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giovedì 11 giugno 2015

post 149: primo capitolo (Orso – ed. Narcissus 2013)


Buio.
Nella camera da letto si sentiva solo l’ansimare di una persona ancora immersa nei sogni, un rantolo ritmato, all’impressione sereno.
All’improvviso la sveglia ruppe l’equilibrio. Si accese una luce sul comodino: un uomo con gli occhi chiusi ed impastati dal sonno tentò con la mano di trovare il pulsante che interrompesse quel fastidioso lamento elettrico; alla fine lo trovò e la camera ripiombò nel silenzio. Uno sbadiglio. Si stirò le braccia ad occhi sempre chiusi.
Dopo qualche minuto passato nell’indecisione si arrese, ruotò verso destra e si sedette sul bordo del letto. Si stropicciò gli occhi e finalmente si decise ad aprirli. Sul suo viso un’espressione rassegnata ma subito dopo un sorriso. Fece un bel respiro, si alzò, si diresse verso la finestra, alzò la tapparella elettrica. Quel rumore d’ingranaggio si mischiò ai raggi del sole sempre più invadenti. Chiuse nuovamente gli occhi. Appena la stanza fu invasa dalla luce, dirigendosi come un cieco verso il comodino con le mani in avanti come a difendersi da un eventuale ostacolo, si piegò a memoria ed a tastoni cercò qualcosa. Trovò quello che cercava, i suoi Ray-ban. Li indossò. Un attimo di sollievo, si stirò definitivamente emettendo una sorta di ruggito felino, si tirò su i boxer. Si diede una grattata e controllata alla zona uro-genitale, rapida, ma necessaria.
Si mosse.
Prima meta il bagno: il wc con la tavoletta rigorosamente alzata.
Operò ad occhi chiusi appoggiandosi con una mano al muro.
Poi verso la cucina. L’appartamento era grande ma occupato da tante cose. Soprattutto inutili ed ingombranti. Accese il gas con un fiammifero dopo aver caricato la moca del caffè. Con lo stesso diede vita alla prima sigaretta della giornata.
Fa abbastanza schifo fumare appena svegli, la bocca impastata dal sonno si mischia al fumo in una miscela odorosa inquietante, ma chi è veramente fumatore prova in quell’operazione quotidiana un piacere diverso da tutte le altra decine di volte che la ripete successivamente.
La moka borbottò, cucchiaino di zucchero, lenta rotazione e primo sorso bloccato dalla temperatura rovente del liquido. Ultima boccata della sigaretta, un soffio dal tentativo refrigerante e nuovo sorso.
Ripose la tazzina nel lavello, si girò verso il frigorifero, prese il cartone del latte, annusò dalla fessura tagliata l’odore, un’espressione dubbiosa ma non totalmente convinta del fatto che potesse essere andato a male, un sorso deciso. Sul viso un’espressione corroborata, poi d’improvviso, l’occhio sotto il Ray-ban si spalancò. Una veloce corsa verso il bagno, giù la tavoletta, giù i boxer senza troppo badare allo stile, giù sulla seduta.
Operò ad occhi aperti.
Di fronte a lui il grande specchio che prendeva tutta la parete, si osservò istintivamente i capelli, pochi, tendenzialmente striati di grigio. Sospirò rassegnato, con la mano sinistra, senza staccare gli occhi dal suo riflesso, andò a prendere dalla mensola alle spalle un pacchetto di sigarette.
Tornò a fissarsi nello specchio.
Fin da piccolo fu bollato come diverso, nel senso che tutti l’hanno sempre visto come un tipo “strano”, o almeno, una persona colpita da patologia tale da produrre comportamenti e reazioni anomale. Sebbene non ci sia mai stato nessun esame medico che l’abbia confermato lui era diverso o meglio, come lo battezzarono in prima elementare, Orso.
Nella sua mente spesso, quando qualcuno lo chiamava usando quel nome, tornava l’immagine d’un gruppo di bimbi che nel cortile della scuola, in prima elementare, lo circondò senza lasciargli vie di fuga intonando un irriverente coretto canzonante “…Orso, Orso, Orso…”. Non che ne avesse sofferto, in fondo sono cose cha da piccoli accadono quasi a tutti, ma Orso ricordava perfettamente le loro espressioni, il tono delle loro voci, quella forza che stando uniti sentivano e che permetteva loro di essere aggressivi, quasi sentendosi giustificati quindi spronati a farlo. Ma anche a distanza di tanto tempo non si sentiva né di odiarli né di compatirli. Era sempre più certo della sua volontà di sana solitudine, piuttosto d’un forzosa compagnia stonata.
Ad essere onesti qualche sintomo particolare lo aveva denunciato fin da piccolo, escludendo alcuni attacchi narcolettici improvvisi ed il lieve balbettio. Insomma, fondamentalmente da piccolo non parlava, usava un vocabolario limitato a poche parole “…si, no, uhmmm…” che poi è un suono.

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