Sif
viveva in una piccola casa circondata dai campi di frumento. All’epoca della
fotografia faceva la seconda media, era un bravo ragazzo, molto legato ai sani
principi.
La sua era una famiglia normale; il padre, Oscar Luigi, stava
recluso da circa sei anni per via di una strana storia di assegni a vuoto, Mamma
Veronica, disoccupata, manteneva tutti con la pensione di nonna Adolfa
che aveva lavorato alle poste: ben 156 euro al mese. In più curava la piccola
casa dove, oltre a Sif, vivevano i due fratelli gemelli, Pier
Costanzo e Maria Dolores di diciotto anni. Mamma Veronica li
adorava, coccolandoli e viziandoli oltre ogni misura, e loro ne approfittavano
biecamente.
Verso Sif l’atteggiamento era diverso; l’amava, in quanto figlio
suo, ma non con lo stesso vigore. Era come se quel ragazzino fosse per lei un
animale domestico a cui dopo tanto tempo ci si affeziona. Con nonna Adolfa
non aveva rapporti. L’aveva vista solo una volta, a sei mesi, e nemmeno se la
ricordava bene. Sapeva solo che nonna stava in camera sua, al piano interrato
della piccola casa, che dormiva sempre e quindi, non si poteva disturbare. Ma
un giorno qualcosa cambiò.
Arrivò il suo tredicesimo compleanno. Sif passò la mattina a
scuola ed il pomeriggio a raccogliere le foglie secche del giardino dei vicini,
i signori Vizzelli. Era quello un piccolo lavoretto che gli faceva
guadagnare qualche soldo, decurtato della metà devoluta in famiglia, da mettere
in parte per il futuro. Lui era felice di quei 75 centesimi che si guadagnava
in cinque ore di duro lavoro nei 4000 mq di giardino dei signori Vizzelli.
Si sentiva fortunato ad avere un’occupazione, e per di più, in nero. A
proposito di nero, fu quello il colore che scatenò nella mente di Sif
alcuni dubbi che da quel giorno di festa non lo fecero più vivere felice e
sereno.
Mentre stava lavorando nel giardino dei signori Vizzelli ebbe un
improvviso bisogno fisico. Forse quel bicchierone di latte gelato bevuto a
merenda stava avendo un forte dissidio con il suo intestino. Corse a casa
tenendo il fiato per paura di perdere qualche pezzo nella corsa. Finalmente
raggiunse il bagno e riprese forza dopo essersi seduto sulla tazza quando, nel
silenzio circostante, sentì uno strano rumore tipo, un miagolio. Dopo un
secondo di silenzio un nuovo miagolio, ancora più deciso. Appoggiò l’orecchio
sulla parete che divideva il bagno dalla camera di Mamma Veronica perché
gli fu subito chiaro che quel rumore veniva proprio da lì. Tentò di capire cosa
stava accadendo. Sentì delle voci.
”…che
cosa mi hai portato oggi?”
”il
solito…mamma Veronica…banana di cioccolato!”
Seguirono delle risa miste ad urletti uniti a sospiri. Poi il silenzio.
Sif sentì che la porta della camera di mamma si stava aprendo. Sbirciò
dal bagno attento a non farsi vedere. Un signore di colore si stava chiudendo
la cinta dei calzoni con un bel sorrisone stampato in viso. Appena l’uomo uscì
di casa Mamma Veronica andò in cucina sistemandosi la sua bionda chioma.
Sif la seguì quatto quattro. Vide che nascondeva alcune banconote da 50
euro in un barattolo sopra le mensole. Non riuscì immediatamente a collegare
quel denaro all’uomo nero, passando attraverso i miagolii, finendo alla banana
al cioccolato…ma…dopo un attimo, capì. Tutto gli fu chiaro. Quell’uomo era il
pasticcere. Pensò che sua madre avesse comprato una torta per il suo
compleanno, al cioccolato, la preferita. E quei soldi erano sicuramente il
resto. Era certo che Mamma Veronica avesse pagato il pasticcere con la
banconota da 156 euro della pensione di nonna ma…di torte, quella sera, nemmeno
l’ombra. Sif non ne ebbe a male, in fondo, Mamma Veronica era
troppo impegnata dalla sua vita, un marito in carcere, la casa, i figli da
seguire, può capitare di scordarsene. Rasserenato da quelle riflessioni tornò
nel giardino dei signori Vizzelli per finire il suo lavoro. Ormai erano
quasi le sei di sera quando, intento ad accumulare foglie, si bloccò perché
fulminato da una visione imprevista. Il motivo? La più bella ragazzina del suo
paese camminava lungo la strada che costeggiava il giardino dei signori
Vizzelli. Seguì per pochi attimi quella slanciata figura che dimostrava
almeno cinque - sei anni in più di quelli che aveva. Era meravigliosa, capelli
scuri, occhi blu, andatura da top model, altera, sicura, irraggiungibile. Dopo
un istante sparì dietro l’angolo ma a Sif quel momento parve non finire
mai. Il ragazzo ebbe un tracollo: un misto di sano romanticismo e sanissima
eccitazione. Cadde all’indietro sprofondando nel cumulo di foglie secche appena
raccolte facendole volare tutt’intorno. Restò sdraiato a terra guardando il
cielo che imbruniva. Aveva la faccia inebetita e la patta dei calzoni che
puntava dritta a nord. Poi, s’alzò deciso. Lei era la donna della sua vita, la
voleva sposare ed avere almeno tre figli. Fece un bel respiro: era sicuro.
L’indomani avrebbe fatto di tutto per conoscerla e conquistarla. Si sentiva
finalmente un uomo che aveva trovato la sua compagna. Ed un ghigno da lupo
affamato gli si dipinse in volto.
Il giorno successivo riuscì finalmente ad avere l’occasione tanto desiderata.
La ragazzina da lui agognata era seduta sulla panchina centrale della piazza
del piccolo paese. Si fece coraggio, il cuore gli batteva impetuoso nel petto,
gli mancava il respiro. Dopo undici minuti di tentennamenti partì dritto verso
la panchina e con distacco si avvicinò alla ragazzina. S’avvicinò fingendosi
disinvolto. La ragazzina non lo degnò d’uno sguardo, o forse, manco s’accorse
della sua presenza. Il ragazzo si fece più audace. Attaccò il suo solito e
vincente monologo d’abbordo. Ma i frutti tardavano ad arrivare, così si sedette
in parte alla ragazzina. Lei ebbe un sussulto, più che sorpreso, schifato. Ma Sif
non mollò. Parlava, parlava, parlava…diceva cose che normalmente in quel tipo
di situazione sembrano straordinarie ma che in realtà nascondo la banale
vuotezza di un dibattito da campagna elettorale. Quel monologo infinito
proseguì per quasi sette minuti. Unico risultato fu il sapere il nome di quella
ragazzina. AO, cioè, il diminutivo di Alfonsina Ornella. Sif
iniziò a volare alto: pensò che finalmente era riuscito a rompere il ghiaccio
ed ora la strada si presentava in discesa. Tentò così l’affondo finale. Ma
proprio in quell’istante, in modo del tutto imprevisto, la ragazzina iniziò a
ridacchiare. Prima quasi trattenendosi, poi con più vigore. Sif fermò il
suo parlare. Ma quel gesto d’educata curiosità gli si ritolse contro come la
lama affilata d’una ghigliottina che sta per mozzare un collo. Sul viso di
quell’angelica figura, si dipinse un ghigno sadico: in breve gli vomitò addosso
una pesante verità. Lei sapeva tutto di lui, del padre carcerato, del fratello
che spacciava cocaina, della madre che arrotondava prostituendosi. Sif
tentò balbettando di fermarla ma lei, come un fiume in piena, esondò l’argine
della decenza confessando la relazione che aveva con la sorella Maria
Dolores con la quale, di lì a poco, si sarebbe sposata. Sif, col
viso rigato dalle lacrime si salvò soltanto grazie ad un auto massaggio
cardiaco. Dopo quell’ultima velenosa frecciata la ragazzina s’alzo per andarsene
ma prima di sparire si bloccò: si voltò e guardando Sif dritto negli
occhi lo finì invitandolo ad entrare nella stanza della nonna. Li avrebbe
trovato una vera sorpresa. Poi s’allontanò ridacchiando diabolicamente. Sif cominciò a vomitarsi
istericamente addosso.
Il pomeriggio successivo il ragazzo si decise: sarebbe entrato nella
stanza della nonna. Aprì la porta cercando di fare meno rumore possibile,
appena lo spazio fu sufficiente s’infilò. Ma dentro non c’era una camera bensì
un lungo corridoio abbastanza buio. Lo percorse tutto, prima lentamente
guardandosi le spalle, poi con più decisione. Arrivò ad una doppia rampa di
scale che scendeva sotto terra. Scese. La luce si faceva sempre più fioca.
Arrivò di fronte ad un’altra porta con il cuore che batteva in gola. Appena
l’aprì si trovò in un luogo totalmente buio: gelidi brividi gli rigarono la
schiena. Proseguì fino a che si trovò davanti un ostacolo. Tentò con le mani di
capire cosa fosse, una nuova porta?…un muro?…???…Sif al tatto non
capiva. Toccava quella cosa dalla consistenza molliccia, viscida, forse bavosa.
Ebbe la sensazione che qualcosa di peloso gli strisciasse sulle braccia quando
d’improvviso una luce sfolgorante…chiuse gli occhi accecato, ma poi la
curiosità, glieli fece pian piano riaprire e…colori sgargianti, fiori, ruscelli
e piccoli laghi, animali liberi che pascolavano, inebrianti aromi primaverili.
Un posto paradisiaco. Sif entrò curioso in quel mondo. Camminò per quasi
due chilometri e la felicità lo invase fino a quando, dopo aver incontrato
branchi di antilopi che giocavano con leoni sorridenti, stormi di germani reali
che deliziavano con vorticose picchiate un gruppo di cacciatori, greggi di
pecore che filavano da sole la loro lana vide, oltre una brughiera, un gruppo
di persone che rideva gioiosamente. Fu attratto da tutta quell’ilarità.
S’avvicinò. Quando fu giunto a pochi metri riconobbe sua madre, suo padre, la
nonna, i due fratelli, AO e pure il nonno. Si fece avanti ma prima che
potesse proferire verso quest’ultimo disse:
“Caro
Sifone è giunto il momento che tu sappia la verità. Tu non sei mio nipote
perché Veronica non è tua madre. Ti abbiamo trovato nel cassonetto di fronte
casa e t’abbiamo allevato ma solo per sfruttarti e divertirci. Ti assicuro che
ci siamo fatti tante grasse risate. Ah, la tua amichetta AO in realtà è una
prostituta minorenne maltese che abbiamo ingaggiato per farti questo ultimo
bello scherzetto!!!”
Sif
scappò piangendo disperatamente mentre tutti ridevano canzonandolo con
pernacchie bitonali irriverenti. Quel posto paradisiaco si trasformò nel suo
fuggire in un inquietante girone infernale con tanto di magma, fango,
escrementi solidi e liquidi, sangue e grida disperate. Decise così di
suicidarsi. Si gettò dal ponte dell’autostrada. Ma non morì: rimase tetraplegico
e tutt’oggi vive grazie ad una macchina che lo fa respirare. E la sua famiglia
guadagna dalla sua condizione spendendo in vizi i soldi della sua pensione
d’invalidità.
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