Prologo
Alberto Argellini lavorava in banca:
gestiva enormi quantità di denaro con tale abilità da renderlo doppio con una
scelta immediata azzeccata. Era un uomo dotato di talento, a volte sapeva
essere implacabile, non si fermava davanti a niente. Era sicuro delle sue
capacità.
Voleva arrivare in alto a prescindere
dalle indicazioni che il destino gli aveva dato: umili origini, difficoltà
ovunque, nessun aiuto.
Ma lui andò oltre a tutto ciò.
Pensava che il destino ognuno se lo
costruisce con le proprie capacità, con il proprio talento, con la voglia di
farcela.
Stava salendo nella gerarchia del suo
istituto grazie ai numeri stabiliti sul campo. E ciò non piaceva ai suoi colleghi,
del resto chi è bravo da fastidio. Ma a lui questo poco importava perché si
sentiva diverso dalla moltitudine di mediocri di cui il mondo è pieno. Si era
conquistato tutto da solo: rispetto, successo, potere, odio, gelosie, invidia.
Osannato da chi gli stava sopra, odiato da chi era ancora sotto.
Queste sono le regole del gioco. E lui
lo sapeva bene.
Ma un giorno tutto cambiò,
all’improvviso.
Ed iniziò la sua discesa nel baratro.
Il fatto
Antonio Basetti, un eroinomane
sieropositivo senza ormai più possibilità di scampo, decise in un mattina di
marzo che il contenuto della cassaforte della banca dove lavorava Alberto
Argellini doveva essere suo, come se quello che stava la dentro potesse
risolvere i suoi problemi.
Antonio dimostrò la sua volontà brandendo
un taglierino insanguinato e minacciando chiunque tentasse di avvicinarlo.
Urlava come un forsennato le sue
ragioni.
Il cassiere Righi lo guardava impietrito
apparen-temente attento a non provocare reazioni inconsulte.
Appena l’eroinomane Basetti bestemmiò
contro di lui tentando di punzecchiarlo con la sua velenosa arma le due
ragazze, Marika Tusco e Jennifer Calarchi, che stavano in coda allo sportello,
si gettarono a terra strillando la loro paura tenendo però ben stretto tra le
mani il denaro per pagare l’Iva.
Anche il pensionato Gianmario Artusi,
dopo aver ripetuto il suo palmares meritevole di rispetto, era un Cavaliere di
Vittorio Veneto, si ritrovò a terra spinto da una manata dell’invasato
rapinatore.
Giusy Gamberetti il vicedirettore, in
quel momento la più alta in grado presente, tentò di dissuadere l’uomo col
taglierino ma per tutta risposta questi le mollò un violento sganassone che la
fece ribaltare a terra senza sensi. Del resto il pensionato Artusi l’aveva
fatto arrabbiare, tenne a sottolineare Basetti, legittimando così
l’inevitabilità del suo gesto.
La donna si trovò pancia sotto con la
gonna del suo bel tailleur, tipo Chanel, rivoltata.
Un attimo irreale in quel delirio.
Per alcuni secondi tutti i presenti si
distrassero sulle calze autoreggenti nere velatissime della vice e sul minimo
perizoma color carne che facevano bella mostra di loro nel mezzo di
quell’incubo.
Anche l’eroinomane Basetti ebbe un
sussulto: è proprio vero che di fronte a certe cose nemmeno l’eroina ti può
distrarre.
In quell’istante Alberto Argellini si
alzò deciso dalla sua scrivania, afferrò un righello da trentadue centimetri, e
s’avvicinò sicuro al rapinatore.
L’imbestialito eroinomane gli sbraitò
contro.
Le due ragazze distese a terra tentarono
di arginare il suo impeto ma Alberto le tranquillizzò ricordando i suoi
trascorsi di fiorettista.
Era stato quasi azzurro di scherma, ci
avrebbe pensato lui.
Il pensionato Artusi lo spronò ad
attaccare. Un duello all’arma bianca, come le “sue” battaglie della prima
guerra mondiale, baionette contro baionette, sciabole contro sciabole, pugnali
contro…
Ma l’eroinomane Basetti senza preavviso
l’attaccò.
Alberto Argellini parò d’istinto il
tentativo d’affondo. Ritornò in assetto ripartendo poi di slancio. Seguirono
una veloce serie di colpi reciproci parati alla fine dei quali Alberto riuscì a
disarmarlo. Il taglierino insanguinato rimbalzò due volte sul pavimento in
marmo della banca prima di fermarsi.
Sussulto di stupore delle due donne
sdraiate.
Il pensionato Artusi tentò di afferrarlo
ma l’eroinomane Basetti gli rifilò un calcio in pieno volto che lo tramortì al
suolo. Alberto approfittò del momento e si gettò disperato verso l’arma ma fu
anticipato di un istante. Quello fatale: l’eroinomane Basetti gli sfregiò il
viso con una grande X prima di conficcarglielo dritto nel petto.
Alberto, faccia crociata grondante
sangue, barcollò per un istante.
Il righello gli cadde dalla mano mentre
s’afflosciava sulle ginocchia.
Restò qualche secondo in quella
posizione nel silenzio irreale che ormai saturava tutto.
Poi rovinò a terra con un ultimo gemito
di dolore.
Il cassiere Righi, fino a quel momento
una statua di sale, al tonfo disperato del collega tirò fuori, da sotto il
bancone, una 44 Magnum e sparò un unico preciso colpo in mezzo agli occhi
dell’eroinomane Basetti.
In un istante mise fine ai problemi di
tutti.
La banca in quei cinque minuti si era
trasformata in un mattatoio.
Due corpi a terra, una pozza di sangue
grande come il lago di Garda, Marika Tusco e Jennifer Calarchi corsero fuori
strillando disperatamente, il pensionato Artusi con la mandibola rotta, il vice
direttore Giusy Gamberetti a terra svenuta con il culo al vento, Alberto
Argellini con un taglierino conficcato nel petto, l’eroinomane Basetti con un
buco in fronte appoggiato al muro come un burattino a cui sono stati tagliati i
fili.
Il cassiere Righi, occhi allucinati,
fermo con l’arma puntata fumante in mano.
Le conseguenze
Un’ambulanza corse impazzita per le
strade intasate del centro storico, la sirena a fare da colonna sonora al
drammatico epilogo, il buio del baratro che si stava impossessando della mente
di Alberto.
Il bip della macchina che registrava il
suo battito che cessò di colpo mutandosi in un monotonico sibilo funebre.
L’immagine davanti agli occhi insanguinati
di Alberto s’appannò per annerirsi come volesse indicargli che la fine era
giunta.
Ma grazie ad un pronto massaggio
cardiaco, operato dal coraggioso medico dell’autoambulanza, si salvò.
Dopo diciotto ore d’incoscienza Alberto
Argellini si svegliò nella camera d’ospedale. Appena aprì gli occhi si sentì
subito meglio. Un medico lo informò che tutto era andato per il meglio.
L’operazione era riuscita perfettamente e non aveva neppure contratto l’aids
perché Basetti era sieronegativo. Gli sarebbero rimasti come ricordo
cinquantasei punti sul viso ed una diecina sul petto. Ma in fin dei conti
poteva anche accettarli. Ebbe la conferma di essere una persona speciale, il
destino si era nuovamente piegato alle sue necessità.
Gli uomini di talento non si possono sprecare.
S’addormentò rasserenato.
La mattina dopo appena aprì gli occhi
vide due Carabinieri fermi sulla porta della sua camera.
Sgranò gli occhi. Fu accusato di essere
il basista di quel tentativo di rapina.
Ma lui non c’entrava niente con quella
rapina. A nulla valsero le sue parole.
Uscito dall’ospedale subì un processo,
venne condannato.
Finì in galera.
Non si rassegnò, quello che stava
accadendo non era giusto, soprattutto non poteva succedere ad uno come lui.
Alberto Argellini pensava ogni notte prima
di addormentarsi a cosa era successo. Cercava una prova, un dettaglio sfuggito,
solo lui avrebbe potuto trovarlo.
Ci pensava e ripensava.
In fondo lui aveva tentato di sventarla
quella rapina, si era opposto a quel tossico con il suo righello. Lui era stato
l’eroe sfortunato della vicenda. Altro che basista, lui portava una x sul viso,
s’era beccato un taglierino non infetto in pieno petto, che cosa ci avrebbe
guadagnato a fare ciò che dicono avrebbe fatto?
In carcere però non era facile indagare.
Il suo compagno di cella Cataldo
Compana, un malavitoso barese che si faceva chiamare Sabir, lo prese sotto la
sua ala protettiva. Gli evitò tutte quelle situazioni negative che la vita in
galera offre. E non volle nulla in cambio.
Alberto Argellini pensò a quello come ad
un altro segno della sua predestinazione.
Scoprì, attraverso alcuni amici di
Sabir, che il cassiere Righi definito dalla stampa “l’eroico cassiere che
sventò la sanguinosa rapina del sette marzo”, era stato gratificato
dall’istituto con un premio in denaro ed un importante posizione all’interno
della banca stessa.
Era diventato il responsabile della
filiale, quella in cui lavorava Alberto.
Ecco chi aveva guadagnato da quella
vicenda.
Il cassiere Righi aveva organizzato un
assurdo piano per farlo fuori e prendersi quel posto tanto ambito. Aveva
tramato nell’ombra inscenando una finta rapina, ingaggiando un tossico
sieronegativo, per poi risolvere tutto quel casino con un eroico colpo di
pistola.
Una follia.
Ma ora tutto era chiaro. Giustizia
sarebbe stata fatta.
L’epilogo
E così fu.
In poco tempo Alberto Argellini uscì dal
carcere.
Un avvocato, legato a qualcuno che stava
molto in alto, si offrì di aiutarlo gratuitamente. E senza strani trucchi lo
fece scagionare. Con le prove vere, senza inganni.
La giustizia trionfò.
Alberto non ci poteva credere anche se
in cuor suo sapeva che quello era il giusto e meritato epilogo; finalmente
libero, pronto a riprendersi quello che era suo.
Del resto chi ha talento ha qualche
diritto in più.
Niente e nessuno poteva permettersi di
fermarlo.
Arrivò il grande giorno.
Alberto Argellini, uomo arrivato al
successo e poi sceso nel baratro dell’inferno, era pronto a tornare in sella.
Scagionato, pulito, liberato da ogni accusa. Risarcito dalla sorte e dalla
giustizia. Era felice, pronto a ricominciare, teso come il primo giorno di
scuola. Stava dall’altra parte della strada. Osservava la porta d’ingresso
della sua banca, con orgoglio era pronto a varcarla.
Partì deciso dopo un bel respiro.
Un lacrima di commozione gli appannò la
vista.
Alberto si fermò, s’asciugò, sorrise.
Un colpo di clacson lo distolse da
quell’attimo d’emozione.
Stava in mezzo alla strada, non se ne
era accorto, un’auto frenò disperatamente per evitarlo.
Un tonfo sordo.
Stava a terra, sotto l’auto, il pneu-matico
che gli premeva il torace, guardava verso il cielo. Respirava a fatica.
Arrivarono i primi soccorsi. Guardò la gomma.
“…fate presto, per favore…sta sgualcendo
il mio abito nuovo…”
Alberto era preoccupato più dalla giacca
rovinata che dall’auto che lo comprimeva al suolo.
Era certo che non potesse finire così la
sua vita.
Invece quello fu il suo ultimo pensiero.
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