A
dire la verità Maurilio Biasetti, io, non l’ho mai incontrato.
Sentii
parlare di lui la prima volta il giorno in cui fui ingaggiato per recitare in
uno spettacolo teatrale da lui prodotto, all’incirca, una decina d’anni fa.
Tutto
il resto, nel senso delle cose che so, lo devo ad una persona che in
quell’occasione incontrai. Il suo factotum. Un certo Arturo Berganzi
detto Ebola per via della sua capacità di inchiodarti con monologhi
interminabili di genere vario in grado di trasformare un semplice racconto
riassumibile in poche parole in un girone dantesco da svariate ore. Ebola
s’impantanava in discorsi a spirale, con parentesi aperte e poi mai richiuse,
finestre esplicative aperte e dimenticate spalancate, portando lo sventurato
ascoltatore sull’orlo del suicidio isterico, insomma, una persona capace d’infestare
come il virus di cui portava il nome. Però a me stava simpatico, faceva ridere
per quello che raccontava, soprattutto per le facce che metteva a corollario
esplicativo. Di lui conservo una cosa che riassume tutto il suo mondo: il
diario dei ricordi, o meglio, il diario dei ricordi su Maurilio Biasetti
che per anni aveva appuntato onde ricordarli e forse un giorno pubblicarli per
farci, come gli piaceva dire, un milione
di dollari. Quel diario era fin dall’aspetto esteriore originale, come lo
era del resto Ebola, la copertina ricoperta di una carta da pacco su cui
erano incollati ritagli di giornali con donne seminude, anzi semivestite,
tipiche immagini da settimanale femminile o riviste di gossip o cataloghi d’intimo
femminile per la vendita per corrispondenza. E sopra, sulla copertina, una
scritta a pennarello rosso: M.B.
Nella
prima pagina raccontava quando Maurilio Biasetti decise d’investire nel
teatro. Tirò fuori un sacco di soldi per produrre un monologo da lui scritto
nelle pause pranzo. Pensò in grande, del resto Maurilio era uomo d’alto
profilo, un imprenditore di successo nel ramo dei suini macellati. Un uomo che
si sentiva carico di grandi rivoluzionarie intuizioni.
Applicando
al teatro il suo metodo di lavoro, quello del mattatoio, partendo dal
presupposto che la differenza tra porci e attori non è poi tanta, trattandosi
pur sempre di carne da macello, scrisse uno spettacolo consistente in una serie
di situazioni, come lui diceva, innovative, impreviste, sorprendenti. Esaltate
da una scenografia minimalista, anzi minima, disegnata dalla giapponese Midori
Mazuko, ed in più una rutilante sequenza di battute, musiche, balletti,
drammi, lacrime, risate. Ingaggiò otto attori, tre donne e cinque uomini, 96
comparse mute, un gruppo di mimi, un’orchestra di 125 elementi, due tigri del
bengala, uno stormo di beccacce, un bracco da tartufo, sette nani, giocolieri e
ballerine, e pure una anaconda gigante che però diede problemi per via dei permessi
dei vigili del fuoco obbligatori e mai ottenuti. Ma la trovata più originale fu
il nome dato allo spettacolo, M puntato, B puntato, SHOW non puntato, che non
significava altro che: MAURILIO BIASETTI SHOW.
Quello fu il suo primo spettacolo.
E pure l’ultimo.
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