Era il 1998. Fui invitato ad un matrimonio, il più mondano dell’anno,
così si sentiva dagli spifferi usciti da certi ambienti. Ludovica e Mario
finalmente sposi.
Odio tutto ciò che si definisce pettegolezzo che, anche nel caso in cui
corrispondesse poi alla realtà dei fatti, è sempre descritto in maniera
opportuna solamente ad un pre-giudizio. Ho detto descritto e non raccontato
perché la superficialità che impregna il tutto è solamente finalizzata a
rendere chi lo fa, il descrivente, protagonista della vicenda assurgendo al
ruolo di giudice sentenziante. E chissà con che diritto poi, eppure si continua
a farlo, da secoli e secoli.
Ludovica, 28 anni, di famiglia agiata, appartenente alla
categoria Femmina bella e stupida, non cattiva ma superficiale. Da un certo
punto di vista innocua, appassionata collezionista di Manolo Blahnik, di
professione studentessa fuori corso d’economia e commercio. Apparentemente poco
passionale e, sempre dai famosi spifferi, non una grande appassionate di sesso
etero.
Mario,
classico prototipo di un Quasi Maschio D=P=L (dove però il primo fattore, il denaro, lo
possedeva per discendenza e quindi poco determinato e scaltro) decise che era
giunto il momento per sistemare, come si dice, le cose. Non che ci fosse
qualche cosa di sbagliato nella sua vita, pensò solo fosse giunto il momento di
chiarire tutto, prima il lavoro, poi rapporti con il mondo, infine l’amore.
Perciò si sposò. Definire tutto all’interno di un progetto globale che potesse
soddisfare i genitori, la compagna, i clienti, i vizi, gli sfizi, i capricci.
Senza però scordarsi della propria serenità. Tutto per amore di una quieta
comoda normalità.
Mario e Ludovica si
conoscevano da più di dieci anni quando decisero il grande passo. Per lei si
trattò della ovvia legittimazione di un sogno, la mera realizzazione di ciò che
fin da bambina cullava, l’ambizione di raggiungere un obiettivo che
concretizzasse tante aspettative.
Anche per
lui lo era, in forma diversa, ma lo era.
Con il
lavoro era stato semplice e gli girava bene – promosso a consulente commerciale
per un’associata di famiglia - e si poteva permettere tante cose in più
rispetto a prima. Cioè quelle che gli erano possibili solo grazie ai
compromessi con la sua ricca famiglia, con il padre sopra a tutto. Sentiva di
camminare finalmente con le sue gambe ed a tratti, se non gli bastavano per
poter correre, poteva almeno permettergli scatti soddisfacenti. Comunque,
meglio di prima.
Ludovica era al settimo cielo
quando affrontò la navata centrale della basilica – i maligni sussurrarono che
lo fosse perché poteva sfoggiare le sue Manolo Blahnik tempestate di Swarovski
che con l’abito bianco con gonna sopra il ginocchio erano clamorosamente
sottolineate- Mario invece era fra il terzo ed il quarto (cielo)
attendendola all’altare. Non che se ne dovesse convincere, anzi, era sicuro che
fosse quella la via giusta a tal punto che non ebbe esitazioni di nessun genere
a pronunciare, al momento esatto e con tono appropriato, il fatidico si.
Ma la vita
coniugale, il condividere lo stesso tetto fianco a fianco, stesso letto e
stesso bagno, produsse in Mario sensazioni e sentimenti diversi da
quella normalità che aveva pensato di poter raggiungere con quel semplice si detto
sull’altare.
Era una
normalità diversa: corretta, modificata, artificiale.
Ed al
passaggio della prima musa tentatrice capitolò.
Cedette
alle prime attraenti lusinghe – di una classica Femmina affascinante - e piombò
in uno stato che rappresentava realmente il vero volto della sua natura.
Quella
faccia che non si era modificata con l’artificio costruito prima nella mente e
poi nei fatti; un’immagine che aveva covato nell’ombra per poi esplodere
incontrollabile spazzando via quel mondo fittizio col quale non aveva nulla a
che fare.
Il caos e
la confusione presero il sopravvento.
Tutto, per
Mario, non fu più chiaro. Combinò casini
tali che per anni pagò dure conseguenze.
S’imbarcò
in successive avventure extraconiugali clandestine – sempre con Femmine affascinanti
che lo prendevano e buttavano via dopo l’uso - tanto che in poco meno di un
anno, quel castello di normalità, crollò inesorabilmente.
Ludovica era così innamorata
della situazione da volersi bere ogni scusa o bugia del marito, ignorare qualsiasi
incoerenza, totalmente distratta sui particolari sospetti. L’attenzione nei
discorsi, l’interesse nei progetti comuni, infine il sesso, arrivando infine ad
un distacco completo. Un’intolleranza simile a quella che la cute ha quando
sfiora l’ortica e ogni tentativo di lenire il fastidio procura solo ulteriore
dolore. Ma andava bene così.
Per Ludovica
fu così opportuno portare avanti quello stato fino all’attimo in cui un
particolare irrilevante, quanto inaccettabile, la colpì così forte da far
rendere noto al mondo che la circondava la realtà della sua vita matrimoniale. E
tutto s’asciugò come neve al sole nel breve volgere del veloce attimo in cui le
menzogne furono pubbliche, il dolore e la rabbia dovettero prendere il
sopravvento, ed ogni cosa accettata necessariamente dovette sembrare insopportabile.
Iniziò così
la lotta tra i loro legali e l’amore narrato in una bella favola si trasformò
in pure lotta per la sopravvivenza e ricerca di vendetta. I famosi spifferi
furono per lungo tempo veri e propri cicloni, in molti se ne alimentarono,
quella vicenda appassionò morbosamente la moltitudine che vive normalmente di
luce riflessa. Ma per loro così importante.
Mario e Ludovica un giorno finirono la guerra.
Oggi,
distanti a leccarsi le ferite, stanno imparando a conoscere la normalità da cui
sono stati inghiottiti e con la quale, per loro stessa natura, dovranno per
sempre convivere. Soffrendo per le sconfitte che infligge, esultando per le
vittorie parziali che riesce a dare, consapevoli almeno di trovarsi sempre in
bilico sul baratro dell’orrore.
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