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mercoledì 17 giugno 2015

post 152: delirio d’onnipotenza (Racconti imperfetti - ed. Starrylink 2004)


Prologo
Alberto Argellini lavorava in banca: gestiva enormi quantità di denaro con tale abilità da renderlo doppio con una scelta immediata azzeccata. Era un uomo dotato di talento, a volte sapeva essere implacabile, non si fermava davanti a niente. Era sicuro delle sue capacità.
Voleva arrivare in alto a prescindere dalle indicazioni che il destino gli aveva dato: umili origini, difficoltà ovunque, nessun aiuto.
Ma lui andò oltre a tutto ciò.
Pensava che il destino ognuno se lo costruisce con le proprie capacità, con il proprio talento, con la voglia di farcela.
Stava salendo nella gerarchia del suo istituto grazie ai numeri stabiliti sul campo. E ciò non piaceva ai suoi colleghi, del resto chi è bravo da fastidio. Ma a lui questo poco importava perché si sentiva diverso dalla moltitudine di mediocri di cui il mondo è pieno. Si era conquistato tutto da solo: rispetto, successo, potere, odio, gelosie, invidia. Osannato da chi gli stava sopra, odiato da chi era ancora sotto.
Queste sono le regole del gioco. E lui lo sapeva bene.
Ma un giorno tutto cambiò, all’improvviso.
Ed iniziò la sua discesa nel baratro.

Il fatto
Antonio Basetti, un eroinomane sieropositivo senza ormai più possibilità di scampo, decise in un mattina di marzo che il contenuto della cassaforte della banca dove lavorava Alberto Argellini doveva essere suo, come se quello che stava la dentro potesse risolvere i suoi problemi.
Antonio dimostrò la sua volontà brandendo un taglierino insanguinato e minacciando chiunque tentasse di avvicinarlo.
Urlava come un forsennato le sue ragioni.
Il cassiere Righi lo guardava impietrito apparen-temente attento a non provocare reazioni inconsulte.
Appena l’eroinomane Basetti bestemmiò contro di lui tentando di punzecchiarlo con la sua velenosa arma le due ragazze, Marika Tusco e Jennifer Calarchi, che stavano in coda allo sportello, si gettarono a terra strillando la loro paura tenendo però ben stretto tra le mani il denaro per pagare l’Iva.
Anche il pensionato Gianmario Artusi, dopo aver ripetuto il suo palmares meritevole di rispetto, era un Cavaliere di Vittorio Veneto, si ritrovò a terra spinto da una manata dell’invasato rapinatore.
Giusy Gamberetti il vicedirettore, in quel momento la più alta in grado presente, tentò di dissuadere l’uomo col taglierino ma per tutta risposta questi le mollò un violento sganassone che la fece ribaltare a terra senza sensi. Del resto il pensionato Artusi l’aveva fatto arrabbiare, tenne a sottolineare Basetti, legittimando così l’inevitabilità del suo gesto.
La donna si trovò pancia sotto con la gonna del suo bel tailleur, tipo Chanel, rivoltata.
Un attimo irreale in quel delirio.
Per alcuni secondi tutti i presenti si distrassero sulle calze autoreggenti nere velatissime della vice e sul minimo perizoma color carne che facevano bella mostra di loro nel mezzo di quell’incubo.
Anche l’eroinomane Basetti ebbe un sussulto: è proprio vero che di fronte a certe cose nemmeno l’eroina ti può distrarre.
In quell’istante Alberto Argellini si alzò deciso dalla sua scrivania, afferrò un righello da trentadue centimetri, e s’avvicinò sicuro al rapinatore.
L’imbestialito eroinomane gli sbraitò contro.
Le due ragazze distese a terra tentarono di arginare il suo impeto ma Alberto le tranquillizzò ricordando i suoi trascorsi di fiorettista.
Era stato quasi azzurro di scherma, ci avrebbe pensato lui.
Il pensionato Artusi lo spronò ad attaccare. Un duello all’arma bianca, come le “sue” battaglie della prima guerra mondiale, baionette contro baionette, sciabole contro sciabole, pugnali contro…
Ma l’eroinomane Basetti senza preavviso l’attaccò.
Alberto Argellini parò d’istinto il tentativo d’affondo. Ritornò in assetto ripartendo poi di slancio. Seguirono una veloce serie di colpi reciproci parati alla fine dei quali Alberto riuscì a disarmarlo. Il taglierino insanguinato rimbalzò due volte sul pavimento in marmo della banca prima di fermarsi.
Sussulto di stupore delle due donne sdraiate.
Il pensionato Artusi tentò di afferrarlo ma l’eroinomane Basetti gli rifilò un calcio in pieno volto che lo tramortì al suolo. Alberto approfittò del momento e si gettò disperato verso l’arma ma fu anticipato di un istante. Quello fatale: l’eroinomane Basetti gli sfregiò il viso con una grande X prima di conficcarglielo dritto nel petto.
Alberto, faccia crociata grondante sangue, barcollò per un istante.
Il righello gli cadde dalla mano mentre s’afflosciava sulle ginocchia.
Restò qualche secondo in quella posizione nel silenzio irreale che ormai saturava tutto.
Poi rovinò a terra con un ultimo gemito di dolore.
Il cassiere Righi, fino a quel momento una statua di sale, al tonfo disperato del collega tirò fuori, da sotto il bancone, una 44 Magnum e sparò un unico preciso colpo in mezzo agli occhi dell’eroinomane Basetti.
In un istante mise fine ai problemi di tutti.
La banca in quei cinque minuti si era trasformata in un mattatoio.
Due corpi a terra, una pozza di sangue grande come il lago di Garda, Marika Tusco e Jennifer Calarchi corsero fuori strillando disperatamente, il pensionato Artusi con la mandibola rotta, il vice direttore Giusy Gamberetti a terra svenuta con il culo al vento, Alberto Argellini con un taglierino conficcato nel petto, l’eroinomane Basetti con un buco in fronte appoggiato al muro come un burattino a cui sono stati tagliati i fili.
Il cassiere Righi, occhi allucinati, fermo con l’arma puntata fumante in mano.

Le conseguenze
Un’ambulanza corse impazzita per le strade intasate del centro storico, la sirena a fare da colonna sonora al drammatico epilogo, il buio del baratro che si stava impossessando della mente di Alberto.
Il bip della macchina che registrava il suo battito che cessò di colpo mutandosi in un monotonico sibilo funebre.
L’immagine davanti agli occhi insanguinati di Alberto s’appannò per annerirsi come volesse indicargli che la fine era giunta.
Ma grazie ad un pronto massaggio cardiaco, operato dal coraggioso medico dell’autoambulanza, si salvò.
Dopo diciotto ore d’incoscienza Alberto Argellini si svegliò nella camera d’ospedale. Appena aprì gli occhi si sentì subito meglio. Un medico lo informò che tutto era andato per il meglio. L’operazione era riuscita perfettamente e non aveva neppure contratto l’aids perché Basetti era sieronegativo. Gli sarebbero rimasti come ricordo cinquantasei punti sul viso ed una diecina sul petto. Ma in fin dei conti poteva anche accettarli. Ebbe la conferma di essere una persona speciale, il destino si era nuovamente piegato alle sue necessità.
Gli uomini di talento non si possono sprecare.
S’addormentò rasserenato.
La mattina dopo appena aprì gli occhi vide due Carabinieri fermi sulla porta della sua camera.
Sgranò gli occhi. Fu accusato di essere il basista di quel tentativo di rapina.
Ma lui non c’entrava niente con quella rapina. A nulla valsero le sue parole.
Uscito dall’ospedale subì un processo, venne condannato.
Finì in galera.
Non si rassegnò, quello che stava accadendo non era giusto, soprattutto non poteva succedere ad uno come lui.
Alberto Argellini pensava ogni notte prima di addormentarsi a cosa era successo. Cercava una prova, un dettaglio sfuggito, solo lui avrebbe potuto trovarlo.
Ci pensava e ripensava.
In fondo lui aveva tentato di sventarla quella rapina, si era opposto a quel tossico con il suo righello. Lui era stato l’eroe sfortunato della vicenda. Altro che basista, lui portava una x sul viso, s’era beccato un taglierino non infetto in pieno petto, che cosa ci avrebbe guadagnato a fare ciò che dicono avrebbe fatto?
In carcere però non era facile indagare.
Il suo compagno di cella Cataldo Compana, un malavitoso barese che si faceva chiamare Sabir, lo prese sotto la sua ala protettiva. Gli evitò tutte quelle situazioni negative che la vita in galera offre. E non volle nulla in cambio.
Alberto Argellini pensò a quello come ad un altro segno della sua predestinazione.
Scoprì, attraverso alcuni amici di Sabir, che il cassiere Righi definito dalla stampa “l’eroico cassiere che sventò la sanguinosa rapina del sette marzo”, era stato gratificato dall’istituto con un premio in denaro ed un importante posizione all’interno della banca stessa.
Era diventato il responsabile della filiale, quella in cui lavorava Alberto.
Ecco chi aveva guadagnato da quella vicenda.
Il cassiere Righi aveva organizzato un assurdo piano per farlo fuori e prendersi quel posto tanto ambito. Aveva tramato nell’ombra inscenando una finta rapina, ingaggiando un tossico sieronegativo, per poi risolvere tutto quel casino con un eroico colpo di pistola.
Una follia.
Ma ora tutto era chiaro. Giustizia sarebbe stata fatta.

L’epilogo
E così fu.
In poco tempo Alberto Argellini uscì dal carcere.
Un avvocato, legato a qualcuno che stava molto in alto, si offrì di aiutarlo gratuitamente. E senza strani trucchi lo fece scagionare. Con le prove vere, senza inganni.
La giustizia trionfò.
Alberto non ci poteva credere anche se in cuor suo sapeva che quello era il giusto e meritato epilogo; finalmente libero, pronto a riprendersi quello che era suo.
Del resto chi ha talento ha qualche diritto in più.
Niente e nessuno poteva permettersi di fermarlo.
Arrivò il grande giorno.
Alberto Argellini, uomo arrivato al successo e poi sceso nel baratro dell’inferno, era pronto a tornare in sella. Scagionato, pulito, liberato da ogni accusa. Risarcito dalla sorte e dalla giustizia. Era felice, pronto a ricominciare, teso come il primo giorno di scuola. Stava dall’altra parte della strada. Osservava la porta d’ingresso della sua banca, con orgoglio era pronto a varcarla.
Partì deciso dopo un bel respiro.
Un lacrima di commozione gli appannò la vista.
Alberto si fermò, s’asciugò, sorrise.
Un colpo di clacson lo distolse da quell’attimo d’emozione.
Stava in mezzo alla strada, non se ne era accorto, un’auto frenò disperatamente per evitarlo.
Un tonfo sordo.
Stava a terra, sotto l’auto, il pneu-matico che gli premeva il torace, guardava verso il cielo. Respirava a fatica. Arrivarono i primi soccorsi. Guardò la gomma.

“…fate presto, per favore…sta sgualcendo il mio abito nuovo…”

Alberto era preoccupato più dalla giacca rovinata che dall’auto che lo comprimeva al suolo.
Era certo che non potesse finire così la sua vita.

Invece quello fu il suo ultimo pensiero.


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