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mercoledì 2 aprile 2014

Venanzio Potenza

 
 
Venanzio Potenza era un amico d’infanzia di Alfredino. Venne inserito nel gruppo il giorno in cui iniziò a procurare biglietti di locali ed eventi che poi venivano riprodotti e/o falsificati. Un ragazzo assolutamente affidabile tranne nei momenti in cui l’alcool prendeva il sopravvento nella sua mente. E lì Venanzio poteva dire, fare, ed essere tutto l’inimmaginabile. Spesso rischiò pesantemente, addirittura, la sua stessa vita.
         Come una notte, totalmente ubriaco, rincasando alla guida dell’Alfa 2000 del padre da lui chiamata affettuosamente Alfona.
Era tardissimo, Venanzio non riuscì mai a ricordarsi l’ora e nemmeno il tempo impiegato per arrivare a casa, il mondo gli girava attorno con versi rotativi contrastanti. L’ansia che aumentava, la voglia di buttarsi a letto mista quella di respirare un attimo di sollievo pressante, sentì quasi d’asfissiare. Riuscì a resistere fino all’ultima curva ma, a duecento metri da casa, la luce si spense. La mano divina che fino a quel momento l’aveva guidato, anzi aveva guidato l’auto, evidentemente si distrasse per un istante. Quello fatale. Venanzio con il buio davanti agli occhi spalancati esplose in un conato liberatorio ritrovandosi a fluttuare in un mare denso di succhi gastrici, cibo e molto, molto alcool.
Poi lo schianto.
Un dannato platano che qualcuno secoli prima aveva piantato in quel punto per delineare la sede stradale dal terrapieno. Un monito d’attenzione che Venanzio, in quelle condizioni disastrate, non poteva di certo ascoltare. Sbatté violentemente accartocciandosi attorno al tronco. Fu sbalzato in avanti ma la cintura di sicurezza, che non si sa per quale motivo portava legata, lo trattenne evitandogli di spalmarsi fatalmente sul parabrezza. Dopo alcuni minuti riuscì faticosamente ad uscire dall’auto, fece alcuni passi indietro come a volersi rendere conto dell’accaduto, si stropicciò gli occhi ed intravide l’Alfona abbracciata in modo quasi tenero al grosso vegetale.
Eiettò liquidi per la seconda volta.
Raggiunse casa con andatura caracollante.
Entrando urtò qualcosa provocando un notevole trambusto che svegliò il padre che intuì qualcosa solo vedendo il volto bianco lenzuolo del figlio. Venanzio tentò di rassicurarlo by-passando i dettagli di quanto accaduto, gesticolò con la mano destra alzando il pollice ed abbozzando un sorriso, infine imboccò infine la porta della camera roteando l’indice come a voler dire “…domani ti spiego tutto…”
L’indomani fu un giorno difficile per Venanzio: abbassò lo sguardo evitando quello impietrito del padre mentre spostavano dal platano l’Alfona a pezzi ed in più, i pochi sani, imbrattati di vomito fermentato dalla notte. Fu certo d’aver combinato il più grosso guaio della sua vita.
Era affranto ma vedendo il disastro combinato si sentì miracolato. Il padre dopo circa mezz’ora si voltò guardandolo dritto negli occhi sembrando pronto a sferrargli un colpo fatale.
Lo fissò per alcuni secondi, poi si voltò verso il parabrezza frantumato, infine allungò il braccio accarezzandolo dolcemente sulla guancia.
Borbottò qualcosa d’incomprensibile e poi s’azzittì.
La forza di quell’intervento divino straordinario evidentemente ebbe il sopravvento placando ogni possibile plausibile reazione.
L’episodio si chiuse senza ulteriori fatti degni di nota.

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