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lunedì 3 marzo 2014

Settimana del sesso: come l'ultima foglia rimasta sul ramo

 
 
Questa è la storia di Gerardo, un uomo di trentacinque anni, che sarebbe diventato mio vicino di casa. Dopo aver traslocato dall’appartamento che avevo diviso con Giovanni, il quale m’aveva invitato a trovarmi altra sistemazione visto che lui ed Ivana intendevano convivere, riparai in un minuscolo ma delizioso –si dice così in questi casi- monolocale arredato con una sola finestra, bagno cieco, posto all’ultimo piano di una palazzina della prima periferia della città. A me bastava, in fondo ci dovevo solo dormire e scrivere, niente di più. Quando arrivai con gli scatoloni contenenti le mie poche cose incontrai sulle scale un uomo barbuto –Gerardo- che sorridendo si offrì di aiutarmi. Fu gentile ed io come segno di gratitudine gli offrii un caffè, facemmo una chiacchierata. Lui era il proprietario dell’appartamento confinante al mio e lo stava completamente ristrutturando visto che di lì a poco si sarebbe trasferito con Edvige sua prossima moglie. Era raggiante, aspettava con ansia quel giorno, per lui cattolico osservante. Una brava persona che oltre al lavoro in officina –riparava auto-moto veicoli dallo zio- s’impegnava molto nel volontariato conducendo corsi di catechismo all’oratorio della chiesa che distava pochi passi da casa, seguendo i ragazzini più problematici del quartiere insieme alla sua fidanzata Edvige –anche lei catechista volontaria in parrocchia-, e proprio in quelle occasioni si erano conosciuti ed innamorati.
Mi fece sorride, nel senso buono, l’entusiasmo con cui mi raccontò la sua vita. Era il classico maschio sognatore, con l’aggravante romantica, ma quella volta non volli farmi idee sbagliate e continuai ad ascoltarlo. Dopo il suo monologo mi chiese che cosa facessi, se avessi una fidanzata, eccetera…per non deluderlo inventai qualcosa che lui potesse apprezzare –visto che non potevo di certo dirgli che scrivevo storie erotiche sul web per mantenermi e che di fidanzate non ne avevo mai avuta una ma solo molte amanti occasionali-. Perciò mi dichiarai studente universitario in teologia in quel momento impegnato alla stesura di un saggio incentrato sulle lettere di Paolo di Tarso –mi venne così, fu la cosa più cattolica che riuscii a pensare in un secondo-. Mi guardò sorridendo: avevo colpito nel segno tanto che non si azzardò più a tornare sull’argomento.
Mi mostrò la casa che stava ristrutturando: un appartamento che si era comprato con tutti i suoi risparmi uniti ad un mutuo devastante, ma lui era fiero ed incurante della difficoltà che si era assunto, mi raccontò della cucina che stava costruendo con l’aiuto degli ex-tossici di una comunità in cui prestava volontariato e poi tutta una lunga storia sull’impianto dall’allarme con tanto di microcamere di sicurezza. Parlò del futuro, dei figli, dell’importanza della fede. Infine arrivammo in camera da letto e si bloccò quasi imbarazzato. Io sorrisi, in fondo è normale che in una casa ci sia una camera da letto, ma per lui quello era un luogo importante quasi sacro dove avrebbe condiviso la sua intimità solo con la donna che avrebbe sposato. Capii al volo la situazione e glissai con un borbottio d’assenso. In praticata non aveva c’aveva mai scopato e la sua donna era chiaramente vergine. Tutto nella logica cristiana della coppia, ma chi ero io per poter giudicare? Non feci altro che fargli tanti auguri ringraziandolo nuovamente per l’aiuto che m’aveva dato. Lui m’invitò per quel sabato pomeriggio all’oratorio, avrebbe voluto presentarmi la sua futura moglie Edvige, il parroco Don Arturo e tutti i ragazzi che seguivano.
Accettai. Non so perché. Ma lo feci. 
Fu un pomeriggio abbastanza noioso, devo essere sincero, tutti mi sorridevano ed erano gentili, fin troppo. Edvige era in linea con le aspettative: una ragazzetta sui venticinque anni, minuta, smunta in viso. Vestita con colori deprimenti, capelli arruffati, un accenno di baffo non celato dal trucco –perché non lo usava-. Mi parve dolce nel suo modo di porsi e molto simile a Gerardo nei modi. Incontrai pure il parroco, un omino sui sessanta, stempiato con grande pancia tonda, spiccato accento napoletano, alito improbabile, implacabile con i ragazzini che lo guardavano con timore. 
Circa un mese dopo, verso sera, Gerardo suonò alla mia porta. Aveva l’entusiasmo dipinto sul volto: la casa era pronta. Mi invitò a dare un’occhiata e poi voleva darmi una cosa. Lo seguii, anche se ero di fretta perché dopo poco sarei dovuto uscire per raggiungere un’amica. Gli dissi che avevo pochi minuti.
“Faremo presto…” disse radioso.
Mi mostrò il suo capolavoro: tutto pronto, perfetto, la cucina fatta a regola d’arte. Mi complimentai sinceramente. Evitai la camera da letto chiedendo cosa fosse la cosa che mi doveva dare: era l’invito al matrimonio. Rimasi sorpreso ma lo abbraccia con gioia. Mentre dicevo qualche cosa –le solite banalità tipiche dei momenti in cui non si sa cosa dire- aprendo la busta e leggendo il cartoncino, Gerardo accese il televisore e con uno strano telecomando armeggiò per qualche istante, poi comparirono delle immagini.
Era l’impianto di sicurezza, con orgoglio mi mostrò le varie inquadrature –tre- possibili e pure quella sul pianerottolo che avrebbe dato sicurezza pure a me. Non riuscivo a far altro che sorridere annuendo ebete.
“…e tutto si registra qui, in questo registratore digitale. Vedi, l’ho provato stanotte, vedi come funziona anche a luci spente, veramente impressionante…”
Si voltò guardandomi fiero ma alle sue spalle, in video, la scena era cambiata all’improvviso. Purtroppo lui si girò.
L’immagine fissa del soggiorno di casa all’improvviso s’illuminò. Gerardo sgranò gli occhi, nell’immagine apparve Edvige che entrava in casa. Gerardo tirò un sospiro di sollievo ma quando vide che la donna non chiudeva la porta dietro le spalle cambiò espressione.
“S’è fatto tardi, mi sa che devo proprio andare…” e feci per uscire ma lui non mi sentì essendo oramai entrato in un’altra dimensione.
Dietro ad Edvige un uomo, Don Arturo, e Gerardo ri-sgranò gli occhi. Si fermarono in mezzo alla stanza, lei s’inginocchiò come a pregare, lui rimase in piedi fermo. La ragazza alzò le mani ed il prete all’improvviso alzò la sua tonaca. Ed era nudo. Edvige ingoiò in un sol boccone il membro del sacerdote –che, tra l’altro, era dotato di strumento asinino. La famosa non categoria dei cazzi enormi che sempre piacciono…- ed iniziò una lavoro orale da urlo. In un attimo i due furono nudi, Edvige si appecorò sul tavolino in cristallo davanti al divano e fu montata dal prelato, senza soluzione di continuità, nei suoi due orifizi così oscenamente proposti all’incolpevole microcamera.
Pensai solo che fosse stata una fortuna che quel sistema di sicurezza non avesse l’audio; non riuscii a dire nulla e come un codardo m’allontanai. Gerardo restò immobile con quello strano telecomando in mano senza dire niente. Quando fui per le scale sentii distintamente un fracasso –di cristallo che va in frantumi- seguito da un bestemmione urlato stridulamente.
Quello che accadde dopo lo seppi dai giornali.
Gerardo, ancora sotto choc andò a casa dei genitori, prese il fucile da caccia del padre, e si catapultò in chiesa dove trovò, nella sagrestia, parroco e la fidanzata intenti a ripetere le stesse pratiche del video. Tentarono di negare l’evidente evidenza facendo esplodere completamente la rabbia di Gerardo che puntò l’arma contro i due amanti e li obbligò ad andare sull’altare. Li fece inginocchiare davanti al crocifisso obbligandoli a pentirsi mentre caricava, alle loro spalle, l’arma. Passò la canna del fucile sulle loro teste facendoli rabbrividire e poi chiese perdono a Dio per ciò che avrebbe fatto di li a poco. Edvige iniziò a piagnucolare disperata, Don Arturo tentò di convincerlo con una super cazzola –che ogni uomo è debole e può sbagliare, anche un prete può cadere in tentazione, e lui doveva vedere quella situazione come una prova del Signore, tentò addirittura di far passare quella situazione come un privilegio a lui riservato-.
Gerardo grugnì infastidito.
Quando tutto sembrava perso, all’improvviso, rivolse il fucile contro di se, fece girare i due a guardare l’orrida scena, trattennero il fiato attendendo lo sparo. Poi lo girò ancora verso i due che ebbero un sussulto ulteriore. Ma non successe nulla. Gerardo sembrò placarsi all’improvviso, abbassò l’arma a terra, Edvige e il Don tornarono a respirare come dopo un’apnea. Sul viso dell’uomo si dipinse un sorrisetto satanico.
“Mica sono scemo, uccidere o uccidermi per una troia e per un depravato, mi basta il terrore che avete provato…” disse loro a voce bassa iniziando poi a ridacchiare.
Gerardo si andò a costituire in caserma confessando quanto aveva fatto ma Edvige e il parroco negarono ogni cosa. Non era successo niente e quel ragazzo, forse troppo stressato dalla vita, era per loro uscito di senno. Non fu denunciato ma i giornali ne parlarono. Eccome.
Il parroco chiese il trasferimento alla Curia che lo spedì in una missione in India. Edvige non si riprese mai più da quell’esperienza tanto da finire, anni dopo, in un istituto psichiatrico. Gerardo vendette il tanto amato e poi odiato appartamento per trasferirsi in una piccola casa in legno sulle montagne vivendo come un eremita.
Nessuno ne seppe più nulla.

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