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giovedì 1 maggio 2014

La chiusura del cerchio


 
Deluso dall’epilogo della relazione con Silvia, Maurilio si fermò a riflettere. Forse, per la prima volta, si guardò allo specchio e con implacabile onestà riuscì a farsi uno scrupoloso esame di coscienza. Capì molte cose e decise di correre ai ripari. Quegli anni sfrenati l’avevano cambiato. In fondo essere pluri-over-mega milionario a lui non interessava troppo. Tutto quel tutto era per lui superfluo. Si rese conto di aver perso di vista i veri valori della vita. Decise di cambiare, un’altra volta, quella sarebbe stata definitiva.

Interruppe la campagna elettorale, vendette tutte le aziende, le televisioni, le sue partecipazioni nel cinema. Costruì con il novanta per cento dei ricavati alcune strutture per bambini disabili. Restò sei mesi in una clinica specializzata a disintossicarsi. Quando uscì era un uomo nuovo, pulito dentro e fuori, con cicatrici profondo in via di guarigione, con la voglia sincera di ripartire. Finalmente volta verso una direzione voluta.

          Telefonò ai suoi vecchi amici, Iames, Alfredino, Venanzio. Partirono con delle vespe prese a noleggio verso est, un viaggio per aprire una nuova stagione della vita. E quel muoversi, senza una meta stabilita ma con la sola voglia di godersi quello che poteva proporsi, si trasformò in ciò che nemmeno nei suoi sogni migliori avrebbe osato pensare.

           Una mattina di giugno partirono. Si fermarono ad un bar per fare colazione: e subito il destino ci mise lo zampino. Mentre i quattro decidevano le strategie della giornata, dietro di loro, un vespista trentaseienne di nome Rodrigo Baiolazzi origliava impunemente. L’intruso, appena accortosi d’essere stato notato, irruppe con un sorriso di circostanza dicendo “…anche io vado ed est e guido una vespa…” auto imponendosi, di fatto, alla comitiva. I quattro, non volendo sembrare razzisti o chissà che altro, lo accettarono. Qualche sospetto di una scelta forse un poco troppo magnanima il gruppo cominciò ad averlo alla ripartenza quando Rodrigo si presentò in ritardo. Non un ritardo clamoroso, pochi minuti, si era attardato a leggere la pagina sportiva mentre stava alla toilette, ma sufficienti per farlo guardare con crescente sospetto. Vedendoli schierati in attesa calzò velocemente il suo vecchio casco in pelle e, dopo essersi infilato dei ray-ban specchiati a goccia, si bloccò. Scrutò le vespe dei quattro notando che nessuno aveva caricato un sacco a pelo. Poi guardò la sua. Lui l’aveva. Li guardò e senza attendere risposta partì gridando d’aspettarlo. Perplessità incrociò negli sguardi dei compagni di viaggio. Dopo oltre mezz’ora si tornò con il sacco a pelo ancora caricato affermando d’averci ripensato. Primi attimi di sconforto nel gruppo poi, finalmente, partirono. Direzione Est. Dopo ore di viaggio il gruppo, superato abbondantemente il confine, decise per una sosta pranzo.

Trovarono una trattoria a ridosso del mare in un piccolo paesino di pescatori. Uno splendido golfo rovinato all’orizzonte dalla ciminiera di una centrale nucleare che rendeva quell’incantevole quadro un’opera post-futurista, uno scempio che gettò un’ombra cupa sulla voglia di poesia. Ma la fame ebbe il sopravvento. Scampi e vino bianco a volontà restituirono il sorriso alla truppa. Durante il pranzo Rodrigo iniziò un interminabile monologo sulle donne, cioè, il suo personale punto di vista sul genere. Raccontò la sua tristissima storia, lasciato dalla fidanzata per il suo miglior amico, tutta l’amarezza che provava. Il suo umore era simile all’effetto della centrale nucleare che rovinava la vista. Il gelo calò implacabile fin quando, dopo i caffè e gli amari, Rodrigo propose una meta per la notte. Posto in cui aveva delle conoscenze anzi qualcosa in più, insomma per la notte, nessun problema. I quattro si guardarono sorpresi ed anche un po’ sollevati. Forse non era stata una brutta idea portarselo con loro. Pensarono prima di ripartire.

Rasserenati da un magnifico tramonto giunsero, oramai a notte fonda, alla meta prospettata. Rodrigo entrò in bar, cercò un telefono, e compose un numero con aria sicura. I quattro, stravolti dalla fatica, lo aspettarono fuori osservando la scena dalla vetrina. La telefonata durò solo qualche secondo, Rodrigo uscì e con imbarazzante naturalezza comunicò che lui avrebbe dormito nel bosco. In fondo si era portato apposta il sacco a pelo. Un istintivo sentimento di giustizia sommaria percorse il gruppo come un brivido gelato lungo la schiena. L’intruso fu risparmiato a condizione che immediatamente avesse abbandonato il gruppo. Rodrigo accese la sua vespa e si dileguò e di lui non si ebbero più notizie.

         Passarono i giorni. Passarono i luoghi.

         Maurilio con i suoi amici e la magia di quei luoghi si sentiva rinascere. E il finale, per lui, avrebbe riservato la più grossa ed inaspettata sorpresa. Una mattina si svegliò prima di tutti e si sedette a sorseggiare caffè nella veranda di un cottage che avevano affittato, nel mezzo di una foresta di abeti. Era un posto magico, si udiva solo il rumore degli uccelli e lo scroscio di una cascata che scorreva poco distante, all’improvviso sentì il suo nome. Si girò di scatto nella direzione dalla quale proveniva quel suono. Sgranò gli occhi incredulo: Italia stava facendo colazione nel cottage vicino e correva verso di lui per abbracciarlo. Erano quasi tre anni che non si vedevano. Iniziarono a parlare come se tutte le incomprensioni del passato si fosse azzerate in un istante. Si dissero finalmente quello che non avevano mai osato dirsi divenendo le due perfette metà di un unico mondo. 

         E da quel giorno, la vita di Maurilio Biasetti, si trasformò in qualcosa che meritasse di essere vissuto.

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