Passarono molti mesi dalla drammatica serata
del Taj fun e del conseguente
origliamento di Leone. Iames era di turno al pub per l’ennesima
serata di lavoro non pagato. La voglia di ribellarsi da quella schiavitù
cresceva con il passare del tempo ma sembrava che nulla potesse controvertire
quella tendenza negativa che opprimeva il gruppo quando, improvvisa,
l’occasione tanto agonista si presentò. Mentre riordinava il bancone sentì
delle voci sussurrate provenienti dal piccolo stanzino nel retro che Leone usava come ufficio. Non riuscì a
decifrare quei bisbigli ma la curiosità lo spinse ad avvicinarsi alla porta
socchiusa.
E origliò.
Leone
parlava ad un uomo, che poi i ragazzi scoprirono trattarsi del suo avvocato, un
certo Livio Tonassi. Gli confidava un
fatto capitatogli a fine settembre, quando sua moglie stava ancora in vacanza:
vittima di un attacco ormonale si dovette recare da una professionista del ramo
piaceri vari per potersi togliere un
fastidioso prurito che l’attanagliava. Identificò il soggetto adatto in una
statuaria rossa brasiliana che stava praticando lungo il marciapiede di un
viale che si trovò a percorrere in auto. Pensò ad una cosa rapida, poco
impegnativa e soprattutto, non troppo coinvolgente. Si avvicinò discreto, fermò
deciso l’auto, abbassò sorridendo il finestrino, ed educatamente espose le sue
necessità che alla fine furono ben soddisfatte da un completissimo rapporto
orale.
Il mattina dopo, felice e ben più
rilassato, si recò come d’accordo a prelevare la suocera all’ospizio per
raggiungere insieme la famigliola al mare. Tutto bene, fino al momento in cui,
il suo occhio cadde attratto come un metallo dal magnete da una sconosciuta e
variopinta scarpa appoggiata sul sedile posteriore della sua auto.
“Vuoi che sia
la scarpa di quel…che se la sia tolta per…perché mai avrebbe dovuto farlo…no,
no, no le sarà caduta nell’uscire…certo, ma come è finita la dietro?”
Guidava e a monosillabe rispondeva all’anziana che aveva
iniziato a parlare. Si lamentava di tutto, della pensione che non le bastava,
dell’ospizio dove viveva, del cibo, della carne dura, del pane vecchio. Doveva
far sparire quella scarpa.
Con la scusa di aver bucato una gomma si fermò, aprì
il portellone, distrasse la vetusta con un gioco di parole che la lasciò
interdetta e, veloce come una faina nella boscaglia la mattina presto dove non
si vede ad un passo, si catapultò sul sedile, afferrò la scarpa e la gettò
fuori bordo prima che l’arcaica se ne potesse accorgere.
Rasserenato ripartì.
L’aveva scampata per un miracolo: ma per la
concitazione, la tensione, o l’euforia di quel momento un particolare gli
sfuggì. La scarpa era piuttosto grande, almeno un 44/45.
“Sarà mica
stato un travestito” gli scappò ad
alta voce
“Chi?” rispose interdetta la vecchia.
Iniziarono cinque minuti di fuoco nei quali dovette
tenere a bada l’ancestrale e contemporaneamente domandarsi come avesse potuto
scambiare quella rossa per una donna e soprattutto farsi fare quello che si era
fatto fare. Il viaggio poi, dopo quei momenti caldi, proseguì in un silenzio
irreale. Ma dentro la sua testa un turbine di domande roteava implacabile quasi
a farlo impazzire.
Bastò però arrivare a destinazione per risolvere ogni
dubbio. Scese dall’auto per salutare i bambini e mentre abbracciava la moglie
s’accorse che l’obsoleta s’attardava in macchina perché intenta nella ricerca
della sua scarpa destra che misteriosamente era scomparsa. Attimi di terrore:
s’inventò un diversivo.
Tentò di far ricadere sulla suocera ogni elemento
negativo che potesse mettere sotto cattiva luce la sua integrità morale e/o
fisica. Insomma, una donna di quell’età che porta scarpe di quel genere non
poteva che essere oramai cerebralmente fritta, la moglie però lo bloccò
mettendolo al corrente della verità. Quelle scarpe erano sua, qualche mese
prima le aveva prestate alla madre perché la rendevano più giovane e alla moda.
Leone la guardò interdetto e pensò che forse era meglio non
aggiungere altro anche se dentro di se era certo che sua moglie avesse intuito
qualcosa e che stesse tramando qualcosa nell’ombra.
Ma nell’ombra c’era Iames che sentito l’epilogo della storia irruppe nella stanza con
stampato in viso un sorrisetto malizioso. Leone
lo guardò con l’aria di chi è stato scoperto con le dita nella marmellata,
l’avvocato Tonassi li guardò
interrogativo, Iames si levò il
grembiule lasciandolo sul tavolo davanti a Leone
per poi uscire con l’aria soddisfatta di che ha avuto finalmente la sua
rivincita.
Nessun commento:
Posta un commento