Translate

lunedì 31 marzo 2014

Iames Balducchelli


 

 

Maurilio e Iames Balducchelli si conoscevano fin dalla nascita. Erano figli di due famiglie che vivevano sullo stesso pianerottolo.
Si frequentarono inevitabilmente fin da piccoli, passarono interminabili giornate nel cortile, teatro di tutti i giochi che la giovinezza contiene. Furono da subito grandi amici, caratteri opposti che si completavano, identica voglia di vivere che li rendeva inseparabili.
Il loro stare insieme li portò a consolidare una fiducia ed un’intimità che, anche da adulti, li rese inscindibili. Frequentarono le stesse scuole, solo il servizio militare li divise, nemmeno quell’anno di forzato distacco riuscì però ad indebolire il loro legame.
Più che amici erano fratelli nonostante entrambi avessero legittimi legami di consanguineità. Ma loro, a differenza, si erano scelti e voluti.
Arrivarono i giorni dell’esame di maturità.
Nonostante la tensione si acutizzasse per quel imminente evento, nella testa dei due altri pensieri ricoprivano un ruolo principale, soprattutto il divertirsi sempre e comunque. Non avevano voglia di studiare in quell’estate torrida, troppe sirene ammaliatrici li distraevano, il loro tempo lo passarono ad ingegnarsi per trovare soluzioni alternative allo studio per poter raggiungere l’obiettivo senza troppo sacrificarsi. Avevano allestito, nella piccola cantina dei genitori di Iames, il loro covo. Si rintanavano in quel posto buio e umido per ore parlando, pensando, progettando. E si attrezzarono con un computer, una stampante, una vecchia fotocopiatrice ed altri strumenti che gli permisero di metter su in poco tempo una vera centrale della falsificazione.
Camuffare, modificare o riprodurre ogni cosa per poi poterne fare un’altra.
Partirono, durante l’anno scolastico, da innocenti falsi relativi alle assenze sul registro di classe per poi passare a finte circolari presidenziali, voti inseriti su registri, compiti in classe modificati…
L’elemento che li univa in quell’impresa, oltre ad un fine comune, era l’assoluta e reciproca fiducia nonché un atteggiamento omertoso verso chiunque potesse avvicinarsi a quel loro mondo o soltanto sospettarne l’esistenza. Quasi un patto di sangue che non fu mai tradito.
Insomma, una sorta di piccola organizzazione a delinquere, che però permise loro di presentarsi all’esame di maturità e superare brillantemente l’ostacolo. Dopo quel momento d’emergenza si trovarono fra le mani un’organizzazione che funzionava perfettamente e sembrò loro inutile distruggere il lavoro fatto. Decisero, quando se ne fosse presentata l’occasione, di usare la loro esperienza anche all’università che s’apprestavano ad iniziare. Ma pure in eventuali altre situazioni.
Un giorno vennero casualmente in possesso d’un biglietto giornaliero per gli impianti di risalita di Campofelice. Vergine, cioè senza data stampata sopra, ci volle ben poco a riprodurne altri e sciare gratuitamente per tutto l’inverno. E poi, con una vendita sottobanco, guadagnare qualche soldo da utilizzare in altri divertimenti. Così pure per la discoteca.
Fu facile, con quei soldi guadagnati, acquistare veri biglietti d’ingresso al locale che più andava in voga in quell’inverno e falsificarne qualche decina per essere presenti ogni week-end. Per una mera necessità tecnica, una carta speciale su cui erano stampati i biglietti, dovettero entrare in contatto con una tipografia per poter avere lo stesso tipo di supporto. Qui ebbe luogo l’incontro con Alfredino Filetti, un coetaneo che lavorava nella tipografia a cui si rivolsero, era il figlio del titolare. Alfredino, piccolo di corporatura ma agile di mente, ci mise pochi istanti a capire quello che i due avevano intenzione di fare. Era uno sveglio e pratico. Fece una proposta: lui avrebbe fornito la carta, Maurilio e Iames avrebbero stampato mentre Venanzio Potenza, un suo amico fidato, avrebbe provveduto a reperire biglietti da altri locali. Insomma, in cinque minuti, prospettò ai due un business degno d’una mente mafiosa svezzata.
Così si formò il gruppo dei pasticcioni. 
N.B. - Iames, pronunciato letteralmente, era stato così chiamato dal padre per via d’una vera e propria venerazione che costui aveva per James Bond, quello fu per sempre il suo nome così goffamente italianizzato anche se, ufficialmente, risultava registrato all’anagrafe come Calogero perché Iames non venne mai accettato.

domenica 30 marzo 2014

Il post più letto della settimana: intimità interrotte




Maurilio e la Burfainiziarono a frequentarsi.
Ufficialmente come amici poiché impensabile era rendere ufficiale il loro rapporto per via del fanatico fratello della ragazza. Maurilio era incastrato tra la voglia di concretizzare e la paura di subire un pestaggio; e dentro stava male.Annalisa viveva invece più disinvoltamente quella storia. Pensava che il non essere troppo deciso nell’andare al sodo da parte del suo spasimante, rappresentasse il valore che Maurilio dava al rapporto, una solida base di rispetto ed amore con la prospettiva di trasformarsi in qualcosa di più.
Amore, appunto, l’unica cosa che lei sentiva per quel ragazzo anche se mai era riuscita a dirlo. Maurilio riuscì, dopo settimane di lavoro estenuante ai fianchi con l’accortezza di non essere mai troppo diretto, a creare l’episodio propizio.
Soli a casa di Annalisa. Seduti sul divano. I tempi dei timidi baci e delle caste carezze sembrava lontano anni luce. Maurilio si sentiva prontissimo a quell’evento che da sempre aspettava e per il quale si era dedicato per lunghe ore ad estenuanti e costanti allenamenti manuali. La Burfa inizialmente era un po’ rigida anche se il suo modo di baciare quel giorno era diverso. Un vorticoso intrecciarsi di lingue fu il prologo all’evento scatenante. Interminabile momento, pieno, ricco, trascinante. E poi, dopo essersi staccati per riprendere fiato la ragazza lo fissò dritto negli occhi sussurrandogli un “Ti amo…” di totale sincerità. Maurilio in un secondo dovette imbastire una risposta mentre nella sua mente ipotizzò gli scenari che si sarebbero prospettati. Il primo, dicendo la verità, lo avrebbe fatto ritrovare nel giro di pochi istanti fuori da quella casa con l’unica prospettiva di una nuova seduta masturbatoria solitaria. Il secondo, con una risposta interlocutoria avrebbe prodotto un medesimo risultato. Il terzo, mentendo spudoratamente, l’avrebbe fatto finalmente sco…
Ma poi dovette parlare.
Anch’io…” disse con voce ferma e sguardo penetrante.
Si scatenò in pochi istanti un delirio: la ragazza si alzò ed iniziò a spogliarsi delicatamente mentre Maurilio già nudo la osservava inverrato predisponendo il suo strumento alla copula.
Annalisa arrivò alle mutandine e si bloccò. Maurilio con il campanile più che pronto la scrutò interrogativo, lei confessò di trovarsi in uno di quei giorni. Mauriliol’afferrò urlandole “Ma io ti amo!” per poi strapparle l’intimo con un colpo deciso d'incisivi. La rivoltò sul sofà: impacciato tentò di dirigere la sua punta verso l’obiettivo ma, mentre cominciava a sentire l’essenza di quello che provava a fare, un rumore sospetto li bloccò. Qualcuno stava infilando la chiave nella toppa della porta d’ingresso. I due inesperti amanti gelarono. La Burfa con gesto felino si precipitò in bagno. Maurilio, ancora nudo, sentì dei passi che s’avvicinavano. Spinto da puro spirito di sopravvivenza si rivestì completamente in meno di sei secondi, scarpe stringate incluse, il Burfo comparve sulla porta del salone. Si guardarono senza fiatare: Maurilio balbettò qualcosa. Il Burfo gli s’avvicinò con l’aria poco convinta e quando fu giunto a pochi centimetri da lui allungò un mano ed afferrò qualcosa che sporgeva dal collo della camicia.
E questo che cos’è?
Maurilio osservò quell’oggetto tentando una disperata spiegazione.
Si trattava dell’assorbente intimo della Burfa che nella concitazione della vestizione gli si era andato evidentemente ad incastrare proprio lì. Il Burfouscì senza fiatare della stanza per poi, dopo un attimo, ripresentarsi armato di mazza da baseball e scaraventarsi sullo stupratore della sorella.
Maurilio decise che la relazione con Annalisa andava unilateralmente interrotta. Quella volta era stato fortunato, solo un braccio fratturato a mazzate, se fosse dovuto accadere nuovamente forse in palio ci sarebbe stata la sua stessa esistenza. In fondo il mondo era pieno di ragazze, e poi la masturbazione era sicuramente molto più sicura.
Così la lasciò per telefono.
Dopo quello scarno comunicato riattaccò sentendosi un miracolato mentre lei, dall’altro capo del filo, iniziò un disperato silenzioso pianto.

sabato 29 marzo 2014

Post promozionale


I miei libri, in formato e-book, si possono acquistare scaricandoli dai principali ebook stores (Amazon Kindle Store, Apple IBook Store, KoboBooks, Ultima Books, Nook Store, IBS, Nokia Reading, La Feltrinelli, Libreria Rizzoli, Net-Ebook, Cubolibri, Book Republic, Ebookizzati, Libreria Universitaria, DEAStore, Webster, Unilibro Libreria Universitaria, MrEbook, Ebook.it, Librisalus.it, Libreria Fantasy, The First Club, Omnia Buk, Il Giardino Dei Libri, 9am, Cento Autori, Edizioni Il Punto D’Incontro, Excalibooks, Hoepli, San Paolo Store, Libreria Fai da Te, Libramente, Ebook Gratis, EC Store, Feedbooks, L’Unità, Il Fatto Quotidiano).

Per il mese di Aprile il prezzo è di 2,99€ per Borderline e Orso.
AD8, legato un’operazione di raccolta fondi per i Bambini di Natal (Brasile) in collaborazione con l’Associazione “Il Mantello”, è in vendita al prezzo di 3,99€.







venerdì 28 marzo 2014

Intimità interrotte

 
 
Maurilio e la Burfa iniziarono a frequentarsi.
Ufficialmente come amici poiché impensabile era rendere ufficiale il loro rapporto per via del fanatico fratello della ragazza. Maurilio era incastrato tra la voglia di concretizzare e la paura di subire un pestaggio; e dentro stava male. Annalisa viveva invece più disinvoltamente quella storia. Pensava che il non essere troppo deciso nell’andare al sodo da parte del suo spasimante, rappresentasse il valore che Maurilio dava al rapporto, una solida base di rispetto ed amore con la prospettiva di trasformarsi in qualcosa di più.
Amore, appunto, l’unica cosa che lei sentiva per quel ragazzo anche se mai era riuscita a dirlo. Maurilio riuscì, dopo settimane di lavoro estenuante ai fianchi con l’accortezza di non essere mai troppo diretto, a creare l’episodio propizio.
Soli a casa di Annalisa. Seduti sul divano. I tempi dei timidi baci e delle caste carezze sembrava lontano anni luce. Maurilio si sentiva prontissimo a quell’evento che da sempre aspettava e per il quale si era dedicato per lunghe ore ad estenuanti e costanti allenamenti manuali. La Burfa inizialmente era un po’ rigida anche se il suo modo di baciare quel giorno era diverso. Un vorticoso intrecciarsi di lingue fu il prologo all’evento scatenante. Interminabile momento, pieno, ricco, trascinante. E poi, dopo essersi staccati per riprendere fiato la ragazza lo fissò dritto negli occhi sussurrandogli un “Ti amo…” di totale sincerità. Maurilio in un secondo dovette imbastire una risposta mentre nella sua mente ipotizzò gli scenari che si sarebbero prospettati. Il primo, dicendo la verità, lo avrebbe fatto ritrovare nel giro di pochi istanti fuori da quella casa con l’unica prospettiva di una nuova seduta masturbatoria solitaria. Il secondo, con una risposta interlocutoria avrebbe prodotto un medesimo risultato. Il terzo, mentendo spudoratamente, l’avrebbe fatto finalmente sco…
Ma poi dovette parlare.
Anch’io…” disse con voce ferma e sguardo penetrante.
Si scatenò in pochi istanti un delirio: la ragazza si alzò ed iniziò a spogliarsi delicatamente mentre Maurilio già nudo la osservava inverrato predisponendo il suo strumento alla copula.
Annalisa arrivò alle mutandine e si bloccò. Maurilio con il campanile più che pronto la scrutò interrogativo, lei confessò di trovarsi in uno di quei giorni. Maurilio l’afferrò urlandole “Ma io ti amo!” per poi strapparle l’intimo con un colpo deciso d'incisivi. La rivoltò sul sofà: impacciato tentò di dirigere la sua punta verso l’obiettivo ma, mentre cominciava a sentire l’essenza di quello che provava a fare, un rumore sospetto li bloccò. Qualcuno stava infilando la chiave nella toppa della porta d’ingresso. I due inesperti amanti gelarono. La Burfa con gesto felino si precipitò in bagno. Maurilio, ancora nudo, sentì dei passi che s’avvicinavano. Spinto da puro spirito di sopravvivenza si rivestì completamente in meno di sei secondi, scarpe stringate incluse, il Burfo comparve sulla porta del salone. Si guardarono senza fiatare: Maurilio balbettò qualcosa. Il Burfo gli s’avvicinò con l’aria poco convinta e quando fu giunto a pochi centimetri da lui allungò un mano ed afferrò qualcosa che sporgeva dal collo della camicia.
E questo che cos’è?
Maurilio osservò quell’oggetto tentando una disperata spiegazione.
Si trattava dell’assorbente intimo della Burfa che nella concitazione della vestizione gli si era andato evidentemente ad incastrare proprio lì. Il Burfo uscì senza fiatare della stanza per poi, dopo un attimo, ripresentarsi armato di mazza da baseball e scaraventarsi sullo stupratore della sorella. 
Maurilio decise che la relazione con Annalisa andava unilateralmente interrotta. Quella volta era stato fortunato, solo un braccio fratturato a mazzate, se fosse dovuto accadere nuovamente forse in palio ci sarebbe stata la sua stessa esistenza. In fondo il mondo era pieno di ragazze, e poi la masturbazione era sicuramente molto più sicura.
Così la lasciò per telefono.
Dopo quello scarno comunicato riattaccò sentendosi un miracolato mentre lei, dall’altro capo del filo, iniziò un disperato silenzioso pianto.

giovedì 27 marzo 2014

Il sogno che diviene realtà


 
 
         Maurilio conosceva il Burfo fin da bambino: quello era uno strano tipo che si divertiva facendo cose strane.
Oltre alla necessità giornaliera di menar le mani si dedicava con grande applicazione alla tortura dei piccoli animali che trovava in giro nei giardini delle case del quartiere dove viveva. Tutti lo odiavano, ma nessuno era mai riuscito ad affrontarlo in modo deciso senza poi prenderle; l’odio quindi per quel despota violento aumentava proporzionalmente a ciò che lui faceva.
Una sera Maurilio si trovò ad assistere ad uno di quegli eventi: era stato invitato con il fraterno amico Iames alla festicciola di compleanno della sorella del Burfo, Annalisa. Stavano nei pressi del bordo della piscina quando la loro attenzione venne attratta dalle risa sadiche del Burfo che catturava alcune rane per poi costringerle a dirigersi verso un posto da lui deciso dove, senza nessun tipo di pietà, le schiacciava sotto il basamento in pietra d’un ombrellone ridendo come un satanista eccitato. Lo schifo e lo sconforto aleggiavano nell’aria ma nessuno s’azzardava a dire soltanto una parola in favore delle piccole vittime. L’omertà permeava l’aria della festicciola. 
Anni dopo Maurilio incontrò il Burfo: non era molto cambiato anche se quell’aspetto da burbero picchiatore era stemperato da un’incipiente calvizie e da un fisico evidentemente logorato da troppi e continuati abusi alimentari. Maurilio lo notò passando in auto mentre questi s’apprestava ad attraversare sulle strisce pedonali: in un istante il ricordo delle angherie fatte da quell’essere si ripropose violentemente nella sua mente come si trattasse del retrogusto di peperone non digerito che risale l’esofago. Un flash, pensò di fargli provare la sensazione di quelle povere rane prima che la pietra gli cadesse addosso, così accelerò. Per alcuni attimi combatté fra l’odio e la ragione fino a che frenò di colpo, a meno di mezzo metro dal pedone. Il Burfo si voltò di scatto verso quell’avventato automobilista ed i suoi occhi, da quieto cuccioline domestico imbolsito, s’accesero con la spaventosa vecchia luce d’un tempo.
Lentamente s’avvicinò all’auto.
Maurilio riprovò i brividi di terrore che da bambino lo paralizzavano: era immobile con lo sguardo perso all’orizzonte. Il Burfo bussò al finestrino. Lo stato catatonico in cui il nostro versava invece di mitigarlo lo fece ulteriormente scaldare al punto che, non avendo ricevuto risposta, infilò le dita nel piccolo spazio tra finestrino e portiera abbassandolo a forza. Poi allungò le mani per afferrare il collo dello sventurato e trascinarlo fuori quando, all’improvviso, lo riconobbe.
Maurilio ebbe una scossa: si scostò e prima che questi terminasse d’istinto schiacciò il pulsante del finestrino alzandolo ed incastrando di fatto l’aggressore che iniziò, agitandosi, a bestemmiare. Ma non mollava la presa. Seguì un combattimento selvaggio: Maurilio balbettava ingiurie con la voce rotta dalla paura. Lo morsicò sul braccio una decina di volte ingoiando il sangue che sgorgava dalle lacerazioni per poi sputarlo per non soffocarne. Attimi da guerriglia urbana finché il Burfo, ferito come un cane da combattimento sconfitto, mollò di colpo.
Cogliendo l’attimo propizio Maurilio abbassò il finestrino spingendo fuori l’aggressore che rantolò al suolo. Ingranò la prima e sgommò dileguandosi velocemente. 
Intanto la festa proseguiva: tutta l’attenzione disgustata degli astanti era focalizzata sul disgustoso rituale che il Burfo stava compiendo. Maurilio si voltò verso il tavolo delle bibite quando il suo sguardo incrociò quello altrettanto disgustato della Burfa. Per un attimo i due si fissarono: bloccati uscirono da quell'impasse con un timido goffo reciproco sorriso.
Negli occhi di Maurilio s’accese una luce da lupo affamato: i suoi sogni più segreti stavano inaspettatamente prendendo forma.

mercoledì 26 marzo 2014

La stagione degli amori


 

 
          Maurilio visse a diciassette anni la sua prima vera cotta.
S’invaghì come mai prima di una coetanea, una certa Annalisa, e fin qui nulla di strano. Annalisa era la sorellina di Gian Mario Burfoselli detto il Burfo, uno dei componenti del gruppo che stazionava di fronte al bar Sport, centro nevralgico attorno al quale ruotava la vita sociale del quartiere.
Il vero problema si celava dietro la caratteristica principale del Burfo: la necessità quotidiana che questi aveva di usare le mani, e non solo, anche pugni, calci, bastonate o sprangate, contro il primo che l’avesse soltanto guardato in una maniera strana. Passava perciò le giornate alla ricerca di pretesti più o meno validi per poter dar libero sfogo alla sua principale peculiarità.
La storia della cotta perciò stentava a decollare unito al fatto che Maurilio era guidato più che un da nobile sentimento dalla mera necessaria esigenza d’accoppiarsi e la Burfa, così era più nota Annalisa, semplicemente era diventato l’oggetto centrale dei suoi desideri. Anche se qualche scambio di sguardi fra i due era corso la paura di quel fratello tanto violento aveva relegato Maurilio alle sue consuete sedute masturbatorie almeno ora con un soggetto reale a cui ispirarsi e forse, un giorno, potenzialmente raggiungibile.
Maurilio passava quelle giornate dense soltanto d’una rassegnata inutilità che lo portava ad essere sempre più triste ed annoiato. Quando scendeva la notte quel disagio s’ampliava. Non riusciva a prender sonno, si girava nel letto carico d’inquietudine, guardando la sveglia come se questa potesse dargli conforto. Tentava di convincersi che forse era meglio provare a dormire piuttosto che massacrarsi le intimità con l’unico effetto di presentarsi il mattino successivo con delle occhiaie da eroinomane. Ma non ce la faceva: il suo bisogno, unito all’immagine della Burfa, lo tormentava. Improvvisava mirabolanti pensieri erotici dove la sua prediletta lo sollazzava con acrobatiche porno-performance. Pensava alle sue labbra: quel dettaglio lo faceva impazzire. E se poi nella mente le collegava al suo sguardo l’eccitazione lo sovrastava tanto da farlo soccombere ad un nuovo intenso auto-orgasmo. Maurilio aveva questa fissa: gli bastava abbinare l’intensità furba di uno sguardo ad una bocca mediamente carnosa per decollare e la necessità di concretizzare diventava violenta.
Come gli capitò un anno prima alla visita medica di leva: invece di un medico maschio si trovò davanti un capitano donna. Bella, sguardo furbo ed intenso. Maurilio non osò proseguire verso le labbra. Ma sotto, il fratellino, di colpo si svegliò tentando d’emergere. La dottoressa lo auscultava e lui era in pieno imbastonamento. Cominciò a pensare cose che lo potessero aiutare: una vecchia che si toglie la dentiera, la sua prima vomitata causa alcool, il compagno di liceo che attaccava sotto al banco il prodotto delle sue narici.
Ma nessun risultato. Era solo un giovane preda dei richiami del corpo. 
Decise quella notte, dopo un’ultima poderosa palpazione, che l’indomani avrebbe fatto di tutto per unirsi carnalmente. Con la Burfa o no, l’avrebbe fatto, anche a costo di pagare.

martedì 25 marzo 2014

Sindróme da imbastonamento


 

 

Maurilio era ormai, come si usa dire, un uomo fatto e finito.
Ma lui aveva dentro ancora quell’ingenua freschezza tipica della fanciullezza tanto che a volte andava oltre le righe della decenza precipitando in veri e propri baratri rivestiti dal solo puro cattivo gusto.
Soprattutto quando beveva troppo.
I funambolismi verbali sui quali barcollava partivano spesso dal suo stato d’animo pre-puberale, amava raccontare di quel un poeta che albergava in lui, del un nobile messere dirottato nei tempi moderni dal medio evo. Un uomo galante che nella testa aveva priorità di tipo ricreativo, ludico, culturale, estetico, canonico manieristico, il tutto volto al riconoscimento di un merito da parte di…mamma. 
Gli astanti spesso a questo punto, non capendo cosa c’entrasse la mamma, iniziavano a deriderlo chi con insulti chi con l’indifferenza.
Poi d’improvviso riprendeva impetuoso l’edipico racconto. 
Arrivando in un balzo al periodo dell’imminente sviluppo corporeo dove l’interesse primario si spostava verso altri siti; e così, quasi inconsciamente, si ritrovava in una vera selva oscura dove l’orientamento e la decifrazione degli avvenimenti si presentavano duri e difficili. In fondo anche il più nobile e puro dei poeti faticava a confrontarsi ogni mattino con una condizione che l’assaliva senza vie di fuga capendo che le belle parole erano importanti, che le buone maniere lo erano altrettanto, ma che era altrettanto importante concretizzare quelle sensazioni in gesti o azioni immediate. E così il cinquecentesco poeta si trasformava in un inverrato animale da caccia.
Quelle mattine se le ricordava bene, come se le stesse vivendo ancora, iniziava ad irrigidirsi con gli occhi spiritati ed il tono della voce scendente al grave fino a livello “maniaco”. Il suo corpo trasformato in una massa ormai inquieta come preda di fortissimi richiami. Era la famigerata sindróme da imbastonamento che con straordinario talento riusciva, in un’interpretazione unica, a rendere veritiera anche per chi non lo stava ad ascoltare. Urlava al cielo che era vittima di una vorticosa erezione, con la mente proiettata verso una donna da possedere, declamava quell’istinto selvaggio che lo spingeva ad accoppiarsi. E poi s’accasciava esausto a terra: molte volte gli sventurati spettatori si spaventavano all’improvvisa caduta. In realtà era solo il prologo al drammatico finale, cioè, la dichiarazione pubblica della sua costante necessità di sesso. 
Mai una volta quell’esternazione aveva portato i frutti sperati tant’è che ancor oggi, quel suo monologo delirante, viene ricordato come la lode all’autoerotismo. 
N.B.
Sindróme: pronunciato da Maurilio con l’accento aperto sulla o. E’ un puro vezzo estetico legato alla rima dell’omonimo pezzo musicale da lui stesso composto.
Inverrato: Maurilio amava utilizzare quel termine perché gli ricordava un’esperienza vissuta da bambino quando un maiale maschio –verro– lo caricò scambiandolo per una femmina da coprire. Quei due occhi eccitati iniettati di sangue che lo rincorsero per tutta l’aia della fattoria degli zii. Un momento che s’incise indelebile nella sua memoria. Da lì quel neologismo.

lunedì 24 marzo 2014

Chi è veramente Maurilio Biasetti?


 
        A dire la verità Maurilio Biasetti, io, non l’ho mai incontrato.

        Sentii parlare di lui la prima volta il giorno in cui fui ingaggiato per recitare in uno spettacolo teatrale da lui prodotto, all’incirca, una decina d’anni fa.

       Tutto il resto, nel senso delle cose che so, lo devo ad una persona che in quell’occasione incontrai. Il suo factotum. Un certo Arturo Berganzi detto Ebola per via della sua capacità di inchiodarti con monologhi interminabili di genere vario in grado di trasformare un semplice racconto riassumibile in poche parole in un girone dantesco da svariate ore. Ebola s’impantanava in discorsi a spirale, con parentesi aperte e poi mai richiuse, finestre esplicative aperte e dimenticate spalancate, portando lo sventurato ascoltatore sull’orlo del suicidio isterico, insomma, una persona capace d’infestare come il virus di cui portava il nome. Però a me stava simpatico, faceva ridere per quello che raccontava, soprattutto per le facce che metteva a corollario esplicativo. Di lui conservo una cosa che riassume tutto il suo mondo: il diario dei ricordi, o meglio, il diario dei ricordi su Maurilio Biasetti che per anni aveva appuntato onde ricordarli e forse un giorno pubblicarli per farci, come gli piaceva dire, un milione di dollari. Quel diario era fin dall’aspetto esteriore originale, come lo era del resto Ebola, la copertina ricoperta di una carta da pacco su cui erano incollati ritagli di giornali con donne seminude, anzi semivestite, tipiche immagini da settimanale femminile o riviste di gossip o cataloghi d’intimo femminile per la vendita per corrispondenza. E sopra, sulla copertina, una scritta a pennarello rosso: M.B.

       Nella prima pagina raccontava quando Maurilio Biasetti decise d’investire nel teatro. Tirò fuori un sacco di soldi per produrre un monologo da lui scritto nelle pause pranzo. Pensò in grande, del resto Maurilio era uomo d’alto profilo, un imprenditore di successo nel ramo dei suini macellati. Un uomo che si sentiva carico di grandi rivoluzionarie intuizioni.

        Applicando al teatro il suo metodo di lavoro, quello del mattatoio, partendo dal presupposto che la differenza tra porci e attori non è poi tanta, trattandosi pur sempre di carne da macello, scrisse uno spettacolo consistente in una serie di situazioni, come lui diceva, innovative, impreviste, sorprendenti. Esaltate da una scenografia minimalista, anzi minima, disegnata dalla giapponese Midori Mazuko, ed in più una rutilante sequenza di battute, musiche, balletti, drammi, lacrime, risate. Ingaggiò otto attori, tre donne e cinque uomini, 96 comparse mute, un gruppo di mimi, un’orchestra di 125 elementi, due tigri del bengala, uno stormo di beccacce, un bracco da tartufo, sette nani, giocolieri e ballerine, e pure una anaconda gigante che però diede problemi per via dei permessi dei vigili del fuoco obbligatori e mai ottenuti. Ma la trovata più originale fu il nome dato allo spettacolo, M puntato, B puntato, SHOW non puntato, che non significava altro che: MAURILIO BIASETTI SHOW.

Quello fu il suo primo spettacolo.

E pure l’ultimo.

domenica 23 marzo 2014

Prolegomeni


 
 


 
Da domani ho deciso di pubblicare una serie di racconti (chiamati “Prolegomeni allo spettacolo teatrale M.B. show” dai quali è stato estratto poi un monologo realmente messo in scena nel 2001 e poi ripreso nel 2006 e 2007) che appartengono ad una fase importante del mio percorso di scrittura. Quella più libera e scanzonata, carica d’ottimismo guardando al futuro, densa d’ironia ricordando il passato. 

Una cosa che mi divertite e sorprende è quella di vedere come in anni successivi alla messa in scena pubblica, per motivi e modalità a me sconosciute, molte delle parti contenute si posso ritrovare citate o integralmente utilizzate in altre “situazioni artistiche” (e mi riferisco a cinema, teatro, addirittura racconti diventati delle vere e proprie leggende metropolitane) senza che nessuna richiesta o permesso mi sia stato chiesto o io abbia mai concesso. Per questo motivo li ho tenuti nel mio computer a lungo per la paura d’essere, paradossalmente, accusato di plagio. Timore che però oggi è svanito: chi, per puro divertimento, volesse provare ad individuarle potrà poi verificare l’uso di altri e valutare se quelle operazioni siano state buone o meno. Per quanto mi riguarda trovo divertente essere citato in qualsiasi forma e perciò invito, chi in futuro volesse ri-farlo, di comunicarmelo anche in forma anonima. 

E chi non sentirà questa esigenza, va bene lo stesso, oramai sono abituato.
Io, nel frattempo, continuo a sorridere pensando a quei momenti che m’hanno ispirato.

sabato 22 marzo 2014

Il post più letto della settimana: Attimo


 
 
Ogni attimo che passiamo insieme
sembra migliore di qualunque altro già vissuto
l’attesa di quei momenti logora l’anima scatenando i dubbi.
La costante sofferenza amplifica le sensazioni
fa vincere i dubbi che regnano fino al momento in cui tu sarai ferma
splendida davanti ai miei occhi.
E’ benefica l’ansia di quell’attesa
l’unica cosa capace
di trasformare ogni paura in voglia d’aspettare.

venerdì 21 marzo 2014

Solitudine d'amore



 
L’amore, per chi lo vive come antidoto alla solitudine, è amore del sentimento d’amore.
Amore per la propria idea d’amore.
Amore per il proprio desiderio d’amore.
Vivere usando un’altra persona per provare a renderlo reale è solo finzione, una messa in scena di basso livello, che alla fine produce solo delusione.
Amare significa essere pronti a morire per una persona.
Amare significa simbiosi assoluta, essere interscambiabili, diventare irrinunciabili.
Chi vive l’amore in modo diverso ne da solo un’interpretazione.
E s’avvia, anche se mai l’ammetterà, versa la più letale solitudine.

giovedì 20 marzo 2014

Bacio





 
Mi piace baciarti
sentire il tuo sapore
tenerlo in me
il più a lungo possibile
per poter continuare a pensarti
quando te ne sarai andata
il piacere che resta vivo
e nulla lo può cancellare.
Sfiori le mie labbra
leggera come una piuma
t’insinui in ogni piega
anche nella più intima e nascosta
sento l’affanno del tuo respiro
seguire il ritmo del nostro piacere
ho sempre voglia di te
del tuo sguardo della tua attenzione.

mercoledì 19 marzo 2014

Tempo


 



 

Ci sono giorni in cui il tempo

fugge veloce senza bastare

in altri invece lento scorre.

Sono i giorni in cui ti vedo e quelli dove ti posso solo sognare.

martedì 18 marzo 2014

Muoversi


 

All'improvviso mi sono fermato
ed ho smesso di parlare
perché ho sentito i tuoi occhi su di me
la linea del tuo sguardo che cercava la mia
ho perso di colpo la direzione da seguire
l’ansia che regna il mio cuore s'è dissolta
beneficio d’un miracoloso incantesimo
e tutto m’è parso diverso
il mondo finalmente a colori
la voglia di seguire il tuo profumo
o pensare di sfiorarti con un dito
mi confonde la mente
cancellando ogni altra cosa che nasce
mi sono fermato così, all'improvviso
ma forse da quell'istante
ho cominciato finalmente a muovermi.

lunedì 17 marzo 2014

Attimo



 



Ogni attimo che passiamo insieme

sembra migliore di qualunque altro già vissuto

l’attesa di quei momenti logora l’anima scatenando i dubbi.

La costante sofferenza amplifica le sensazioni

fa vincere i dubbi che regnano fino al momento in cui tu sarai ferma

splendida davanti ai miei occhi.

E’ benefica l’ansia di quell’attesa

l'unica cosa capace
 
di trasformare ogni paura in voglia d’aspettare.

domenica 16 marzo 2014

Il post più letto del mese: adottare


 

 

Essere genitori adottivi è un’esperienza assoluta destinata a pochi.
Un bambino adottato è come un tossico senza colpe o volontà d’essersi trovato in quel tunnel e dal quale ha poche possibilità d’uscire. E’ come “in quelli che si sono fatti d’acido” dove all’improvviso, soprattutto in momenti apparentemente tranquilli e senza un perché che la mente possa comprendere, il diavolo che silente in loro alberga spinge violentemente per uscire al di fuori ed esprimersi.
E ci riesce.
Essere genitori adottivi significa rendersi conto di questo ed essere pronti ad affrontarlo nel miglior modo possibile. Con la più grande capacità d’improvvisazione possibile. Tutto qui.
Fondamentalmente serve trovare la forza per resistere a quel diavolo tentando di domarlo, imparando a conoscerlo, sopportarlo nell’inevitabile stretta convivenza. E nel frattempo godersi tutta la parte bella che ogni bambino adottato esprime ancor più d’ogni altro essere vivente, in una forma e con la sostanza che riempiono all’infinito il cuore, rigenerandoti ogni volta nella forza e nella determinazione in attesa della lotta successiva.
E’ questo, un lieve equilibrio, il filo sottile dal quale è facile precipitare: il baratro più profondo da un lato, le vette assolute dall’altro. 

Solo chi sa vivere come un funambolo può essere in grado di sopportarlo.

sabato 15 marzo 2014

Il post più letto della settimana: Merito


 

 

    E’ sempre più frequente ascoltare discussioni che ruotano attorno al concetto di merito. Che la nostra società sarebbe diversa se tutto si basasse su quello, quanti privilegiati, quanti apparentati, quanti incompetenti in posizioni alte se ne starebbero a casa. E senza fare ulteriori danni. Perché il merito è un diritto degli uomini che acquisiscono attraverso al valore delle azioni –opere- che compiono. 

   Proprio ieri al bar, due persone, mentre aspettavo il mio caffè così si esprimevano. In maniera forte come a voler urlare un disagio subito. E per un attimo sembravano pure rinfrancati da quel loro sfogo.
    Quindi molti, come quei due signori del bar, pensano alla sua sublimazione del valore del merito (cioè, una società meritoria o meglio meritocratica) come cura dei nostri mali. Un regime sociale fondato sull’insieme di talento ed impegno, perciò, la forma più alta perché pura ed incontaminata a cui ambire.
    Ma siamo così certi che sarebbe meglio, anzi, che in realtà già non siamo in società del genere –o quasi- senza nemmeno saperlo?
   Oggi viviamo in una società dove le regole che la definiscono partono dai principi di uguaglianza e giustizia (Le legge è uguale per tutti) e su questo tutti sono d’accordo: ma nel momento in cui siamo pure certi che il valore del merito debba aver maggior peso già stiamo esprimendo l’esatto contrario. Ovvero. Chi è efficiente e funzionale alla società (per via del suo merito) è migliore di chi non lo possiede che quindi è un peso. Con questo pensiero già smentiamo il principio iniziale di cui eravamo così convinti (tutti siamo uguali).
    Il problema sta nel fatto che regna una confusione totale fra il concetto di società efficiente e quello di società giusta; siamo incastrati in una contraddizione dettata invece dalla vera società di oggi, la società di mercato che con le sue leggi non può, per sua stessa natura, essere efficiente ed allo stesso tempo giusta. Perché se si apprezza lo sforzo anche dei meno meritevoli poi si deve guardare al risultato, e pure, le vicende che producono giustizia non collimano mai con un prodotto da vendere.
    Il vero problema, che i più non vedono, è quello di confondere nell’ideologia del merito l’efficienza della società e la giustizia resa agli individui. Se poi, a tutto questo, andiamo ad aggiungere altri fattori che ben conosciamo (eredità, nepotismo, appartenenze, corruzione) il risultato è quello che caratterizza la società attuale: un ambito in cui si predica il merito e la giustizia favorendo semplicemente il mercato attuato da dinastie elitarie.
    Nei fatti, un coacervo di intrinseche contraddizioni, incomprensibile alla massa.
    Forse, parlando di merito, basterebbe intenderlo semplicemente come pura responsabilità personale di chi lo possiede: un impegno che deve scrupolosamente rispettare nei confronti degli altri per senso di uguaglianza e appartenenza. Se la società fosse così, tendente ad evolversi, dovrebbe mirare ad innalzare il livello medio proprio grazie a questi esempi d’eccellenza responsabile, rendendosi in quel modo luogo dove tutte le persone non vengano più trattate ugualmente ma, semplicemente, trattate tutte come uguali.
 
    Arrivò il mio caffè, lo buttai giù in un sorso, e me ne andai silenzioso con le mie riflessioni ad intasarmi la testa.

venerdì 14 marzo 2014

Violenza

 


 
         “Ci sono momenti dove vorrei stringere fra le mani un fucile e sparare senza mirare solo per un attimo di sollievo. Avere un bersaglio talmente facile da colpire per cancellare anche il più piccolo dubbio che la mente possa avere, rassicurandomi solo sfiorando il grilletto, e sentire la rabbia placarsi grazie ad un gesto semplice.
Ci sono momenti dove vorrei tirare un pugno, un colpo violento dritto nella bocca di qualcuno per sentirne l’odore del sangue, vibrare come un animale che reclama l’istinto della sua natura.
         Ci sono momenti dove cerco una scossa, necessaria, per combattere la mia più pericolosa attitudine. Non saper più controllare i fantasmi che il sonno mi fa gestire ma che appena mi desto tornano a dominarmi.
Ci sono momenti dove essere aggressivo mi fa essere vivo. Solo fermarmi e respirare, un attimo, mi fa bloccare tutto quello che potrebbe diventare irreversibile.
         In quei momenti devo resistere, placare la mia parte che non prende mai luce, arrestare l’istinto che fa essere animale.
         Lo faccio e lo dovrò fare.
         Per sempre. 
         La platea applaudì ed io mi sentii felice per quell’istante.
         Ma soltanto per quello”. 
         Il vociare dei miei figli mi fece destare.
        Era un incubo, il sapore amaro m’accompagnò anche dopo aver buttato giù il primo caffè, pur sveglio non riuscivo a staccarmi da quei pensieri. Fu un giorno difficile perché sentii di dover controllare ogni minima reazione. Ero certo che quel demone sognato si potesse svegliare all’improvviso. 
         Poi arrivò la notte e andai dormire.
         Riuscii a fidarmi del sonno affidandogli il mio tormento.
         Ma il mattino successivo tutto ricominciò.
 

 

giovedì 13 marzo 2014

Il mondo di oggi

 

 
 
     Osservo le persone, da sempre.
     Quando sento che ne vale la pena, m’interesso.
     E lo faccio con chi conosco, con gli sconosciuti, con i personaggi noti o quelli che incontro per strada.
     Indistintamente.
     Senza pregiudizio.
 
     So di apparire un presuntuoso narcisista ma penso alla vita che si vive oggi come ad un beffardo scherzo giocato nei confronti degli uomini che ne sono protagonisti. Come in una commedia dal sapore tragicomico. E tutte quelle esistenze mi appaiono come parti recitate da attori inconsapevoli.
     Le vite di molti mi sembrano prive si senso. Concentrate sull’inutile, dedicate al superfluo, apertamente facete per rendersi accettabili nel e dal quadro sociale. Forse è proprio così. Dentro, nella loro più profonda intimità, sono certo siano invece cariche di contrasti e delusioni, di pesi e fardelli che non si riescono più a sopportare. Eppure vanno avanti, inspiegabilmente, continuando a recitare una messa in scena che non hanno scritto e nemmeno letto ma che sanno solo interpretare pur non sapendo recitare. Come ignari burattini. Taluni in modo così perfetto da sembrare veri in ciò che fanno, nella realtà, protagonisti d’un copione che quotidianamente devono solamente replicare. E senza saperne il perché, eppure, questo basta loro per credere di poter sopravvivere.
    Vite inutili che proseguono delineando una vita d’inutilità.
    E li osservo poi di fronte alla morte, con tutto l’orrore che provoca, forse per il mistero legato al momento del trapasso o forse per una convinzione legata alla fine che s’è imparata ad accettare come assoluta ed irreversibile. Ma quando noi saremo defunti ci saranno solo giorni d’inutili ricordi e belle parole usate all’occorrenza. Daranno il cordoglio alle disperate persone a cui eravamo più vicini, dando testimonianza dovuta con il loro sentir dolore, ma questa è solo paura nei confronti dell’evento che tanto turba e non verso chi è mancato. Un’evocazione funebre destabilizzante.
    Quindi.
    Non si ha l’onestà o forse l’audacia di riconoscere la vita di ogni singolo uomo nella società moderna come insignificante nel contesto globale. Perché è troppo difficile ammettere che ogni individuo deve e sta recitando un ruolo, che ogni vita è solo una serie di repliche, dove la routine tormentata delle giornate, gli imprevisti e le scocciature prodotte dal caso, rendono gli uomini personaggi da commedia. All’interno della quale i desideri e le aspirazioni represse, con tutto il loro carico negativo, riescono a produrre infine la tragedia.
    Noi siamo questo. Perché il mondo ci ha fatto credere di dover essere questo. E non importa chi siamo, conosciuti o sconosciuti, quale ruolo abbiamo e quali responsabilità dobbiamo osservare.
   Siamo degli ingranaggi caricati a molla che girano costantemente fino a quando si rompono e vengono semplicemente sostituiti. 
   Proviamo a fermarci: usciamo dallo schema, non è certo la natura che ha imposto ciò che così rigidamente rispettiamo, e pensiamo per un istante di poter pensare. E quando riusciremo ad immaginare di poterlo fare tutto apparirà magicamente per quello che è: la vita come la più grande ed unica possibilità che abbiamo per esprimere noi stessi, le nostre volontà, la nostra vera essenza. Non abbandoniamo mai la meraviglia che avevamo da bambini, ricordiamoci di mirare alla nostra etica, riconosciamo la responsabilità del nostro merito, facciamoci regolare del senso del ridicolo. 
   Forse inizieremo a vivere la nostra vera vita.