Qualcuno propose una partita a
Monopoli, ci trovammo seduti attorno al tavolo a fare contrattazioni nel giro
di una decina di minuti, io fui messo ad occuparmi pure della banca.
Succede sempre così: se per un certo
periodo ti occupi di una cosa, anche se la tua professione è un’altra, da molti
verrai per sempre identificato con quel lavoro. Ed io, nella fattispecie, per
un periodo professionale e per necessità collaborai con un istituto di credito.
Per questo tutt’oggi vengo identificato da molti con quel mondo. Non che la
cosa mi turbi anche se mi da un po’ fastidio; io faccio finta di niente anche
se ogni volta che capita per me diventa inevitabile ricordare ciò che ho visto,
conosciuto, imparato, sfiorando quel mondo che di certo non mi ha lasciato indifferente.
Per come funziona e per quello che rappresenta ma, soprattutto, per ciò che
provoca. L’arroganza di chi ha potere perché sta in una banca è clamorosa, moltitudini di stipendiati che solamente
seguono supinamente direttive imposte dall’alto. Fanno rabbrividire per come si
fanno manipolare ed usare solo per garantirsi il loro posto di lavoro. Ed
infine l’orrido: l’irrilevanza di ogni aspetto etico, trasparenza e onestà nei
rapporti. Le banche sono sistemi al limite, anzi, oltre il limite della
legalità. Dico questo sapendo ciò che
dico…fra non molto tempo, quando molti clienti ridotti alla disperazione
cominceranno a controllare con attenzione i loro contratti di mutuo, di conto
corrente, di leasing, eccetera eccetera, ci si renderà conto di quante cose
anomale sono accadute e soprattutto sono
state fatte pagare in contraddizione alla Legge…alcune parole da non
scordarsi mai: tasso applicato, tasso promesso, oneri e spese addebitati, costi
occulti, anatocismo ed usura. Ad ognuno le proprie riflessioni). Le banche sono
società private che mirano con ogni mezzo e trucco al proprio fine, che mai
corrisponde a quello dei propri clienti, se così si possono ancora chiamare.
La partita andò avanti, finti soldi che giravano, in fondo
ci si stava divertendo. Per un attimo incrociai lo sguardo del bimbo che aveva
avuto il coraggio d’inorridire ascoltando il racconto del ventilatore. Stava
seduto sul tappeto giocando ancora con i suoi nuovi Lego. Gli sorrisi, lui
sembrò cupo, poi accennò una smorfia furba.
Tornai
alla partita di Monopoli anche se, sinceramente, continuai a pensare ad altre
cose anche se per il ruolo che avevo nel gioco era difficile barcamenarmi fra
quei pensieri e una possibilità o un imprevisto, fra Stazione ferrovie Sud e piazza
Costantino, essere intento a non finire con un tiro sbagliato di dadi su viale Traiano, cosa che avrebbe
significato dolori vista la quantità di edifici già costruiti sopra…
Dopo una mezz’oretta mi alzai per fumare. I compagni di
gioco mi guardarono stizziti, io uscii nuovamente sul balcone, il bimbo dei
Lego ancora intento con il suo gioco. Altre due cose avrei voluto dirgli, solo
due, dalle quali guardarsi e contro le quali combattere.
La riserva frazionaria ed il signoraggio.
Ma come puoi spiegare ad un bambino di quasi otto anni cose
del genere? Impossibile. Rientrai e tornai al mio posto. Dopo qualche istante
me lo trovai accanto, aveva lasciato i Lego sul tappeto, mi toccò un braccio
sorridendo.
“Da grande avrò una
banca…” affermò sicuro. La madre sgranò gli occhi sentita
l’affermazione gongolando tronfia come un pavone che fa la coda. Il piccolo si
sedette sulle mie gambe perché chiara era la sua volontà di aiutarmi con il denaro
(finto) che maneggiavo. Lo feci fare e lui continuò a sorridere, io non riuscii
a resistere, quello era il momento.
“Posso raccontarti un
paio di cose che potrebbe esserti utili al tuo progetto di banca?” annuì
con il capo contento anche se attorno mi guardarono con sospetto.
“E’ una cosa seria,
nulla a che vedere con ventilatori e…”
“…cacca!”
chiuse prontamente ridacchiando.
Alla parola magica cacca
anche gli altri bimbi si fecero vicini. Presi una banconota del Monopoli da 100
e gli chiesi quanto valesse. Pronta la sua risposta: 100 soldi.
“Bravissimo: chi è il
proprietario di questa banconota?”
“Il signor Monopoli”
“A cosa servono le
banconote del signor Monopoli?”
“Beh…a giocare al suo
gioco…”
Mi guardò perplesso anche se io annuivo con il capo rispetto
alle sue sensate risposte. Gli altri attorno cominciarono a rumoreggiare.
“Sento che vi state
spazientendo…ho una domanda per voi…chi fa le regole di questo gioco?”
In coro “Il signor
Monopoli!”. E scoppiarono in una risata quasi di scherno.
Dissi loro di essere molto impressionato da tanta
perspicacia. Poi iniziai una riflessione.
“Quindi, tanto per
capire, un giorno il signor Monopoli inventa un gioco del quale stabilisce le
regole, stampa soldi che servono per giocare e che solo lui può stampare, decide
in sostanza il loro valore anche se sono realmente pezzi di carta…”
Mi guardarono perplessi, forse mi ero spinto un po’ troppo
oltre, ma il bimbo sulle mie ginocchia mi guardò e disse: “Quei pezzi di carta dovrebbero valere qualcosa…che ne so…valgono caramelle?”.
Sinceramente restai spiazzato da quella deduzione.
“Caramelle! Risposta
esatta.
Quindi: 100 soldi del
Monopoli valgono 100 caramelle…(e tutti annuirono convinti)…in realtà il signor
Monopoli ha stabilito una regola diversa. Essendo lui quello che possiede il
gioco e deciso le regole ne ha stabilita una che dice (e che nessuno può
obiettare a costo dell’esclusione dal gioco) che 100 soldi del Monopoli valgono
100 caramelle più una, cioè 101 caramelle. E quell’una è un suo diritto in
quanto proprietario del gioco. Quindi per giocare il prezzo è quello e tutti i
giocatori si devono adeguare”.
Il bimbo mi guardò nuovamente. Aveva l’aria di chi aveva
percepito un imbroglio.
“Io credo non sia
molto corretto ciò che fa il signor Monopoli. Perché mi fa pagare una caramella
in più per comprare un suo soldo da 100, cos’è quello, il costo per produrre
quel soldo? Mi vorresti far credere che per fare quel pezzo di carta spende
come per una caramella?”
Secondo momento d’imbarazzo di fronte ad una mente così
acuta. Proseguii nel mio discorso.
“Le considerazione che
hai fatto è corretta. Ma c’è dell’altro. Il signor Monopoli possiede pure altre
banche. Una per ogni scatola del suo gioco. Ed ha imposto un’ulteriore regola (pena
sempre l’esclusione dal gioco) che gli permette di usare il denaro che i
giocatori depositano nella sua banca come meglio crede. I giocatori possono
depositare denaro nella banca del Monopoli (per esempio 100 soldi che in realtà
non corrispondono a 100 caramelle anche se ogni giocatore realmente per averli
li ha pagati 101 caramelle) e guadagnare un interesse pari ad 1 soldo ogni 100.
Altri giocatori che necessitano di denaro chiedono alla banca un prestito che
però costa 6 soldi ogni 100 di interesse. Nello stesso istante il signor Monopoli
ha fatto un’altra regola che gli permette di avere una quantità effettiva di
banconote nella sua banca che equivale solo al 2% rispetto a quelle raccolte.
Cioè, ogni 100 soldi depositati, lui è obbligato dalla regola ad averne sempre
a disposizione al massimo 2”.
“E gli altri 98?”
chiese sempre il bambino mentre i suoi coetanei erano lentamente tornati ai
loro giochi oramai esausti da quel mio racconto evidentemente poco avvincente.
“Li usa come fossero
suoi…”
“Ma non sono suoi,
sono dei giocatori che li hanno depositati, lui dovrebbe solo controllare che
nessuno li rubi…”
“Ma lui è il signor
Monopoli, ha inventato il gioco e le regole, non c’è altra possibilità…”
Il bimbo mi guardò con l’aria
esterrefatta, poi sbottò.
“Ma è una cosa orribile! Più della cacca
nel ventilatore! Io non posso credere che il signor Monopoli sia così
cattivo…che si comporti come il più terribile dei ladri!..io non avrò mai una
banca, non voglio che qualcuno mi potrà accusare d’essere un ladro!”
e scese di colpo dalle mie ginocchia, lo sguardo nuovamente indignato, mi
chiese se quella storia fosse vera. Mentii dicendo che non lo era, che il
signor Monopoli realmente non esisteva, scosse il capo e preferì tornare ai
suoi Lego. La madre ripose la sua bella coda da pavone, assunse un’espressione
da circostanza, e tornò come nulla fosse alla partita.
Evidentemente
non aveva capito nulla di quel nostro discorso mentre il figlio continuò per un
po’ a scuotere la testa.
Per
tutta la serata non mi degnò più d’uno sguardo.
Nessun commento:
Posta un commento