avevo mai avuta una ma solo molte amanti occasionali-. Perciò mi
dichiarai studente universitario in teologia in quel momento impegnato alla
stesura di un saggio incentrato sulle lettere di Paolo di Tarso –mi venne così,
fu la cosa più cattolica che riuscii a pensare in un secondo-. Mi guardò
sorridendo: avevo colpito nel segno tanto che non si azzardò più a tornare
sull’argomento.
Mi mostrò
la casa che stava ristrutturando: un appartamento che si era comprato con tutti
i suoi risparmi uniti ad un mutuo devastante, ma lui era fiero ed incurante
della difficoltà che si era assunto, mi raccontò della cucina che stava
costruendo con l’aiuto degli ex-tossici di una comunità in cui prestava
volontariato e poi tutta una lunga storia sull’impianto dall’allarme con tanto
di microcamere di sicurezza. Parlò del futuro, dei figli, dell’importanza della
fede. Infine arrivammo in camera da letto e si bloccò quasi imbarazzato. Io
sorrisi, in fondo è normale che in una casa ci sia una camera da letto, ma per
lui quello era un luogo importante quasi sacro dove avrebbe condiviso la sua
intimità solo con la donna che avrebbe sposato. Capii al volo la situazione e
glissai con un borbottio d’assenso. In praticata non aveva c’aveva mai scopato
e la sua donna era chiaramente vergine. Tutto nella logica cristiana della
coppia, ma chi ero io per poter giudicare? Non feci altro che fargli tanti
auguri ringraziandolo nuovamente per l’aiuto che m’aveva dato. Lui m’invitò per
quel sabato pomeriggio all’oratorio, avrebbe voluto presentarmi la sua futura
moglie Edvige, il parroco Don Arturo e tutti i ragazzi che
seguivano.
Accettai.
Non so perché. Ma lo feci.
Fu un
pomeriggio abbastanza noioso, devo essere sincero, tutti mi sorridevano ed
erano gentili, fin troppo. Edvige era
in linea con le aspettative: una ragazzetta sui venticinque anni, minuta,
smunta in viso. Vestita con colori deprimenti, capelli arruffati, un accenno di
baffo non celato dal trucco –perché non lo usava-. Mi parve dolce nel suo modo
di porsi e molto simile a Gerardo nei
modi. Incontrai pure il parroco, un omino sui sessanta, stempiato con grande
pancia tonda, spiccato accento napoletano, alito improbabile, implacabile con i
ragazzini che lo guardavano con timore.
Circa un
mese dopo, verso sera, Gerardo suonò
alla mia porta. Aveva l’entusiasmo dipinto sul volto: la casa era pronta. Mi
invitò a dare un’occhiata e poi voleva darmi una cosa. Lo seguii, anche se ero
di fretta perché dopo poco sarei dovuto uscire per raggiungere un’amica. Gli
dissi che avevo pochi minuti.
“Faremo presto…” disse radioso.
Mi mostrò
il suo capolavoro: tutto pronto, perfetto, la cucina fatta a regola d’arte. Mi
complimentai sinceramente. Evitai la camera da letto chiedendo cosa fosse la
cosa che mi doveva dare: era l’invito al matrimonio. Rimasi sorpreso ma lo
abbraccia con gioia. Mentre dicevo qualche cosa –le solite banalità tipiche dei
momenti in cui non si sa cosa dire- aprendo la busta e leggendo il cartoncino, Gerardo accese il televisore e con uno
strano telecomando armeggiò per qualche istante, poi comparirono delle
immagini.
Era
l’impianto di sicurezza, con orgoglio mi mostrò le varie inquadrature –tre-
possibili e pure quella sul pianerottolo che avrebbe dato sicurezza pure a me.
Non riuscivo a far altro che sorridere annuendo ebete.
“…e tutto si registra qui, in questo
registratore digitale. Vedi, l’ho provato stanotte, vedi come funziona anche a
luci spente, veramente impressionante…”
Si voltò
guardandomi fiero ma alle sue spalle, in video, la scena era cambiata
all’improvviso. Purtroppo lui si girò.
L’immagine
fissa del soggiorno di casa all’improvviso s’illuminò. Gerardo sgranò gli occhi, nell’immagine apparve Edvige che entrava in casa. Gerardo tirò un sospiro di sollievo ma
quando vide che la donna non chiudeva la porta dietro le spalle cambiò
espressione.
“S’è fatto tardi, mi sa che devo proprio
andare…”
e feci per uscire ma lui non mi sentì essendo oramai entrato in un’altra
dimensione.
Dietro ad Edvige un uomo, Don Arturo, e Gerardo
ri-sgranò gli occhi. Si fermarono in mezzo alla stanza, lei s’inginocchiò come
a pregare, lui rimase in piedi fermo. La ragazza alzò le mani ed il prete
all’improvviso alzò la sua tonaca. Ed era nudo. Edvige ingoiò in un sol boccone il membro del sacerdote –che, tra
l’altro, era dotato di strumento asinino. La famosa non categoria dei cazzi enormi che sempre piacciono…- ed iniziò una
lavoro orale da urlo. In un attimo i due furono nudi, Edvige si appecorò sul tavolino in cristallo davanti al divano e fu
montata dal prelato, senza soluzione di continuità, nei suoi due orifizi così
oscenamente proposti all’incolpevole microcamera.
Pensai solo
che fosse stata una fortuna che quel sistema di sicurezza non avesse l’audio;
non riuscii a dire nulla e come un codardo m’allontanai. Gerardo restò immobile con quello strano telecomando in mano senza
dire niente. Quando fui per le scale sentii distintamente un fracasso –di
cristallo che va in frantumi- seguito da un bestemmione
urlato stridulamente.
Quello che
accadde dopo lo seppi dai giornali.
Gerardo,
ancora sotto choc andò a casa dei genitori, prese il fucile da caccia del
padre, e si catapultò in chiesa dove trovò, nella sagrestia, parroco e la
fidanzata intenti a ripetere le stesse pratiche del video. Tentarono di negare
l’evidente evidenza facendo esplodere completamente la rabbia di Gerardo
che puntò l’arma contro i due amanti e li obbligò ad andare sull’altare. Li
fece inginocchiare davanti al crocifisso obbligandoli a pentirsi mentre
caricava, alle loro spalle, l’arma. Passò la canna del fucile sulle loro teste
facendoli rabbrividire e poi chiese perdono a Dio per ciò che avrebbe fatto di
li a poco. Edvige iniziò a piagnucolare disperata, Don Arturo
tentò di convincerlo con una super cazzola –che ogni uomo è debole e può
sbagliare, anche un prete può cadere in tentazione, e lui doveva vedere quella
situazione come una prova del Signore, tentò addirittura di far passare quella
situazione come un privilegio a lui riservato-.
Gerardo
grugnì infastidito.
Quando tutto sembrava perso, all’improvviso, rivolse il fucile contro
di se, fece girare i due a guardare l’orrida scena, trattennero il fiato
attendendo lo sparo. Poi lo girò ancora verso i due che ebbero un sussulto
ulteriore. Ma non successe nulla. Gerardo sembrò placarsi
all’improvviso, abbassò l’arma a terra, Edvige e il Don tornarono
a respirare come dopo un’apnea. Sul viso dell’uomo si dipinse un sorrisetto
satanico.
“Mica
sono scemo, uccidere o uccidermi per una troia e per un depravato, mi basta il
terrore che avete provato…” disse loro a voce bassa
iniziando poi a ridacchiare.
Gerardo
si andò a costituire in caserma confessando quanto aveva fatto ma Edvige
e il parroco negarono ogni cosa. Non era successo niente e quel ragazzo, forse
troppo stressato dalla vita, era per loro uscito di senno. Non fu denunciato ma
i giornali ne parlarono. Eccome.
Il parroco chiese il trasferimento alla Curia che lo spedì in una
missione in India. Edvige non si riprese mai più da quell’esperienza
tanto da finire, anni dopo, in un istituto psichiatrico. Gerardo
vendette il tanto amato e poi odiato appartamento per trasferirsi in una piccola
casa in legno sulle montagne vivendo come un eremita.
Nessuno ne seppe più nulla.