Translate

mercoledì 3 febbraio 2016

post 189: noia (estratto cap.11 - inedito)





         Claudia tornò dal nuovo centro commerciale con quindici buste piene.
La guardai senza dire nulla mentre lei, felice come una bimba la notte di Natale, tirava fuori tutti i suoi acquisti rimirandoseli orgogliosa.
         Non s’accorse nemmeno che la stavo osservando: me ne tornai a letto.
         Non ho mai sopportato quelli che trattano le cose come persone. Che sprecano i loro sentimenti per qualcosa che non è vivo e trattano gli oggetti con un rispetto che spesso non portano, invece, ad altri umani. E continuano a volerne: sempre di più, come in una necessaria escalation compulsiva d’accumulo. Mia madre era così, anche i miei fratelli lo erano, e pure Claudia aveva quell’attitudine. Come se avere cose potesse servire a trarre soddisfazione, far rivivere le proprie passioni, dimenticando che si sta avendo a che fare con oggetti spesso superflui o marginali.
         Mentre stavo a letto e sentivo il frusciare della carta strappata delle confezioni pensavo a dove sarebbero finite quelle nuove inutilità. E si, perché il problema dell’accumulo sta anche nel dove porre le cose una volta comperate, che per lo più restano immacolate perché inutilizzate. E solo per un brivido, quello di possedere, che svanisce poi con il possesso stesso, si da vita ad un circolo vizioso che si alimenta solo con un nuovo possesso, come fosse l’espressione di un vero bisogno, tentando di evitare la caduta entro una condizione dolorosa che fermandosi farebbe capire che si tratta solamente di un mero artificio per evitare la convivenza con la noia.
         Ecco, altri annoiati come me, ma diversi nel modo d’esserlo.
Il mio box auto progettato per un’auto come ogni box auto del mondo, visto che auto non ne possedevamo, fu trasformato in ricettacolo di tutte le possibili inutilità accumulate negli anni da mia moglie. Tentai di smettere di pensarci, era una cosa che volevo assolutamente tener distante, ma fu inevitabile concludere a come mi sentivo ancor più lontano da lei e dalle sue abitudini. Così profondamente diversi, non capivo come non me ne fossi mai accorto, totalmente opposti. E il mio accettare passivamente standomene zitto non aveva fatto altro che acuire quella distanza. Non lo potevo più accettare, avrei trovato il modo di dirglielo, prima di cadere nell’odio più totale verso di lei. Seppur fosse mia moglie un tempo amata o forse no, seppur madre delle miei figlie –amate, ma a modo mio, che so essere anche non condivisibile-, seppur compagna di lunga parte della mia vita. Fui certo in quel momento che niente era più così o non lo era mai stato. Ma faceva poca differenza. Le avrei parlato, schiettamente, assumendomi i rischi della sua reazione. Che sapevo non sarebbe stata blanda. Ma giunto a quel punto era sbagliato continuare in ciò che evidentemente era stato un errore con il rischio di trasformarlo in orrore distruggendo tutto il possibile tempo futuro.
         Le avrei detto tutto.

Nessun commento:

Posta un commento