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sabato 13 giugno 2015

post 150: le regole dell’apparenza (Por-tion – inedito 2013)



Giovanna era una bella donna, da poco aveva ventisei anni, alta e bionda con gli occhi verdi. Laureata in economia e commercio con il massimo dei voti. Davanti a lei aveva una luminosa carriera, perché era ciò che voleva fare, anzi che doveva fare. Ciò che tutti si aspettavano da lei.

1° GIORNO

Dieci della sera.
Giovanna stava per uscire, indossava un tailleur molto serio, poi infilò velocemente nella borsa altri indumenti ed un paio di scarpe dal tacco vertiginoso. Quando si trovò sulla porta di casa il padre le si fece incontro. Cercò in modo sbrigativo di evitarlo, ma non ci riuscì, il padre iniziò una sorta d’interrogatorio seppur usando modi pacati.
“Come sei bella tesoro. Raggiungi le tue amiche?...immagino che ceniate insieme e poi festeggerete per tutta la notte?”
Giovanna rispose meccanicamente annuendo col capo, cercò di svicolare dalla porta baciandolo sulla guancia, l’uomo notò la grande borsa della figlia e subito commentò quando fosse inadeguata al resto del suo abbigliamento.
Troppo sportiva.
Proprio in quell’istante Giovanna s’accorse che uno degli indumenti prima infilati fuoriusciva. E forse anche il padre l’aveva visto. Si agitò ancor più di quanto già non fosse.
“Ci sono affezionata…” disse portandosela sulla spalla.
L’uomo sorrise rassicurante senza però evitarle un’ultima raccomandazione.
“Ricordati sempre chi sei, che famiglia siamo, il ruolo e il prestigio che abbiamo, sono cose da non dimenticare mai, soprattutto ora che stai per sposarti, ci siamo capiti?”
Giovanna lo sapeva, erano discorsi che conosceva fin da bambina, non fare mai brutta figura, rispettare sempre il buon nome della sua famiglia ed ora pure del futuro marito, insomma, comportarsi “come si deve”.
Il padre la baciò amorevolmente in fronte e poi la guardò orgoglioso mentre usciva dalla porta. Appena fuori Giovanna sbuffò e chiuse con gesto secco la cerniera della borsa.
[Quanto mi rompe le palle quando è così…ma crede che io abbia sempre dieci anni? non si è reso conto che sono una donna?...gli voglio tanto bene ma a volte è veramente pesante, e mi sto pure per sposare!]...pensò infastidita mentre scendeva velocemente le scale.
Marco era pronto ad uscire di casa.
Vestiva un abito scuro molto elegante.
Entrò in camera sua il fratello Giacomo con in mano alcune cravatte. Le mise di fronte a Marco consigliandolo di cambiare quella che aveva indossato, troppo sgargiante, ne scegliesse una dal suo mazzo.
“Ho pensato che la serata al circolo per festeggiare la tua ultima notte da single meritasse un abbigliamento un po’ meno formale del solito…” disse Marco come a volersi giustificare.
“E’ meglio questa…”
Giacomo gli allungò una cravatta Regimental molto seria che Marco indossò senza più obiettare. Restò sotto osservazione mentre se l’annodava, perfettamente, un attimo di silenzio. Marco ebbe un’esitazione mentre il fratello annuiva sicuro.
“Ah, una cosa…se poi la serata si dovesse protrarre…” gli infilò un bigliettino nel taschino della giacca “…questo è il numero di un’amica, Michela, con lei ed alcune amiche vi potrete divertire in totale sicurezza, in fondo siamo sempre dei conti, il nostro lignaggio c’impone discrezione…”
Marco sapeva benissimo come doveva comportarsi ma il fratello era stato così serio, come sempre del resto, assumendo un tono che non ammetteva repliche.
“Non fare cazzate, se ti servono puttane hai il numero, se hai bisogno d’altro mi fai una telefonata. Ma niente cose strane in luoghi pubblici, sai quanto ci tengono papà e mamma, ci siamo capiti?”
Marco annuì con il capo mentre si guardava allo specchio.
[Cosa cazzo me ne frega della cravatta? Forse non hai capito dove sto andando? Quando imparerai a farti i cazzi tuoi? E poi il bigliettino con il numero di una mignotta…quanto sei anni ottanta fratello mio…]
Poi uscì di casa.
Giovanna guidava la sua auto.
Non aveva l’aria serena di chi stava per divertirsi, forse ripensava al padre, o forse ad altro.
Anche Marco guidava anch’egli con l’aria svagata. S’accese una sigaretta. Prese il cellulare.
Mentre stava per parcheggiare squillò il cellulare, Giovanna rispose ed il suo tono, all’improvviso, cambiò.
S’aprì sul suo viso un bel sorriso e la voce diventò dolcissima.
“Amore mio, come va?…io bene, sono quasi arrivata, Silvia e Roberta dovrebbero già essere lì, e tu?”
Marco guidava parlando al telefono.
“Tutto bene amore, sto per arrivare al circolo…”
“Ho appena parcheggiato…” disse Giovanna.
“…bene, buona serata, e divertiti…” disse Marco.
“…anche tu amore mio…ti aspetto domattina davanti alla chiesa…” aprendosi in sorriso.
“…non vedo l’ora…ti amo” chiuse Marco.
Marco parcheggiò.
Prima di uscire dall’auto si diede un’occhiata nello specchietto, si tolse la Regimental e la buttò senza troppa cura sul sedile posteriore, si sbottonò i primi due bottoni della camicia. S’assestò i capelli ed uscì.
Giovanna spense il telefono e lo mise nel cassettino dell’auto, il suo sguardo tornò svagato, poi di colpo accelerò il suo ritmo. Si guardò attorno e, appena sicura che nessuno passasse, prese dalla borsa gli abiti che aveva nascosto e si cambiò velocemente.
Marco arrivò all’ingresso di un locale, il Degrado, aveva l’aria sicura. Davanti stazionava un uomo in elegante completo grigio. Alto, possente, ray-ban specchiato, auricolare. Marco lo salutò con un cenno del capo e l’uomo lo fece entrare.
Dentro era un grande capannone, luci basse e musica tecno, molte persone. Alcune ballavano, altre appartate in angoli bui, cubiste e cubisti seminudi si dimenavano su delle pedane. Marco si diresse al bar e ordinò un drink.
Giovanna arrivò davanti al Degrado con passo svelto, il suo look era ben più aggressivo se non altro per i tacchi alti che portava con disinvoltura, l’uomo corpulento la riconobbe e la fece entrare.
Marco seduto su dei divanetti chiacchierava con due ragazze molto carine, ridevano divertiti, bevendo champagne. Una delle due tirò fuori della cocaina che iniziarono a sniffare.
Giovanna ballava scatenata nel centro della pista, circondata da molte persone alcune delle quali si strusciavano sfacciatamente, replicando e ammiccando divertita. Marco passò abbracciato alle due ragazze, arrivò in una parte del locale dove c’erano varie stanze nel quali s‘intravvedevano persone appartate in atteggiamenti complici.
Arrivarono ad un porta che faceva accedere ad una dark room. Le due ragazze entrarono ma Marco non le seguì immediatamente: la sua attenzione fu catturata da una donna che si sta avvicinando. Quella donna era Giovanna che stava, dalla parte opposte del locale, giungendo allo stesso ingresso della dark room.
Marco e Giovanna si trovarono di fronte.
Si osservarono in silenzio, poi un sorriso, infine Marco le carezzò il viso. Giovanna ricambiò cingendogli i fianchi. Si baciarono e poi, dopo uno sguardo complice, entrarono nella stanza buia.
Nella totale oscurità i due finirono in un angolo e sopra un divano consumarono un lussurioso amplesso.

2° GIORNO

Mattino.
Ora undici.
Il sagrato di una chiesa era illuminato da un bellissimo sole.
Alcune persone vestite molto elegantemente attendevano gli sposi. Arrivò un’auto da cui scese una donna in abito bianco. Era Giovanna, raggiante, scattarono gli applausi. Ad accompagnarla il padre: ma quando furono pronti ad entrare in chiesa vennero bloccati da un giovane curato che si mise in mezzo alla loro traiettoria.
“Si fermi signorina, dobbiamo attendere ancora qualche minuto…”
Si fece avanti dalla folla di persone un uomo sui quarantacinque, stempiato e bruttino, seppur vestito con un abito griffato. Era il futuro marito di Giovanna.
Il suo viso era furente.
[Che cazzo vuoi insulso pretino? Tu non sai chi sono io? Con tutti i soldi che sgancio alla parrocchia, mi fai pure aspettare! Io ti spacco la faccia!]
Dopo un attimo, sentite le ragioni del giovane curato, iniziò ad urlare, chiese dove fosse il parroco, non voleva aspettare un secondo di più.
Ci furono attimi d’imbarazzo collettivo.
Ma proprio in quell’istante dalla chiesa uscì la coppia che s’è appena sposata e causa del ritardo. Giovanna li osservò e riconobbe Marco al fianco della sua fresca sposa che sorrideva felice per il passo appena compiuto accarezzandosi dolcemente il vistoso dono che le cresceva nel ventre.
Giovanna sgranò incredula gli occhi.
Piovve riso.
Il futuro marito di Giovanna, senza troppi complimenti ed usando termini poco gentili, la trascinò quasi a peso morto verso l’ingresso della chiesa.
Le due coppie s’avvicinarono camminando in direzioni opposte, i due sposati che uscivano, i due da sposare che entravano.
Quando furono vicini anche Marco riconobbe Giovanna, si fissarono negli occhi, ma solo per un istante.
Giovanna s’avvicinò all’altare come un automa.
Marco posò per le prime foto di rito imbalsamato.
Quell’attimo del loro guardarsi era stato sufficiente a farli volare altrove con la mente.

Irrimediabilmente.

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