Il vero
nome di Onan il guardone nessuno l’ha
mai saputo.
L’unica
cosa certa è la storia legata al suo nome.
Questa vicenda,
tramandata oralmente di bar in bar, narra di un uomo venuto da non si sa dove
ma che, con la sua personalità, è stato in grado di ritagliarsi uno spazio di
rilevo nel mondo delle coppiette appartate, degli esibizionisti e scambisti,
nonché di tutte le generazioni di giovani maschi colpiti da sindróme da
imbastonamento che da sempre hanno
guardato a lui come ad un guru da cui trarre verità ed ispirazione. E
si, perché oltre ad essere estremo nel suo modo di procede, tanto da far
pensare che il più delle volte avesse dovuto ricorrere a rocambolesche fughe
per portare la pelle sana e salva a casa, la leggenda di Onan il guardone citava molteplici episodi finiti per lui
positivamente, anzi, spesso molto più che positivamente. Alcuni invidiosi
raccontavano invece altri episodi della sua vita –tra l’altro mai provati- lo
raccontavano come un fuggitivo, con tre figli a carico, alcuni lo davano come
certo bisessuale, altri un ex capellone, chi lo raccontava come
tossicodipendente, chi un fuoriuscito dalla beat-generation, chi lo raccontava
come trasversalmente coinvolto nell’arte visiva floreale progressista.
Tante
voci.
La verità,
si sa, può essere ovunque. L’unica cosa certa era ed è la sua teoria che si
basa, sostanzialmente, sull’equilibrio tra desiderio e concretizzazione
sessuale. Nel dettaglio.
Prima
fase: l’andata, dai tredici ai sedici
anni.
I giovani di
quella fascia lo consideravano il Profeta
della mano foresta. Nei momenti bui dell’adolescenza dove il giusto
equilibrio tra desiderio e concretizzazione è sbilanciato a favore del primo
aspetto, Onan teorizzò la cosiddetta Mano foresta. Ovvero una pratica
masturbatoria dove la presenza di un secondo individuo veniva soppressa a
favore della mera tecnica esecutiva consistente nel sedersi per circa una
quindicina di minuti sopra la propria mano destra fino a quando si percepiva
l’informicolamento dell’arto e, dopo essersi velocemente calati calzoni ed
intimo, procedere ad una naturale e consueta pratica onanista. L’effetto era
garantito: la mano così intorpidita dalla posizione appariva ai più quella di
un’altra persona da lì il nome foresta –forestiera- con evidente godimento
amplificato. Alcuni sostenevano che lo stesso Onan il guardone avesse pure divulgato varianti della stessa
introducendo la Mano foresta con guanto
in pelle ed anche la Mano foresta con
unghia finta laccata.
Seconda
fase: l’arrivo, tra i diciassette e i
quarant’anni.
Periodo
nel quale, si presume, il famoso rapporto di equilibrio succitato si sposta
verso la concretizzazione. Ma qui subentra l’insoddisfazione di come, pur
praticando, lo si fa con compagne inadeguate che il più delle volte non sanno
dare l’auspicato godimento. Onan,
anzi la sua leggenda, narrava dell’importanza di tre elementi che, se non
rispettati, potevano minare le fondamenta della coppia stessa.
Ovvero, il
bacio.
Ognuno con
il proprio stile. Chi piano con metodo, chi a punta ficcante, chi a turbina vorticosa.
Tutti sono accettati tranne il desueto metodo della lingua del dentista, ovvero il frugare nella bocca altrui come se
si fosse alla ricerca di microscopiche carie fra capsule e vecchie otturazioni.
Fondamentale è la passione con cui si procede: poco conosciuto, perciò da molti
snobbato, è il bacio con una sinistro
giro naturale. Ovvero colui che utilizza naturalmente una rotazione
antioraria della lingua caratteristica istintiva che, secondo Onan, meriterebbe studi scientifici appropriati.
La pratica
orale nel rapporto di coppia.
Nella
duplice veste di dialogo e rapporto sessuale. Era, per lui, l’atto fondamentale
attorno al quale ruotava tutto il mondo di una coppia. Onan metaforizzava la duplice valenza dell’oralità come al biglietto
da visita mostrato da parte di chi si presenta, chiaro e leggibile. Oppure ad
una salda stretta di mano, ad un vino bianco ben fresco, al colletto
perfettamente stirato d’una camicia, al centravanti che corre palla al piede
verso la porta avversaria, in sostanza, concludeva teorizzando che “…oralità
è gioia di vivere”.
Infine il rapporto sessuale vero e proprio.
A parte l’atto stesso, che deve essere ritmato e
possente ma altrettanto dolce e suadente, è essenziale una disponibilità
mentale capace di far superare istintive barriere d’imbarazzo o di convenienza
nonché consuetudine. Onan predicava
perciò l’importanza del turpiloquio, del sesso di gruppo almeno tre volte al
mese, dell’utilizzo di posizioni quali la Piovra
di Giava, della Matrioska ucraina
o Zabov, la mossa dell’Arancia meccanica –tutte escluse dai
canonici manuali del sesso- che consentono a donne dotate di padronanza
corporea fuori dal comune l’agire in contemporanea con lingua, mani e piedi su
tutte le zone più sensibili del maschio sottoposto facendogli raggiungere, in
breve, vette altissime di piacere. E, le più dotate, riuscendo a stimolarsi
comprimendosi ritmicamente con le cosce fino a raggiungere devastanti orgasmi
simultanei a quelli del compagno.
Terza
fase: il ritorno, dopo i sessant’anni.
Ovvero
quando le prime due non bastavano più e si doveva ricorrere all’uso simultaneo dei
sensi vista e tatto. L’unico modo di godere, secondo Onan, era osservare qualcosa di eccitante unendolo all’attività
masturbatoria.
Quando Onan incontrò Italia era ampiamente entrato in quella terza fase anche se lo
sguardo della ragazza lo fece più volte vacillare rispetto alle sue
consapevolezze. Alla fine trovò ulteriore equilibrio facendogli allargare il
discorso delle tre fasi ad un nuovo composto da quattro, derogando, anche se
ritenendo quella nuova materia di studio non ancora degna di essere inserita
nella teoria consolidata.
Così portò
avanti con Italia una relazione
fondata su incontri occasionali a base di sesso estremo, in pratica, tutto il
tempo che gli fu necessario per riuscire a teorizzare quell’ultima parte
mancante ed allegarla al suo già ben nutrito volume come allegato essenziale.