Giuly entrò nella stanza.
Aveva un sorriso appena abbozzato, quasi
imbarazzato. Ma in fondo non c’era nulla di male in quella cosa, essere nella
stanza d’albergo con Umberto, un uomo. Un uomo che non era suo marito e nemmeno
il padre dei suoi figli ma il marito di una sua amica.
Quello che si era creato, professionalmente e
personalmente, in quei quindici giorni di lavoro trascorsi insieme formato e
consolidato dal nulla, era difficile definirlo in una parola, facilmente la
cosa sarebbe potuta essere equivocata.
Giuly era imbarazzata seppur certa che non ci fosse
nulla di male, continuava a ripeterselo, ma non riusciva a convincersi.
Per questo chiuse la porta assicurandosi che nessuno
l’avesse potuta vedere dal corridoio.
Era lì per una cosa: dare a Umberto un piccolo
regalo, un pensierino come si dice, per fissare nella loro memoria quei giorni
meravigliosi.
Anche Umberto aveva un sorriso, era rigido quasi
stampato, evidente il suo imbarazzo.
Eppure non faceva nulla di male in quella stanza con
Giuly, seppur lei fosse amica della moglie, pure lei era sposata e madre. Non
faceva niente di male, più se lo ripeteva e meno ne era convinto.
“Volevo darti questo…”
Umberto prese il piccolo pacchetto, lo aprì
goffamente, Giuly sorrise.
C’era una strana atmosfera, eppure quei quindici
giorni erano stati intensi; avevano lavorato molto bene insieme, si stimavano e
rispettavano, insieme funzionavano proprio. Ed avevano avuto molto tempo per
parlare, conoscersi, confidarsi. Con naturalezza e fiducia si erano esposti
reciprocamente dandosi conforto e risposte. Un pensiero comune li aveva legati:
i loro rispettivi rapporti, le proprie relazioni, la professione. Senza dirselo
apertamente avevano intuito come fosse facile parlare con un quasi sconosciuto,
aprendosi sinceramente come forse mai prima, raccontandosi anche nei più intimi
dettagli. E senza la paura di un giudizio o pregiudizio nell’ascoltare il
parere dell’altro. Stare dentro ad un rapporto consolidato e sereno,
apparentemente perfetto, dove però manca qualcosa che non si riesce a definire
ma che pare essere ciò che forse non ti fa vivere a pieno. E nemmeno il
successo professionale, la famiglia ed i figli, i progetti con la propria metà,
anche il sesso, sembrano non bastare per sentirsi pieni e soddisfatti. Avevano
parlato a lungo di quella sensazione, sentendosi come dei viziati ingrati di
fronte ad una vita invidiabile, con compagni fedeli e amorevoli, figli sani e
bellissimi, una professione che anche nel momento della crisi globale
continuava a sostenerli.
“…un i-pod…”
Umberto istintivamente abbracciò Giuly e la baciò
con gratitudine sulla guancia.
“…ho inserito un pezzo, un’unica traccia, puoi bene
immaginare quale sia…per farti ricordare, ogni volta che la riascolterai…questi
magnifici giorni…”
Umberto abbassò gli occhi a terra. Giuly arretrò.
Si guardarono, a distanza, restarono qualche secondo
in silenzio.
Ancora goffi sorrisi.
Nessuno riusciva a dire qualcosa, a prendere
l’iniziativa per rompere quel momento, eppure erano stati due fiumi in piena di
parole in quei giorni, ora invece stavano immobili imbalsamati con sorrisi
ebeti.
Giuly prese una busta dalla tasca e la diede a
Umberto.
Lui la prese, l’aprì, tirò fuori un foglio.
“…immaginavo che saremmo prima o poi arrivati ad un
momento simile, per questo ho preferito scriverti ciò che penso…sarebbe stato
impossibile dirtelo a parole…perciò…” Umberto la guardò. Annuì come a
rassicurarla. Prese dalla sua tasca una busta e gliela allungò.
Risero in contemporanea.
“…abbiamo sempre le stesse idee…posso leggerla?”
Umberto annuì sorridendo.
Giuly aprì la busta, poi un foglio.
Si spostarono istintivamente in due punti della
stanza distanti quasi a volersi dare reciprocamente lo spazio necessario ad una
lettura più intima e riservata.
Ogni tanto si guardavano e sorridevano,
nervosamente.
Umberto finì per primo. Si passò una mano sul viso,
si sedette sulla poltroncina che si trovava alle sue spalle.
Dopo un attimo anche Giuly finì la sua.
Si passò una mano nervosamente nei capelli, si
appoggiò al letto, fino a sedersi sul bordo.
“Mi chiedo spesso prima d’addormentarmi quale sia
stata l’ultima volta in cui mi sono sentita felice. E quando mi pongo questa
domanda ci penso sempre un po’, impegnandomi, volendo essere sincera con me
stessa. In realtà non riesco a ricordarlo. E’ così che spesso m’addormento
ricercando un frammento di piacere per poi svegliarmi all’improvviso, nel cuore
della notte, o forse solo alcuni minuti dopo, vittima di quello che mi pare un
incubo terribile e non trovare nessuno che mi voglia o possa consolare. Sola,
nel buio della camera, un senso di vuoto che mi devasta…”
Dopo aver letto ad alta voce Umberto alzò gli occhi
verso la donna.
“La vita è strana. Quando pensi di avere tutto,
almeno ciò che sembra necessario, senti improvvisamente che il vuoto prende il
sopravvento trasformando tutto in qualcosa d’incolmabile. E la delusione che
arriva improvvisa, una situazione che mai avresti pensato, il cambiamento di
ogni prospettiva. L’idea consolidata era quella d’aver incanalato la propria
vita e tutto torna in discussione. E tu non hai scelto niente. Nel bene o nel
male…”
Giuly si fermò. Alzò gli occhi dal foglio.
I due si guardarono, l’imbarazzo di pochi minuti
prima sparito dai loro visi come spazzato via dalla verità di quelle parole, si
avvicinarono fissandosi nel silenzio. Si abbracciarono.
Riuscire a definire l’importanza della condivisione
dei pensieri, il valore di quella che banalmente da molti viene definita
amicizia, e da altri, superficialmente, amore, è il primo passo per
confrontarsi con i propri demoni con i quali, prima o poi, bisogna fare i
conti. Si può tentare di vincere da soli, ma è impresa ardua, difficile. I più
fortunati possono essere sostenuti da chi , nel profondo, vive o ha vissuto la
stessa esperienza.
E’ un dono incontrare chi sa comprendere senza
bisogno di spiegazioni la complicata lingua della sofferenza.
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