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lunedì 5 maggio 2014

Again: a proposito di conoscenza (29 novembre 2013)


 

 
   A proposito di conoscenza. 

   Perché si studia la storia?
   Anzi, perché si dovrebbe studiare la storia?
   Ricordo questa domanda postaci dal professore di storia un giorno a lezione, in seconda media, varie le risposte. 

   Per imparare dagli sbagli commessi nel passato […] per capire chi siamo e da dove veniamo […] per conoscere la cronologia degli eventi che hanno più influito sull’umanità […] 

   A quell’epoca pensai che un buon motivo per il quale eravamo obbligati a farlo fosse la necessità di essere promossi a fine dell’anno scolastico.
   Ma, giuro, me ne restai zitto con quella mia convinzione.
   Ero giovane, sicuramente ingenuo, ma pure non inquinato da tante cose che poi sono stato costretto a vedere e vivere. Quello mi pareva un buon motivo, oggi ho capito che c’era pure dell’altro, anche se ascoltai ciò che disse il professore. 

   La storia insegna, attraverso l’osservazione dei fatti e delle esperienze passate, ad avere un’opinione. 

   Così rispose, tutti lo guardammo senza capire molto, in fin dei conti ragazzini di undici anni non hanno molte opinioni se non quelle copiate dagli adulti in genere. Dai genitori in particolare. 

   Personalmente ho sempre trovato il passato più interessante del futuro. Solo per il fatto che parlandone si fa riferimento a qualcosa di vero, d’accaduto, contrariamente a ciò che si può considerare al massimo un’ipotesi. La storia del passato è il racconto della vita delle persone. Persone vere protagoniste di storie vere. Un crocevia necessario per avere la certezza d’un punto iniziale da cui partire verso un futuro che possa contenere le nostre convinzioni, forse, i nostri sogni.
   Ben inteso: mi riferisco alle vere storie, quelle di cui siamo certi, non alle ricostruzioni di parte. 

   Mi sono perciò sempre posto tante domande studiando la storia dell’umanità ma tre sono i fatti su cui ho passato del tempo a riflettere. 

   Il primo fatto.
   I morti causati delle guerre.
   Una contabilità raccapricciante riportata nei libri - a scuola - in modo asettico, come puro fatto inevitabile, sottolineando invece come essenziali date, cause ed effetti dei conflitti. E questo bastava per evitarci un dubbio o perdere tempo a riflettere.
   Forse un modo che fin da subito c’ha istruito a non pensare.
   Prendiamo a caso quattro vicende storiche ben note.
   Guerra dei trent’anni: una serie di eventi bellici avvenuti in Europa nella prima metà del 1600. Circa 4.000.000 i morti.
   Rivoluzione francese e guerre napoleoniche: dalla fine del 1700 al 1815 circa. 5.000.000 di morti.
   Grande guerra: dal 1914 al 1918. 26.000.000 di morti.
   Seconda guerra mondiale: dal 1939 al 1945. Quasi 54.000.000 di morti. 

   Il secondo fatto.
   Il sistema feudale.
   Nella prima metà del 1300 l’uomo (almeno nel continente europeo) si diede un ordine preciso quanto definitivo di società.
  C’era chi comandava e stava in alto nella scala sociale – un governante, quasi sempre un re o un nobile di alto rango, ma anche un’alta carica religiosa – poi sotto categorie a discendere d’importanza - vassalli, valvassori, valvassini – poi c’erano i contadini liberi ed infine, sotto a tutti, i servi della gleba.
   Fu questo il primo grande sistema di gestione sociale, passato attraverso – e frutto di - tante esperienze precedenti che tutt’oggi, con forme e modalità apparentemente differenti, resiste. 

   Il terzo fatto.
  Il 6 agosto 1945, con la bomba atomica esplosa su Hiroshima, gli equilibri dell’umanità cambiarono definitivamente. Ma non rispetto all’ordine sociale – in senso assoluto - ma solo rispetto al modo di farlo valere ed accettare. 

   La storia è importante.
   Importante è pure non farsi ingannare da essa.
   Nel senso che si possono conoscere date, nomi, situazioni…ma non bisogna mai dimenticare i morti, i tanti morti serviti a creare un ordine necessario a controllare chi è restato in vita, e pure i modi o le tecniche utilizzate per farlo. Tutte le scelte hanno una conseguenza, pure un prezzo da pagare, ma anche un limite insuperabile da rispettare pena l’annientamento globale. Sono i parametri da controllare in una guerra: quindi, non conta quanto morti servono, bastano quelli necessari allo scopo. L’ordine sociale è garantito dalle gerarchie: chi sta sopra (pochi) comanda chi sta sotto (tanti). Non conta quali mezzi vengono usati per le guerre e la gestione dell’ordine sociale, basta soltanto siano efficaci e possibilmente gestibili, onde evitare una ritorsione degli stessi contro a chi li usa.
   Importante è perciò comprendere la storia nella sua vera essenza e non solo per come ci viene raccontata per poterne percepire, si spera, il significato. 

   Faccio un esempio, che so possa sembrare paradossale, ma credo possa farmi meglio comprendere. Molti conoscono il Mein Kampf di Adolf Hitler. E’ il proclama politico della follia di un uomo, diventata collettiva con il nazismo, censurato dopo la chiusura tragica di quel periodo storico.
   La maggior parte delle persone, pur non conoscendo quel testo perché mai l'ha letto, tende ad indignarsi appena sentito nominare.
   Eppure milioni sono le copie vendute, perché quindi? Quel’è il senso profondo che quel libro possiede?
   Giustificare pensieri e azioni di qualcuno convincendosi della necessità d’una assoluzione sui fatti per arrivare in sostanza a darsi un perché rispetto a qualcosa che razionalmente un perché non ce l’ha. E’ questa l’istintivo pensiero, quasi globalmente accettato, che può dare all’uomo medio un senso di spiegazione dell’argomento.
   Se si scava più in profondità invece c’è altro: quel libro è la misura esatta di ciò che ha sempre subdolamente guidato ogni atto umano, ovvero, la necessità del potere. E nello specifico la forza – soprattutto economica - che si possiede mascherandosi dietro ad una facciata mediante un documento storico che nessuno dovrà mai dimenticare.
   Per chi l’ha scritto e forse subito evidente, per chi lo detiene oggi un po’ meno.
  Forse non tutti sanno che il Mein Kampf di Adolf Hitler è attualmente in commercio nella gran parte del mondo, negli Stati Uniti il libro si può acquistare liberamente nelle librerie e via internet. Il governo americano s’impossessò infatti dei diritti d’autore già nel 1941 in seguito all’entrata degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale come parte del With the Enemy Act e che nel 1979 la Houghton Mifflin acquistò i diritti dal governo stesso. Ed ogni anno ne sono vendute più di 15.000 copie. Barenes & Noble lo vende a 13$ e rotti...
   Che significa questo?
   Business is business.
   A prescindere da tutto e da tutti. Sopra tutto e tutti.
   L’ottenimento del potere – per esempio attraverso la gestione e vendita d’un libro - rappresenta una necessità insita nella natura umano. Ieri e l’altro ieri con guerre devastanti, oggi con guerre che hanno occupato territori diversi.
   Tanto per essere chiari.
   Non ci fu solo questo durante il periodo della dittatura nazista. In tanti altri hanno fatto business approfittando cinicamente di quell’opportunità. Per esempio: le filiali tedesche della KODAK durante la Seconda Guerra Mondiale utilizzavano schiavi provenienti dai campi di concentramento. Il famoso HUGO BOSS nel 1930 disegnò e produsse le uniformi naziste (Gioventù hitleriana, Sturmtruppen, SS). La VOLKSWAGEN, Ferdinand Porsche il suo ideatore, fu l’uomo scelto da Hitler per progettare e costruire la “vettura del popolo” – il maggiolino -. La BAYER. Azienda farmaceutica nata nel dopoguerra era una costola dell’originaria IG Farben, società diventata economicamente potente durante il nazismo perché produttrice del Zyklon B, il gas usato nei campi di sterminio…oggi invece ricordata come la più importante venditrice dell’aspirina. E ancora: la SIMENS che utilizzò enormi quantità di schiavi in generale durante quel periodo, in particolare, con essi ci costruì le camere a gas nei campi di sterminio. La COCA-COLA che giocò opportunisticamente sui due fronti: sostenendo le truppe alleate – americane in primis - ma continuando a produrre e vendere soda alla Germania nazista. E quando nel 1941, in Germania le materie prime – sciroppo necessario per fare la Coca-Cola – scarseggiavano s’inventò una nuova bevanda specifica per loro chiamata Fanta. Questa bibita è stato la bevanda ufficiale della Germania nazista. HENRY FORD fu forse il più celebre industriale antisemita sostenitore di Hitler. E questo basta…
   La STANDARD OIL (oggi divenuta ExxonMobil, Chevron e BP) fu la principale fornitrice di combustibili per la Luftwaffe. CHASE BANK, famoso istituto di credito americano, si schierò apertamente dalla parte dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale congelando, per esempio, i conti europea dei suoi clienti ebrei. Infine la IBM che costruì macchine per i nazisti… 

    Questi fatti come questi sono parte della storia da conoscere?
    Si, certamente.
    Fatti come questi sono in grado di formare un’opinione in quanto storia?
    Si, a patto che li si consideri non solo per quello che raccontano o che c’è stato raccontato ma per quello che rappresentano. E, come in questo caso, l’essere un puro strumento di rivendicazione del potere e contestualmente una giustificazione dei modi usati ad esprimerlo.

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