Translate

lunedì 22 giugno 2015

post 154: estratto cap. 8 (Maionese ed. Starrylink 2003)



La droga faceva parte della mia quotidianità.

Urbano fece una verifica contabile sulle spese della gestione famigliare e mi scoprì.
Passai tre mesi in Svizzera, in una clinica specializzata, dove mi ripulirono.
Tornata a casa Urbano mi sequestrò carta di credito ed assegni, fece sparire il contante, avevo i soldi contati nel portafoglio.
L’ansia tornò ad impossessarsi del mio tempo.
Bastarono due giorni per farmi decidere di trovare immediatamente un surrogato meno costoso.
La cocaina uscì momentaneamente per fare posto all’alcool che entrò nella mia quotidianità.
Prima per necessità, poi per disperazione.
Non riesco a ricordare il sapore di ciò che trangugiavo in una giornata.
Iniziavo alla mattina, dopo la colazione; Anastacia, la domestica colombiana che lavorava da noi, mi portava subito un bicchiere mentre mi augurava una buona giornata.
Non c’era nulla di buono in ciò che mi si poneva di fronte.
Subito con un doppio gin liscio, dopo il caffè, il mio respiro si faceva meno affannoso.
Mi pareva di riemergere da un’apnea che durava dall’ultimo bicchiere della sera prima.
Io non ho mai pensato di essere alcolizzata, e nemmeno ora lo penso, è solo il trovarsi in una condizione che implica dei ritmi e delle regole diverse.
Quel doppio gin era il buon giorno di cui avevo realmente bisogno.
La sera Urbano partecipava a riunioni con i soci del suo circolo. Non che io fossi gelosa di questi suoi impegni, però, mi ritrovavo spesso sola.
Basta veramente poco in momenti tristi a far tornare il sorriso al tuo cuore.
Quei giorni erano nati sotto auspici negativi. E quando s’inaridiscono certi meccanismi è come se le cose che danno senso a tutto il resto sparissero per sempre dal proprio orizzonte.
I giorni della depressione culminarono così in un degrado che progressivamente mi fece cadere pesantemente in situazioni sbagliate.
In tutte le situazioni sbagliate per un’anima allo sbando.
E fu inevitabile volere quello che fino a quel giorno mi era sembrato lontano dal potere essere realizzabile nemmeno nei miei sogni più arditi; mi parve così facile che immediatamente mentre lo pensavo, ero già partita con la mia auto per raggiungere quell’idea.
Non so bene se fosse bisogno di libertà o di trasgressione, fu solo l’istintiva ricerca della luce di chi non vede.
E quando sei bella e ricca come io lo ero si abbreviano tutti i tempi.
Entrai in quel bar che mai prima avevo frequentato ma che sempre mi aveva attratta.
Fu naturale entrarvi quella volta, logico come un fiume che scorre verso la sua foce, buio già fumoso bensì fosse da poco aperto.
Il bancone lungo di legno scuro era imbottito di pelle nera, il che gli conferiva un aspetto elegante ma disincantate. Pareva dirmi “…guarda che io non sono uno dei tuoi eleganti originali comò, sono il banco di un bar malfamato ed a questa pelle, se t’appoggi, puoi sentire il mio cuore battere…” m’avvicinai e mi sedetti.
Non mi accorsi nemmeno che portavo un gonna con un profondo spacco e le calze autoreggenti fecero da irresistibile richiamo ai tre avventori che in quel momento solitari bevevano.
“Ciao, bella signora, hai bisogno di compagnia?” fece il primo.
Il secondo, un biondino con sguardo simpatico, mi sorrise, mentre il terzo, senza proferire suono mi scrutò dal suo tavolo. Era grasso e sudicio.
Irresistibile quel suo osservarmi.
Andai al suo tavolo e non so cosa mi passò per la mente.
Andammo nel bagno che stava nel retro, mi aprii la camicetta cercando una sua reazione; lui mi guardava.
Estrasse di tasca un rotolo di banconote e se le portò vicino al viso abbozzando un sorriso.
Mi concessi a lui come mai prima a nessun altro; il biondino poco dopo entrò con l’altro mi presero a loro volta, prima uno alla volta, poi insieme. Poi ce ne andammo al bancone a bere.
Offrii io del gin. Non ricordo nulla dei nostri dialoghi.
Mi diedero cento euro a testa.
Erano i primi soldi guadagnati in vita mia in quel modo.
“Se ti va noi stiamo andando ad una festa…” fece il biondino.
Non riuscii a dire di no. E partii con la loro auto.
Mi trovai subito a mio agio in quella bolgia.
Non avevo mai visto droga in quella quantità, nemmeno ai tempi dei miei due nipotini; tentai di ignorare quella visione, ma poco dopo, fu del tutto naturale sniffarne da quel grosso vassoio d’argento che girava tra gli ospiti.
Pensai che mi sarei potuta gestire. Tutto normale, sotto controllo.
Era una bella casa, non mi ricordo se qualcuno mi presentò il proprietario, guardavo distratta intorno i mobili di quel grande soggiorno. Una ragazza molto alta e bella mi si fece incontro fumando dell’erba; due strani tipi la seguivano abbracciati ridendo e mollandosi pacche sulle spalle. Mi sorrise prendendomi a braccetto. Poi m’abbracciò ed iniziò a sussurrarmi delle parole all’orecchio.
Mi condusse in una stanza dove altre persone stavano appartate già da tempo. Alcuni si baciavano, altri si erano spogliati, alcuni sniffavano. Io e lei ci sedemmo nel centro sopra un morbido tappeto rosso.
Il vassoio d’argento era stato posato su di un tavolo e, quando qualcuno gli passava davanti, inevitabile era una sosta come si trattasse di un rituale magico che potesse unire indissolubilmente ogni partecipante.
Tutti mi sorridevano.
La ragazza iniziò a spogliarmi mentre la sua bocca strisciava già sul mio collo lasciandomi una striscia umida di sensibile piacere. Non riuscivo a pensare, solo l’istinto mi condusse verso quello che avrei dovuto conoscere, il piacere cresceva con l’aumentare della sua intensità.
Improvvisamente la scostai da me; lei rise, mi fissò dritto negli occhi, e mi baciò sulla bocca.
Non aveva mai baciato una donna, se non nei miei sogni, e devo ammettere che non è molto diverso rispetto ad un uomo. Lei mi voleva e con un forte impulso maschile me lo fece capire.
Ci trovammo avvinghiate nude in quel posto con le mani che vicendevolmente frugavano alla ricerca del proprio e dell’altrui piacere.
Era così naturale ciò che avveniva che tutto sembrava non avere fine.
E più ci facevamo con la cocaina e più l’eccitazione cresceva.

Ci buttammo sul divano dove tre uomini, che stavano lì seduti dall’inizio, potevano servirci. C’avventammo su di loro, come prede sacrificali, poi una moltitudine di mani iniziarono a toccarci.

Nessun commento:

Posta un commento