Visto che le cose erano
cambiate i quattro pasticcioni
bivaccavano costantemente nel pub di Leone
che li serviva come un’umile sguattera e, per di più, senza opporsi alle loro richieste
sempre più ardite. Oltre a disporre del miglior tavolo ed aver accesso alla
fornita cantina del locale, pretendevano vini particolari da poter offrire
nelle feste settimanali che organizzavano.
Dopo un inverno allegro
arrivò l’estate: quel simpatico gioco oramai aveva annoiato i quattro che
spesso passavano le loro giornate al pub come dei normali clienti ed a volte,
addirittura, pagando il conto. Un pomeriggio seduti al loro tavolo privilegiato
assistettero ad una scena talmente paradossale da farli scuotere dal torpore
che quei primi giorni caldi aveva prodotto nei loro animi.
La piazza era colma di
gente che andava in tutte le direzioni, auto strombazzanti, confusione, negozi
ed uffici, massaie e manager. Tutti che correvano come presi da una fretta
inevitabile. Iames, con lo sguardo perso nel vuoto, fu
attratto da qualcosa appoggiato proprio sul marciapiede prospiciente. Richiamò
l’attenzione degli amici: i quattro osservarono la cosa e riconobbero un
escremento. Ne scaturì un dibattito. Parlare di opera canina sembrò assai
riduttivo di fronte a quel prodigio della natura. Sei, sette, forse anche otto
etti di materiale depositato da chissà quale essere in quel luogo, con una cura
una precisione ed una quantità degna di un animale che mai si era incontrato da
quelle parti. Maurilio ironizzò su
chi potesse esserne l’autore, Venanzio
ipotizzò un rinoceronte, Iames teorizzò un ippopotamo. Alfredino, con ferma convinzione e
vibrante consapevolezza, chiuse sicuro con l’idea d’un elefante impazzito
scappato dal circo Americano che libero vagava nella città come si trovasse
finalmente nella sua savana e non più costretto dalle quattro ferree pareti
della sua gabbia, alla ricerca del fiume per dissetarsi e poi di cibo per
sfamarsi, ed infine vittima di un attacco intestinale. I tre lo guardarono
perplessi proprio mentre un uomo d’affari, in ritardo vista l’andatura, svoltò
l’angolo di gran carriera. Prima che accadesse quello che accadde i quattro,
azzittitisi, osservarono il suo elegante abbigliamento. Un abito color sabbia di
taglio sportivo con gusto coloniale che l’uomo portava con sincera eleganza. Si
guardarono increduli finché Alfredino
riattaccò con l’ipotesi dell’elefante e sottolineò a conclusione l’evidente
legame dell’uomo con la sua idea visto che sembrava proprio un vero cacciatore
di leoni nella savana. E, normalmente quelli stanno sul dorso d’un elefante. L’uomo
giunse a cinque centimetri dall’imprevisto; riuscì a vederlo, tentò disperato
di sterzare ma il mocassino che indossava non riuscì a tenere la traiettoria finendo
il suo movimento frenante già dentro a quell’ignobile magma marrone.
Inevitabile l’effetto aquaplaning che gli fece perde tutto il poco equilibrio
rimasto facendolo rovinosamente cadere, dopo un ultima disperata torsione del
busto, faccia avanti nell’inferno. Quei tutti che fino ad un attimo prima si erano
mossi ad un ritmo indiavolato, al tonfo dello sventurato, s’arrestarono. Lui
sdraiato a terra si trovò circondato da una silenziosa ed osservante folla da
stadio. Non fu aiutato a rialzarsi perché di scatto lui si sollevò appena
sentito il peso di quegli sguardi. E appena dritto quell’uomo disse:
”Non è successo niente. Nulla, non mi sono neppure
sporcato”.
E se ne andò via con
piglio deciso.
Se l’era cavata bene
anche se si allontanava zoppicando con il suo bell’abito addobbato da fiammate
di colore più scuro, comunque, nel più classico stile del tono su tono.
I quattro scoppiarono in
una fragorosa risata mentre Leone si presentò al tavolo con una
prestigiosa bottiglia e quattro bicchieri. Era stufo di quella guerra e lanciò
così un segno di pace. Ed in più allegò una proposta esclusiva: l’invitò ad una
serata particolare presso il locale d’un suo amico. Un club di quelli veramente
esclusivi. I ragazzi sorpresi dalla proposta ma attratti dalla possibilità di
realizzare qualcosa d’impensabile accettarono senza riflettere non cogliendo il
tono subdolo con cui Leone aveva
parlato ed anche il caracollare diabolico con cui l’uomo s’allontanava.
Il ragno aveva finalmente
imprigionato la preda nella sua tela viscosa. La guerra non era finita.
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