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martedì 26 novembre 2013

         Alcune persone mi guardano con simpatia, altre con sospetto, la maggior parte m’ignora.
         Credo che questa sia condizione comune a chi prova ad essere ciò che realmente è. Dicendo ciò che pensa. Vivendo rispettando se stesso quindi gli altri. Ascoltando le proprie opinioni e valutare serenamente quelle altrui. Sicuro che la ragione debba prevalere sugli istinti.
Sono stato definito – mai direttamente – come un fascista, ed anche – mai direttamente – come comunista.
         Sinceramente i giudizi non m’interessano.
         E non lo penso e poi dico per spocchia o senso di superiorità bensì per il semplice motivo che chi lo fa – giudicare - nella maggior parte dei casi si riferisce a modelli che nemmeno consoce, dei quali ha solo sentito parlare, diventandone paladino solo per averli letti nei titoli dei giornali o visti alla televisione o letti sul web.
          Quella è gente che sente di poter giudicare, invece, pre-giudica.
E’ come parlare dei comportamenti di Mario Balotelli e giudicarlo per ciò che viene raccontato sul suo conto: ma nessuno dei giudicanti lo conosce personalmente, ha fatto quattro chiacchiere con lui, gli ha mai chiesto cosa significa essere un nero adottato cresciuto nella provincia bresciana? E, soprattutto, nessuno ha mai posto la giusta importanza a stabilire se tutto quello che viene detto su di lui corrisponda o no alla verità.
         Prometto che questa sarà l’unica divagazione di genere calcistico, anzi no, ce ne sarà un’altra.
Del pensiero comune, figlio di quel pre-giudizio, non me ne importa niente.
           E’ solo una questione d’ignoranza diffusa, per tentare di mettere ordine alle cose, banalizzando persone e situazioni semplicemente etichettandole.
         La gente oggi, nella maggior parte dei casi senza cultura specifica e nemmeno generica, ha la presunzione di sapere tutto. Sente di potersi permettere qualsiasi uscita, d’aver voce in capitolo, suppone facendo parte di un mondo che offre possibilità di rendersi facilmente visibili e ascoltabili d’aver libero e autorevole accesso al giudizio. Ogni conversazione – quella politica specialmente - è ridotta per ciò ad un chiacchiericcio da bar, il confronto d’idee è solo il preludio d’uno scontro, il luogo comune diviene regola di comportamento sociale.
         Perché fondamentalmente mancano le basi...ed anche le altezze.
          Perciò la società d’oggi è quella che è.
         Non esiste più il senso del rispetto, tutto deve essere ottenuto velocemente, e con successo.
          Se non lo raggiungi sei irrimediabilmente un perdente – o uno stronzo… -.
        Osservo a volte certe persone – specialmente miei coetanei - chiedendomi retoricamente come riescano ad avere ciò che hanno: semplicemente l’hanno ricevuto in dono o ereditato da genitori, nonni, amici, amanti, protettori. Perché se si va più all’origine di qui patrimoni si scopre che uno dei loro parenti lavorava per o con la chiesa, l’altro era amico di un politico influente, l’altro amante di…
         Genti posizionate che hanno prodotto genti che tutt’oggi sfruttano i benefit presi nel passato. Molto spesso senza merito o addirittura illecitamente se non illegalmente.
         Un po’ come i contrabbandieri che salivano a piedi le Alpi per portare in Italia cose dalla Svizzera evitando di pagare il dazio. C’è sempre qualcuno che fa il lavoro sporco, quello che nessuno vuol fare perché puzza, che lascia le mani sporche. Ovviamente chi è disposto a farlo prende e pretende in cambio il beneficio.
         E non c’è solo questo.
          Molta gente non ha semplicemente mai pagato le tasse, evasori cronici, che hanno costruito imperi economici. Infischiandosene del senso civico, del bene della società, del rispetto dell’altro. Per ciò i loro discendenti tutt’oggi abitano in lussuosi appartamenti del centro, hanno ingenti somme di denaro nei conti correnti, ed in più amano pontificare e biasimare scandalizzati chi dubita delle loro origini -economiche-.
         Io ricordo mio padre sfasciarsi per il lavoro: perché gli piaceva farlo, innanzitutto, e poi gli serviva. E mai è riuscito a salire nelle gerarchie perché quello non era il suo scopo. E ne ha sofferto infine. Quando, dopo un ictus dal quale si riprese completamente tanto da riuscire a tornare al suo amato lavoro, fu da esso allontanato con una motivazione assai crudele quanto banale legata alle sue condizioni sanitarie che non davano garanzie di certezza all’azienda per cui aveva sempre lavorato. Fu così buttato fuori come il più noioso dei fastidi.
            Lo vidi piangere. Anzi, con gli occhi inumiditi, non vidi mai le sue lacrime.
           E mia madre a sostenerlo, sempre e comunque, con un grande rispetto unito all’innato senso della famiglia. I sacrifici, il doversi abbassare anche ad umiliazioni cocenti per tentare di avere un futuro, le lacrime di mia madre – quelle si le ho viste e me le ricordo – mentre seguivamo l’ambulanza che portava mio padre all’ospedale dopo il famigerato ictus.
         E io, con una paradossale serenità che in un momento del genere non può esistere, le dicevo di stare tranquilla perché tutto si sarebbe sistemato. E ne ero certo.
           Ma chi mi dava quella certezza?
         Nessuno, solo sentivo che quello non poteva essere il finale, ogni storia di onestà deve concludersi almeno degnamente. Garantire rispetto al protagonista.
         Sfruttatori di patrimoni accumulati in maniera dubbia ed in più criticanti: il mio non vuole essere un giudizio ma una costatazione. Perché tutto questo è semplicemente inaccettabile quanto meno da un punto di vista etico.
         Il Nazareno invitò chi fosse senza peccato a scagliare la prima pietra contro l’adultera…il fatto è che siamo tutti adulteri e nessuno può – moralmente – azzardarsi nemmeno a pensare di cercare un sasso.
         Ma tutto viene così banalizzato e m’innervosisco.
        Se esprimi un disagio morale come questo sei immediatamente classificato: e vieni attaccato. Se poi non riescono a scalfirti ci provano con le persone che stanno attorno a te.
In ogni famiglia ci sono cose che forse non si allineano al principio comune reputato degno. Mio nonno aveva una passione per Mussolini; lo ricordo nel suo fumare facendo solo fumo e nella sua grande delusione d’una speranza persa che in gioventù gli aveva fatto sacrificare la parte più bella della vita. E mia nonna a supportarlo, forse non totalmente d’accordo con quelle sue convinzioni, ma solo per senso d’appartenenza accettarle. L’unica presente quando morì un mattino raccogliendo con un sorriso rispettoso l’ultimo suo respiro. E pure uno zio omosessuale prigioniero di guerra e poi prigioniero nella vita. Ghettizzato e nascosto come un appestato, impresentabile, una vergogna da celare al mondo.
           Ma quelle erano le loro vite, belle o brutte, condivisibili o no. Chi siamo noi per poter giudicare, abbiamo già il sasso nella mano, lo teniamo nascosto pronti a scagliarlo. I denigratori sono sempre all’erta, pronti, a dichiarare una scomoda verità.
         La denigrazione è un’attività che rende molto.
         Personalmente, provata più volte sulla mia pelle, m’ha solo dato maggior vigore. A tratti la trovo pure rasserenante.
         Quando non hai bisogno di alibi perché sicuro della verità ti serve solo il tempo d’un respiro a farti rilassare.
         Ma l’italiano medio è quello che paga il condono tombale a prescindere, quello che preferisce evitarsi problemi anche se sa di non aver commesso qualcosa che gliene potrebbe produrre, è quello felice di prendersi un antibiotico prima ancora d’essere infetto.
         Il non si sa mai… è diventato il motto che spinge le generazioni italiche, esprimendolo meglio, pararsi il culo sempre e comunque.
         E’ questo, lo abbiamo nel DNA, siamo un commistione di razze e popoli diversi. Obbligati con la forza ad essere unici, abituati ad accettare un potere forte oppressivo ed a sottometterci, incapaci di pensare liberamente ad eccezione del fatto di proteggere il nostro piccolo orticello dalla grandine improvvisa.
           E questo basta.
           Ed è sempre bastato.
         Nessun sentimento comune, nessun senso di appartenenza, nessuna volontà di mettere la propria faccia.
         Seconda ed ultima digressione calcistica.
         Perché in Italia la squadra di calcio più tifata è la Juventus?
         Perché è la più forte? E’ quella che ha vinto di più? E’ quella dalla storia più prestigiosa e con la bacheca più ricca di trofei?
         No.
          E’ semplicemente la scelta più comoda fatta da chi intende il calcio come intende il resto del proprio esistere: salire sul carro di chi sai sarà vincitore a prescindere dal proprio valore e/o merito, affiancarsi anche solo per l’istante di una partita di calcio a chi rappresenta quello che mai sarai, sentirsi vincenti ed invidiati perché certi di non poterlo mai essere da soli. E dimenticare nello stesso attimo d’una partita di calcio l’arroganza con cui viene ottenuto spesso il successo, ignorando l’etica, il rispetto delle regole e degli avversari. Dove la lealtà, specialmente, non conta niente…ma stiamo parlando di calcio, in fondo non è poi così grave. E quindi: forza Juve!
       Ma c’è una cosa più importante che forse può salvare da questo raccapricciante orrore, credo l’unica rimasta, la conoscenza.

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