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giovedì 27 marzo 2014

Il sogno che diviene realtà


 
 
         Maurilio conosceva il Burfo fin da bambino: quello era uno strano tipo che si divertiva facendo cose strane.
Oltre alla necessità giornaliera di menar le mani si dedicava con grande applicazione alla tortura dei piccoli animali che trovava in giro nei giardini delle case del quartiere dove viveva. Tutti lo odiavano, ma nessuno era mai riuscito ad affrontarlo in modo deciso senza poi prenderle; l’odio quindi per quel despota violento aumentava proporzionalmente a ciò che lui faceva.
Una sera Maurilio si trovò ad assistere ad uno di quegli eventi: era stato invitato con il fraterno amico Iames alla festicciola di compleanno della sorella del Burfo, Annalisa. Stavano nei pressi del bordo della piscina quando la loro attenzione venne attratta dalle risa sadiche del Burfo che catturava alcune rane per poi costringerle a dirigersi verso un posto da lui deciso dove, senza nessun tipo di pietà, le schiacciava sotto il basamento in pietra d’un ombrellone ridendo come un satanista eccitato. Lo schifo e lo sconforto aleggiavano nell’aria ma nessuno s’azzardava a dire soltanto una parola in favore delle piccole vittime. L’omertà permeava l’aria della festicciola. 
Anni dopo Maurilio incontrò il Burfo: non era molto cambiato anche se quell’aspetto da burbero picchiatore era stemperato da un’incipiente calvizie e da un fisico evidentemente logorato da troppi e continuati abusi alimentari. Maurilio lo notò passando in auto mentre questi s’apprestava ad attraversare sulle strisce pedonali: in un istante il ricordo delle angherie fatte da quell’essere si ripropose violentemente nella sua mente come si trattasse del retrogusto di peperone non digerito che risale l’esofago. Un flash, pensò di fargli provare la sensazione di quelle povere rane prima che la pietra gli cadesse addosso, così accelerò. Per alcuni attimi combatté fra l’odio e la ragione fino a che frenò di colpo, a meno di mezzo metro dal pedone. Il Burfo si voltò di scatto verso quell’avventato automobilista ed i suoi occhi, da quieto cuccioline domestico imbolsito, s’accesero con la spaventosa vecchia luce d’un tempo.
Lentamente s’avvicinò all’auto.
Maurilio riprovò i brividi di terrore che da bambino lo paralizzavano: era immobile con lo sguardo perso all’orizzonte. Il Burfo bussò al finestrino. Lo stato catatonico in cui il nostro versava invece di mitigarlo lo fece ulteriormente scaldare al punto che, non avendo ricevuto risposta, infilò le dita nel piccolo spazio tra finestrino e portiera abbassandolo a forza. Poi allungò le mani per afferrare il collo dello sventurato e trascinarlo fuori quando, all’improvviso, lo riconobbe.
Maurilio ebbe una scossa: si scostò e prima che questi terminasse d’istinto schiacciò il pulsante del finestrino alzandolo ed incastrando di fatto l’aggressore che iniziò, agitandosi, a bestemmiare. Ma non mollava la presa. Seguì un combattimento selvaggio: Maurilio balbettava ingiurie con la voce rotta dalla paura. Lo morsicò sul braccio una decina di volte ingoiando il sangue che sgorgava dalle lacerazioni per poi sputarlo per non soffocarne. Attimi da guerriglia urbana finché il Burfo, ferito come un cane da combattimento sconfitto, mollò di colpo.
Cogliendo l’attimo propizio Maurilio abbassò il finestrino spingendo fuori l’aggressore che rantolò al suolo. Ingranò la prima e sgommò dileguandosi velocemente. 
Intanto la festa proseguiva: tutta l’attenzione disgustata degli astanti era focalizzata sul disgustoso rituale che il Burfo stava compiendo. Maurilio si voltò verso il tavolo delle bibite quando il suo sguardo incrociò quello altrettanto disgustato della Burfa. Per un attimo i due si fissarono: bloccati uscirono da quell'impasse con un timido goffo reciproco sorriso.
Negli occhi di Maurilio s’accese una luce da lupo affamato: i suoi sogni più segreti stavano inaspettatamente prendendo forma.

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