La
droga faceva parte della mia quotidianità.
Urbano
fece una verifica contabile sulle spese della gestione famigliare e mi scoprì.
Passai
tre mesi in Svizzera, in una clinica specializzata, dove mi ripulirono.
Tornata
a casa Urbano mi sequestrò carta di credito ed assegni, fece sparire il
contante, avevo i soldi contati nel portafoglio.
L’ansia
tornò ad impossessarsi del mio tempo.
Bastarono
due giorni per farmi decidere di trovare immediatamente un surrogato meno
costoso.
La
cocaina uscì momentaneamente per fare posto all’alcool che entrò nella mia
quotidianità.
Prima
per necessità, poi per disperazione.
Non
riesco a ricordare il sapore di ciò che trangugiavo in una giornata.
Iniziavo
alla mattina, dopo la colazione; Anastacia, la domestica colombiana che
lavorava da noi, mi portava subito un bicchiere mentre mi augurava una buona
giornata.
Non
c’era nulla di buono in ciò che mi si poneva di fronte.
Subito
con un doppio gin liscio, dopo il caffè, il mio respiro si faceva meno
affannoso.
Mi
pareva di riemergere da un’apnea che durava dall’ultimo bicchiere della sera
prima.
Io
non ho mai pensato di essere alcolizzata, e nemmeno ora lo penso, è solo il
trovarsi in una condizione che implica dei ritmi e delle regole diverse.
Quel
doppio gin era il buon giorno di cui avevo realmente bisogno.
La
sera Urbano partecipava a riunioni con i soci del suo circolo. Non che io fossi
gelosa di questi suoi impegni, però, mi ritrovavo spesso sola.
Basta
veramente poco in momenti tristi a far tornare il sorriso al tuo cuore.
Quei
giorni erano nati sotto auspici negativi. E quando s’inaridiscono certi
meccanismi è come se le cose che danno senso a tutto il resto sparissero per
sempre dal proprio orizzonte.
I
giorni della depressione culminarono così in un degrado che progressivamente mi
fece cadere pesantemente in situazioni sbagliate.
In
tutte le situazioni sbagliate per un’anima allo sbando.
E
fu inevitabile volere quello che fino a quel giorno mi era sembrato lontano dal
potere essere realizzabile nemmeno nei miei sogni più arditi; mi parve così
facile che immediatamente mentre lo pensavo, ero già partita con la mia auto
per raggiungere quell’idea.
Non
so bene se fosse bisogno di libertà o di trasgressione, fu solo l’istintiva
ricerca della luce di chi non vede.
E
quando sei bella e ricca come io lo ero si abbreviano tutti i tempi.
Entrai
in quel bar che mai prima avevo frequentato ma che sempre mi aveva attratta.
Fu
naturale entrarvi quella volta, logico come un fiume che scorre verso la sua
foce, buio già fumoso bensì fosse da poco aperto.
Il
bancone lungo di legno scuro era imbottito di pelle nera, il che gli conferiva
un aspetto elegante ma disincantate. Pareva dirmi “…guarda che io non sono uno
dei tuoi eleganti originali comò, sono il banco di un bar malfamato ed a questa
pelle, se t’appoggi, puoi sentire il mio cuore battere…” m’avvicinai e mi
sedetti.
Non
mi accorsi nemmeno che portavo un gonna con un profondo spacco e le calze
autoreggenti fecero da irresistibile richiamo ai tre avventori che in quel
momento solitari bevevano.
“Ciao,
bella signora, hai bisogno di compagnia?” fece il primo.
Il
secondo, un biondino con sguardo simpatico, mi sorrise, mentre il terzo, senza
proferire suono mi scrutò dal suo tavolo. Era grasso e sudicio.
Irresistibile
quel suo osservarmi.
Andai
al suo tavolo e non so cosa mi passò per la mente.
Andammo
nel bagno che stava nel retro, mi aprii la camicetta cercando una sua reazione;
lui mi guardava.
Estrasse
di tasca un rotolo di banconote e se le portò vicino al viso abbozzando un
sorriso.
Mi
concessi a lui come mai prima a nessun altro; il biondino poco dopo entrò con
l’altro mi presero a loro volta, prima uno alla volta, poi insieme. Poi ce ne
andammo al bancone a bere.
Offrii
io del gin. Non ricordo nulla dei nostri dialoghi.
Mi
diedero cento euro a testa.
Erano
i primi soldi guadagnati in vita mia in quel modo.
“Se
ti va noi stiamo andando ad una festa…” fece il biondino.
Non
riuscii a dire di no. E partii con la loro auto.
Mi
trovai subito a mio agio in quella bolgia.
Non
avevo mai visto droga in quella quantità, nemmeno ai tempi dei miei due nipotini;
tentai di ignorare quella visione, ma poco dopo, fu del tutto naturale
sniffarne da quel grosso vassoio d’argento che girava tra gli ospiti.
Pensai
che mi sarei potuta gestire. Tutto normale, sotto controllo.
Era
una bella casa, non mi ricordo se qualcuno mi presentò il proprietario,
guardavo distratta intorno i mobili di quel grande soggiorno. Una ragazza molto
alta e bella mi si fece incontro fumando dell’erba; due strani tipi la
seguivano abbracciati ridendo e mollandosi pacche sulle spalle. Mi sorrise
prendendomi a braccetto. Poi m’abbracciò ed iniziò a sussurrarmi delle parole
all’orecchio.
Mi
condusse in una stanza dove altre persone stavano appartate già da tempo.
Alcuni si baciavano, altri si erano spogliati, alcuni sniffavano. Io e lei ci sedemmo
nel centro sopra un morbido tappeto rosso.
Il
vassoio d’argento era stato posato su di un tavolo e, quando qualcuno gli
passava davanti, inevitabile era una sosta come si trattasse di un rituale
magico che potesse unire indissolubilmente ogni partecipante.
Tutti
mi sorridevano.
La
ragazza iniziò a spogliarmi mentre la sua bocca strisciava già sul mio collo
lasciandomi una striscia umida di sensibile piacere. Non riuscivo a pensare,
solo l’istinto mi condusse verso quello che avrei dovuto conoscere, il piacere
cresceva con l’aumentare della sua intensità.
Improvvisamente
la scostai da me; lei rise, mi fissò dritto negli occhi, e mi baciò sulla
bocca.
Non
aveva mai baciato una donna, se non nei miei sogni, e devo ammettere che non è
molto diverso rispetto ad un uomo. Lei mi voleva e con un forte impulso
maschile me lo fece capire.
Ci
trovammo avvinghiate nude in quel posto con le mani che vicendevolmente
frugavano alla ricerca del proprio e dell’altrui piacere.
Era
così naturale ciò che avveniva che tutto sembrava non avere fine.
E
più ci facevamo con la cocaina e più l’eccitazione cresceva.
Ci
buttammo sul divano dove tre uomini, che stavano lì seduti dall’inizio,
potevano servirci. C’avventammo su di loro, come prede sacrificali, poi una
moltitudine di mani iniziarono a toccarci.
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