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giovedì 10 aprile 2014

Sif


 
Sif viveva in una piccola casa circondata dai campi di frumento. All’epoca della fotografia faceva la seconda media, era un bravo ragazzo, molto legato ai sani principi.
La sua era una famiglia normale; il padre, Oscar Luigi, stava recluso da circa sei anni per via di una strana storia di assegni a vuoto, Mamma Veronica, disoccupata, manteneva tutti con la pensione di nonna Adolfa che aveva lavorato alle poste: ben 156 euro al mese. In più curava la piccola casa dove, oltre a Sif, vivevano i due fratelli gemelli, Pier Costanzo e Maria Dolores di diciotto anni. Mamma Veronica li adorava, coccolandoli e viziandoli oltre ogni misura, e loro ne approfittavano biecamente.
Verso Sif l’atteggiamento era diverso; l’amava, in quanto figlio suo, ma non con lo stesso vigore. Era come se quel ragazzino fosse per lei un animale domestico a cui dopo tanto tempo ci si affeziona. Con nonna Adolfa non aveva rapporti. L’aveva vista solo una volta, a sei mesi, e nemmeno se la ricordava bene. Sapeva solo che nonna stava in camera sua, al piano interrato della piccola casa, che dormiva sempre e quindi, non si poteva disturbare. Ma un giorno qualcosa cambiò.
Arrivò il suo tredicesimo compleanno. Sif passò la mattina a scuola ed il pomeriggio a raccogliere le foglie secche del giardino dei vicini, i signori Vizzelli. Era quello un piccolo lavoretto che gli faceva guadagnare qualche soldo, decurtato della metà devoluta in famiglia, da mettere in parte per il futuro. Lui era felice di quei 75 centesimi che si guadagnava in cinque ore di duro lavoro nei 4000 mq di giardino dei signori Vizzelli. Si sentiva fortunato ad avere un’occupazione, e per di più, in nero. A proposito di nero, fu quello il colore che scatenò nella mente di Sif alcuni dubbi che da quel giorno di festa non lo fecero più vivere felice e sereno.
Mentre stava lavorando nel giardino dei signori Vizzelli ebbe un improvviso bisogno fisico. Forse quel bicchierone di latte gelato bevuto a merenda stava avendo un forte dissidio con il suo intestino. Corse a casa tenendo il fiato per paura di perdere qualche pezzo nella corsa. Finalmente raggiunse il bagno e riprese forza dopo essersi seduto sulla tazza quando, nel silenzio circostante, sentì uno strano rumore tipo, un miagolio. Dopo un secondo di silenzio un nuovo miagolio, ancora più deciso. Appoggiò l’orecchio sulla parete che divideva il bagno dalla camera di Mamma Veronica perché gli fu subito chiaro che quel rumore veniva proprio da lì. Tentò di capire cosa stava accadendo. Sentì delle voci.

”…che cosa mi hai portato oggi?”

”il solito…mamma Veronica…banana di cioccolato!”

Seguirono delle risa miste ad urletti uniti a sospiri. Poi il silenzio. Sif sentì che la porta della camera di mamma si stava aprendo. Sbirciò dal bagno attento a non farsi vedere. Un signore di colore si stava chiudendo la cinta dei calzoni con un bel sorrisone stampato in viso. Appena l’uomo uscì di casa Mamma Veronica andò in cucina sistemandosi la sua bionda chioma. Sif la seguì quatto quattro. Vide che nascondeva alcune banconote da 50 euro in un barattolo sopra le mensole. Non riuscì immediatamente a collegare quel denaro all’uomo nero, passando attraverso i miagolii, finendo alla banana al cioccolato…ma…dopo un attimo, capì. Tutto gli fu chiaro. Quell’uomo era il pasticcere. Pensò che sua madre avesse comprato una torta per il suo compleanno, al cioccolato, la preferita. E quei soldi erano sicuramente il resto. Era certo che Mamma Veronica avesse pagato il pasticcere con la banconota da 156 euro della pensione di nonna ma…di torte, quella sera, nemmeno l’ombra. Sif non ne ebbe a male, in fondo, Mamma Veronica era troppo impegnata dalla sua vita, un marito in carcere, la casa, i figli da seguire, può capitare di scordarsene. Rasserenato da quelle riflessioni tornò nel giardino dei signori Vizzelli per finire il suo lavoro. Ormai erano quasi le sei di sera quando, intento ad accumulare foglie, si bloccò perché fulminato da una visione imprevista. Il motivo? La più bella ragazzina del suo paese camminava lungo la strada che costeggiava il giardino dei signori Vizzelli. Seguì per pochi attimi quella slanciata figura che dimostrava almeno cinque - sei anni in più di quelli che aveva. Era meravigliosa, capelli scuri, occhi blu, andatura da top model, altera, sicura, irraggiungibile. Dopo un istante sparì dietro l’angolo ma a Sif quel momento parve non finire mai. Il ragazzo ebbe un tracollo: un misto di sano romanticismo e sanissima eccitazione. Cadde all’indietro sprofondando nel cumulo di foglie secche appena raccolte facendole volare tutt’intorno. Restò sdraiato a terra guardando il cielo che imbruniva. Aveva la faccia inebetita e la patta dei calzoni che puntava dritta a nord. Poi, s’alzò deciso. Lei era la donna della sua vita, la voleva sposare ed avere almeno tre figli. Fece un bel respiro: era sicuro. L’indomani avrebbe fatto di tutto per conoscerla e conquistarla. Si sentiva finalmente un uomo che aveva trovato la sua compagna. Ed un ghigno da lupo affamato gli si dipinse in volto.
Il giorno successivo riuscì finalmente ad avere l’occasione tanto desiderata. La ragazzina da lui agognata era seduta sulla panchina centrale della piazza del piccolo paese. Si fece coraggio, il cuore gli batteva impetuoso nel petto, gli mancava il respiro. Dopo undici minuti di tentennamenti partì dritto verso la panchina e con distacco si avvicinò alla ragazzina. S’avvicinò fingendosi disinvolto. La ragazzina non lo degnò d’uno sguardo, o forse, manco s’accorse della sua presenza. Il ragazzo si fece più audace. Attaccò il suo solito e vincente monologo d’abbordo. Ma i frutti tardavano ad arrivare, così si sedette in parte alla ragazzina. Lei ebbe un sussulto, più che sorpreso, schifato. Ma Sif non mollò. Parlava, parlava, parlava…diceva cose che normalmente in quel tipo di situazione sembrano straordinarie ma che in realtà nascondo la banale vuotezza di un dibattito da campagna elettorale. Quel monologo infinito proseguì per quasi sette minuti. Unico risultato fu il sapere il nome di quella ragazzina. AO, cioè, il diminutivo di Alfonsina Ornella. Sif iniziò a volare alto: pensò che finalmente era riuscito a rompere il ghiaccio ed ora la strada si presentava in discesa. Tentò così l’affondo finale. Ma proprio in quell’istante, in modo del tutto imprevisto, la ragazzina iniziò a ridacchiare. Prima quasi trattenendosi, poi con più vigore. Sif fermò il suo parlare. Ma quel gesto d’educata curiosità gli si ritolse contro come la lama affilata d’una ghigliottina che sta per mozzare un collo. Sul viso di quell’angelica figura, si dipinse un ghigno sadico: in breve gli vomitò addosso una pesante verità. Lei sapeva tutto di lui, del padre carcerato, del fratello che spacciava cocaina, della madre che arrotondava prostituendosi. Sif tentò balbettando di fermarla ma lei, come un fiume in piena, esondò l’argine della decenza confessando la relazione che aveva con la sorella Maria Dolores con la quale, di lì a poco, si sarebbe sposata. Sif, col viso rigato dalle lacrime si salvò soltanto grazie ad un auto massaggio cardiaco. Dopo quell’ultima velenosa frecciata la ragazzina s’alzo per andarsene ma prima di sparire si bloccò: si voltò e guardando Sif dritto negli occhi lo finì invitandolo ad entrare nella stanza della nonna. Li avrebbe trovato una vera sorpresa. Poi s’allontanò ridacchiando diabolicamente. Sif cominciò a vomitarsi istericamente addosso.
Il pomeriggio successivo il ragazzo si decise: sarebbe entrato nella stanza della nonna. Aprì la porta cercando di fare meno rumore possibile, appena lo spazio fu sufficiente s’infilò. Ma dentro non c’era una camera bensì un lungo corridoio abbastanza buio. Lo percorse tutto, prima lentamente guardandosi le spalle, poi con più decisione. Arrivò ad una doppia rampa di scale che scendeva sotto terra. Scese. La luce si faceva sempre più fioca. Arrivò di fronte ad un’altra porta con il cuore che batteva in gola. Appena l’aprì si trovò in un luogo totalmente buio: gelidi brividi gli rigarono la schiena. Proseguì fino a che si trovò davanti un ostacolo. Tentò con le mani di capire cosa fosse, una nuova porta?…un muro?…???…Sif al tatto non capiva. Toccava quella cosa dalla consistenza molliccia, viscida, forse bavosa. Ebbe la sensazione che qualcosa di peloso gli strisciasse sulle braccia quando d’improvviso una luce sfolgorante…chiuse gli occhi accecato, ma poi la curiosità, glieli fece pian piano riaprire e…colori sgargianti, fiori, ruscelli e piccoli laghi, animali liberi che pascolavano, inebrianti aromi primaverili. Un posto paradisiaco. Sif entrò curioso in quel mondo. Camminò per quasi due chilometri e la felicità lo invase fino a quando, dopo aver incontrato branchi di antilopi che giocavano con leoni sorridenti, stormi di germani reali che deliziavano con vorticose picchiate un gruppo di cacciatori, greggi di pecore che filavano da sole la loro lana vide, oltre una brughiera, un gruppo di persone che rideva gioiosamente. Fu attratto da tutta quell’ilarità. S’avvicinò. Quando fu giunto a pochi metri riconobbe sua madre, suo padre, la nonna, i due fratelli, AO e pure il nonno. Si fece avanti ma prima che potesse proferire verso quest’ultimo disse:

“Caro Sifone è giunto il momento che tu sappia la verità. Tu non sei mio nipote perché Veronica non è tua madre. Ti abbiamo trovato nel cassonetto di fronte casa e t’abbiamo allevato ma solo per sfruttarti e divertirci. Ti assicuro che ci siamo fatti tante grasse risate. Ah, la tua amichetta AO in realtà è una prostituta minorenne maltese che abbiamo ingaggiato per farti questo ultimo bello scherzetto!!!”

Sif scappò piangendo disperatamente mentre tutti ridevano canzonandolo con pernacchie bitonali irriverenti. Quel posto paradisiaco si trasformò nel suo fuggire in un inquietante girone infernale con tanto di magma, fango, escrementi solidi e liquidi, sangue e grida disperate. Decise così di suicidarsi. Si gettò dal ponte dell’autostrada. Ma non morì: rimase tetraplegico e tutt’oggi vive grazie ad una macchina che lo fa respirare. E la sua famiglia guadagna dalla sua condizione spendendo in vizi i soldi della sua pensione d’invalidità.

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