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venerdì 19 giugno 2015

post 153: lingua comune (Bordeline – ed. Narcissus 2013)



Giuly entrò nella stanza.
Aveva un sorriso appena abbozzato, quasi imbarazzato. Ma in fondo non c’era nulla di male in quella cosa, essere nella stanza d’albergo con Umberto, un uomo. Un uomo che non era suo marito e nemmeno il padre dei suoi figli ma il marito di una sua amica.
Quello che si era creato, professionalmente e personalmente, in quei quindici giorni di lavoro trascorsi insieme formato e consolidato dal nulla, era difficile definirlo in una parola, facilmente la cosa sarebbe potuta essere equivocata.
Giuly era imbarazzata seppur certa che non ci fosse nulla di male, continuava a ripeterselo, ma non riusciva a convincersi.
Per questo chiuse la porta assicurandosi che nessuno l’avesse potuta vedere dal corridoio.
Era lì per una cosa: dare a Umberto un piccolo regalo, un pensierino come si dice, per fissare nella loro memoria quei giorni meravigliosi.
Anche Umberto aveva un sorriso, era rigido quasi stampato, evidente il suo imbarazzo.
Eppure non faceva nulla di male in quella stanza con Giuly, seppur lei fosse amica della moglie, pure lei era sposata e madre. Non faceva niente di male, più se lo ripeteva e meno ne era convinto.

“Volevo darti questo…”

Umberto prese il piccolo pacchetto, lo aprì goffamente, Giuly sorrise.
C’era una strana atmosfera, eppure quei quindici giorni erano stati intensi; avevano lavorato molto bene insieme, si stimavano e rispettavano, insieme funzionavano proprio. Ed avevano avuto molto tempo per parlare, conoscersi, confidarsi. Con naturalezza e fiducia si erano esposti reciprocamente dandosi conforto e risposte. Un pensiero comune li aveva legati: i loro rispettivi rapporti, le proprie relazioni, la professione. Senza dirselo apertamente avevano intuito come fosse facile parlare con un quasi sconosciuto, aprendosi sinceramente come forse mai prima, raccontandosi anche nei più intimi dettagli. E senza la paura di un giudizio o pregiudizio nell’ascoltare il parere dell’altro. Stare dentro ad un rapporto consolidato e sereno, apparentemente perfetto, dove però manca qualcosa che non si riesce a definire ma che pare essere ciò che forse non ti fa vivere a pieno. E nemmeno il successo professionale, la famiglia ed i figli, i progetti con la propria metà, anche il sesso, sembrano non bastare per sentirsi pieni e soddisfatti. Avevano parlato a lungo di quella sensazione, sentendosi come dei viziati ingrati di fronte ad una vita invidiabile, con compagni fedeli e amorevoli, figli sani e bellissimi, una professione che anche nel momento della crisi globale continuava a sostenerli.

“…un i-pod…”

Umberto istintivamente abbracciò Giuly e la baciò con gratitudine sulla guancia.

“…ho inserito un pezzo, un’unica traccia, puoi bene immaginare quale sia…per farti ricordare, ogni volta che la riascolterai…questi magnifici giorni…”

Umberto abbassò gli occhi a terra. Giuly arretrò.
Si guardarono, a distanza, restarono qualche secondo in silenzio.
Ancora goffi sorrisi.
Nessuno riusciva a dire qualcosa, a prendere l’iniziativa per rompere quel momento, eppure erano stati due fiumi in piena di parole in quei giorni, ora invece stavano immobili imbalsamati con sorrisi ebeti.

Giuly prese una busta dalla tasca e la diede a Umberto.
Lui la prese, l’aprì, tirò fuori un foglio.

“…immaginavo che saremmo prima o poi arrivati ad un momento simile, per questo ho preferito scriverti ciò che penso…sarebbe stato impossibile dirtelo a parole…perciò…” Umberto la guardò. Annuì come a rassicurarla. Prese dalla sua tasca una busta e gliela allungò.
Risero in contemporanea.

“…abbiamo sempre le stesse idee…posso leggerla?”

Umberto annuì sorridendo.
Giuly aprì la busta, poi un foglio.
Si spostarono istintivamente in due punti della stanza distanti quasi a volersi dare reciprocamente lo spazio necessario ad una lettura più intima e riservata.
Ogni tanto si guardavano e sorridevano, nervosamente.
Umberto finì per primo. Si passò una mano sul viso, si sedette sulla poltroncina che si trovava alle sue spalle.
Dopo un attimo anche Giuly finì la sua.
Si passò una mano nervosamente nei capelli, si appoggiò al letto, fino a sedersi sul bordo.

“Mi chiedo spesso prima d’addormentarmi quale sia stata l’ultima volta in cui mi sono sentita felice. E quando mi pongo questa domanda ci penso sempre un po’, impegnandomi, volendo essere sincera con me stessa. In realtà non riesco a ricordarlo. E’ così che spesso m’addormento ricercando un frammento di piacere per poi svegliarmi all’improvviso, nel cuore della notte, o forse solo alcuni minuti dopo, vittima di quello che mi pare un incubo terribile e non trovare nessuno che mi voglia o possa consolare. Sola, nel buio della camera, un senso di vuoto che mi devasta…”

Dopo aver letto ad alta voce Umberto alzò gli occhi verso la donna.

“La vita è strana. Quando pensi di avere tutto, almeno ciò che sembra necessario, senti improvvisamente che il vuoto prende il sopravvento trasformando tutto in qualcosa d’incolmabile. E la delusione che arriva improvvisa, una situazione che mai avresti pensato, il cambiamento di ogni prospettiva. L’idea consolidata era quella d’aver incanalato la propria vita e tutto torna in discussione. E tu non hai scelto niente. Nel bene o nel male…”

Giuly si fermò. Alzò gli occhi dal foglio.

I due si guardarono, l’imbarazzo di pochi minuti prima sparito dai loro visi come spazzato via dalla verità di quelle parole, si avvicinarono fissandosi nel silenzio. Si abbracciarono.

Riuscire a definire l’importanza della condivisione dei pensieri, il valore di quella che banalmente da molti viene definita amicizia, e da altri, superficialmente, amore, è il primo passo per confrontarsi con i propri demoni con i quali, prima o poi, bisogna fare i conti. Si può tentare di vincere da soli, ma è impresa ardua, difficile. I più fortunati possono essere sostenuti da chi , nel profondo, vive o ha vissuto la stessa esperienza.

E’ un dono incontrare chi sa comprendere senza bisogno di spiegazioni la complicata lingua della sofferenza.


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